Le riforme “ad minchiam”

Le riforme “ad minchiam”

Scrivere di questioni politiche di livello nazionale è difficile, tutto sommato abbiamo già molto a livello locale e non è nemmeno facile comprendere in toto le dinamiche quotidiane, figuriamoci quanto accade a Roma.

Le riforme “ad minchiam”

Scrivere di questioni politiche di livello nazionale è difficile, tutto sommato abbiamo già molto a livello locale e non è nemmeno facile comprendere in toto le dinamiche quotidiane, figuriamoci quanto accade a Roma. Eppure in questi giorni lo vediamo nei telegiornali e lo vediamo “postato” nei social di quanto è in corso di discussione, accesissima, in Senato.

Si parla dell’abolizione del Senato? No tutt’altro, si parla di avere un Senato Non elettivo, un Senato nominato da altri eletti fra i consigli regionali in cui siederanno in tutto 100 senatori: 95 rappresentano le istituzioni territoriali e cinque sono nominati dal capo dello Stato. La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali nelle quali sono stati eletti. Ora, le riforme vanno fatte, certamente, peraltro il tempo passa ed è anche corretto adeguarsi alle esigenze del contesto adattando la forma dello Stato ai risultati che vuole conseguire ma…non basta dire “riforme!” e trovarsi con delle buone riforme.

Altrimenti anche Mussolini o Licio Gelli sono stati e possono essere considerati dei riformisti. Francamente credo che, nello specifico, la riforma del Senato come impostata dal Governo Renzi non serva a una beneamata cippa ne tantomeno dia maggiore credibilità dell’Italia ai mercati. Cosa se ne fanno i “mercati” di un Senato con 100 tizi nominati da altri?

Poi, a me personalmente ricorda la riforma delle Provincie di DelRio, sempre governo Renzi intendiamoci. Ma davvero la creazione delle città metropolitane, che in pratica sono dei “provincioni” peraltro già previsti è da ritenersi una riforma? Anche qui ci saranno comunque a “gestire” le funzioni dei nominati da altri eletti come consiglieri vari/sindaci dei comuni del territorio metropolitano. Per non parlare del fatto che anche le altre “provincie” rimarranno senza diciamo una testa politica eletta dai cittadini ma gestita in qualche forma da nominati fra gli eletti del territorio. Non si poteva eliminarle con un intervento costituzionale e ripartire le competenze con chiarezza?

Faccio qualche ragionamento, se vogliamo ridurre le spese del Senato e velocizzare l’attività legislativa si potrebbe:

            A) dimezzare i numeri dei parlamentari delle 2 camere

            B) ridurre le indennità

            C) modificare i regolamenti

 In alternativa

           A) abolire il Senato

           B) modificare i regolamenti della Camera per dare una “seconda” approvazione alle leggi approvate in modo da intervenire in caso di errori

           C) ridurre le indennità

La riforma portata avanti dal Governo Renzi non tocca nessuno di questi punti e soprattutto crea un organismo di “nominati fra gli eletti”, una sorta di razza superiore, che però decide guarda caso nella votazione del Presidente della Repubblica.

Lo scenario per le provincie è simile. Gira in questi giorni uno schemino che trovo fantastico nella sua forma semplicistica e chiara, mi piace qui riportarlo perché una riforma, oltre ad essere ben fatta, deve essere credibile da chi la “subisce”, perché credibile chi la “realizza”.


Ma realmente questo serve a rilanciare la nostra economia? Come si può credere che “ce lo chiede l’Europa”? Realmente avere preso il 40% alle europee rappresenta la corretta interpretazione della volontà popolare per fare questo genere di riforme?

Io non credo.

ANDREA MELIS

 

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