Le élite italiane col mini-Napoleone

 LE ÉLITE ITALIANE

COL MINI-NAPOLEONE

  LE ÉLITE ITALIANE

COL MINI-NAPOLEONE

Lo spettacolo è imbarazzante. Per quante critiche si possano muovere a questo governo (e secondo noi sono tante, a partire dall’amalgama che lo costituisce fa un certo effetto la visione in cinemascope su tutti gli organi di stampa della presa di distanza dall’Italia e dal suo governo, con relativo compiaciuto ribrezzo verso le sue più alte cariche istituzionali, a favore del caro alleato francese.

È come se la crisi diplomatica sancita da Macron col richiamo dell’ambasciatore in patria avesse sturato il condotto del risentimento delle élite verso il “governo del popolo” (che si è autoincoronato tale, invero in maniera un po’ comica, ma che tecnicamente lo è, stando ai voti) e dato alle opposizioni la giusta carica per la loro debole opera di “resistenza”.

 

 

 Dappertutto si leggono rimbrotti a Di Maio per aver incontrato un rappresentate dei “gilet gialli”, episodio che avrebbe indotto Macron alla sofferta scelta da stato di guerra. Nessuno che si arrischi a mettere sotto la lente l’abnorme reazione del presidente francese nell’ambito di una precisa strategia di attrazione del consenso (a eccezione di Lucia Annunziata, che su Huffington Post fa un’analisi profonda delle ragioni elettorali delle parti in gioco).

Per il resto, la descrizione della scenetta arlecchinesca composta dalle marionette italiane anti-europee prese a bastonate e ramanzine dal poliziotto francese rivela che ai piani alti dell’informazione mainstream non si aspettava altro che una bella crisi internazionale scatenata dal dilettantismo dei nostri governanti per mettere alla berlina i limiti di un governo non costruito in base ai desiderata delle élite politiche e finanziarie (in sostanza, i limiti del suffragio universale). Wolfgang Münchau, editorialista del Financial Times (non proprio una fanzine giallo-verde), ha scritto sulla rivista online Euro intelligence che “è una tragedia per gli europeisti il fatto che il più importante leader europeista sia un buffone”. Münchau, che già aveva descritto Macron come un isterico in crisi di nervi, ascrive la reazione di Parigia una scomposta strategia per drammatizzare la crisi interna e solleticare lo sciovinismo dei francesi, trasformando le gaffe di Di Maio in un affare di Stato. 

  Il richiamo in patria dell’ambasciatore è un atto grave (lo abbiamo fatto noi nel 2016 in seguito alla “scarsa collaborazione” del Cairo alle indagini sull’omicidio di Giulio Regeni, salvo poi rimandare in Egitto un nuovo ambasciatore un anno e 4 mesi dopo) che avrebbe dovuto suscitare nei nostri commentatori un surplus di vigilanza critica; invece, il tifo contro l’Italia delle élite italiane (e dei loro protégé, come Renzi) non è mai stato così clamoroso.

Del resto, Macron è un prodotto in vitro delle élite. Basta guardare il documentario che ne racconta l’ascesa (Macron: dietro le quinte di una vittoria) per capire come il successo del suo movimento En Marche! fu il risultato di un misto di cinismo, marketing e “fortuna” machiavelliana, insomma di una scelta di mercato che l’ha posizionato in una nicchia scoperta dove nessuno aveva più il coraggio di agire: nel racconto positivo di un’Europa che potesse salvare i sommersi. 

Quando l’enarca paragonò i movimenti che avevano vinto le elezioni a una “lebbra”, in Italia ci fu una corsa tra i giornali a riportare la lèpida trovata: col sottile piacere di certe sindromi psichiatriche, speravano forse che davanti a una diagnosi così impietosa gli italiani rivalutassero i partiti sconfitti alle elezioni. Da allora, sotto l’occorrenza di “lebbra” e di “vomitevole” (copyright del portavoce di En Marche!) vengono lette le mosse del governo sull’immigrazione, sul Tav, sul franco coloniale, ecc., anche quando l’ipocrisia dei francesi sarebbe assai censurabile (i gendarmi che “scaricano” i migranti a Claviere nottetempo, ad esempio), e la crisi di oggi non fa eccezione.

 

È un vizio antico quello del potere costituito di lisciare il pelo a una potenza straniera (casualmente, per potenza di fuoco e di finanze, alla Francia) per dirimere le questioni interne, acquisire territori, sedare rivolte popolari (nel 1849 Luigi Napoleone Bonaparte, che Marx descriverà nella sua natura caricaturale, intervenne con la sua soldataglia a favore dello Stato Pontificio contro la Repubblica Romana di Mazzini, Armellini e Saffi, che capitolò sconfitta). Il risultato dello schiaffo diplomatico del piccolo Napoleone è però prevedibile: più il mondo dei salvati irride il governo dei populisti, più il popolo – che forse come dicono i furbi non esiste, però vota – sta col governo dei populisti; più le élite bastonano i sovranisti, più gli italiani, anche i più moderati, aperti e progressisti, per una sorta di effetto rebound ricordano e rivendicano il possesso della loro sovranità. E per capirlo non serve nemmeno studiare la Storia, anche se non guasterebbe: basta guardare i film di Chaplin.

 

 DANIELA RANIERI  Il Fatto Quotidiano

 
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