L’aereo in picchiata (Un film, un grande film)

L’aereo in picchiata
(Un film, un grande film)

 

L’aereo in picchiata (Un film, un grande film)

Immaginatevi un grande aereo, un volo intercontinentale.  Si è avvicinato alla costa, sta per iniziare le manovre per abbassarsi.

 Improvvisamente, il pilota si sente male: un infarto fulminante,  e rimane lì.

Il secondo pilota, terrorizzato all’idea che si sappia che è solo un raccomandato, un lontano cugino del presidente, e che in realtà non ha mai preso il brevetto di volo, né saprebbe cavarsela da solo,  preso dal panico si allontana dal posto, si intrufola nella stiva, rubacchia nei bagagli, si mette il paracadute e si butta. E tanti saluti.

Se fossimo in un film americano, comincerebbe una di quelle storie di tensione, un thriller al cardiopalma, una storia di paure, di rischi mortali ed eroi, fino all’immancabile glorioso atterraggio finale.  Oppure una parodia, che la butta in ridere, infilando una gag dietro l’altra.


Ma non siamo in un film americano. Qui gli assistenti di volo accorrono, si rendono conto di quel che è successo. Sapevano benissimo la storia del secondo pilota, ma hanno sempre taciuto per ruffianarsi lui e suo cugino presidente della compagnia. Sono complici. Di sicuro il presidente li scaricherebbe e negherebbe ogni addebito. E adesso? Chiamare aiuto alla torre di controllo li metterebbe nei guai. Del resto, pure loro sono raccomandati, neanche conoscono le manovre di emergenza e hanno sempre rubacchiato bagagli in complicità col personale degli aeroporti.

Visto che l’aereo è condannato, si apprestano a fare incetta di beni, e filarsela alla svelta. Nel frattempo, lasciano il comandante morto al suo posto e cercano di far sì che i passeggeri non si accorgano di niente.

Ma tutte quelle manovre, qualche esclamazione e sobbalzo di troppo, hanno messo in allarme alcuni passeggeri. Non ascoltano tutti gli altri che li invitano a restare seduti, dicendo che non c’è niente di anomalo, o l’avrebbero annunciato all’altoparlante, e che li deridono dandogli  dei fifoni, dei paranoici e dei presuntuosi.

Si alzano, vanno a controllare, scoprono il dramma.

Hostess e steward, accorrendo, fingono stupore.

Ma quei passeggeri non se la bevono, e cominciano a tenerli d’occhio,  diffidenti.

Li obbligano a chiamare la torre di controllo. La voce remota si offre di dare istruzioni per il volo e l’atterraggio d’emergenza. Ma chi se la sentirà di prendere il posto del pilota e del co-pilota?

Panico. Nessuno nel gruppetto vuole questa tremenda responsabilità.

Alla fine, coraggiosamente, si offrono solo una estetista e un lavascale. Mai vista una cabina d’aereo in vita loro, ma, tremando, sapendo che non c’è alternativa, si siedono ai posti e iniziano ad ascoltare le istruzioni.

Se fossimo in un film americano, si scatenerebbe una gara di altruismi, eroismi,  solidarietà umana, persone che si scoprono risorse inaspettate. I deboli e i vili sarebbero subito isolati, tenuti calmi. I passeggeri collaborerebbero e persino gli assistenti di volo, vergognandosi, cercherebbero di riscattarsi. Gli umili sarebbero innalzati e i potenti mostrati in tutta la loro pochezza.

Ma lo ripeto, non siamo in un film americano.


Qui il gruppetto è isolato, e i due piloti improvvisati lo sono più che mai.

Hostess e steward, sorvegliati a vista, sono sempre più nervosi. L’aereo probabilmente cadrà, tutti moriranno e loro pure, ma anche  nel remoto caso in cui i due piloti dilettanti ce la facessero, si scoprirebbero gli altarini e  loro finirebbero in galera.

Che fare? Non resta che screditare il gruppetto e cercare di distrarre l’attenzione, per trovare il momento buono di svignarsela.

Trovano terreno fertile. Gli altri passeggeri, nervosi e impauriti, scaricano tutte le loro ansie sui malcapitati alla guida e i pochi che li attorniano.

Non li incoraggiano, non li appoggiano, ma sottolineano sarcastici quanto siano inadeguati, senza riconoscere che sono gli unici che hanno avuto il coraggio di provare l’impossibile.

Non notano che se la stanno cavando, tenendo su l’apparecchio, imparando ogni minuto che passa, e che ci mettono tutto il loro impegno. No, alcuni sottolineano ogni minimo errore, ogni cigolio, ogni scrollone, con fatalistico compiacimento e furibonda indignazione.

Altri, più obiettivi, stanno zitti, vergognandosi un pochino, ma preferendo non pensare a niente, far finta che la cosa non li riguardi. 

Hostess e steward, allora, cominciano ad andare oltre. Dicono che sono dei mitomani, dei dirottatori.

Che il comandante si era solo sentito male, che il copilota si era sacrificato eroicamente cercando di controllare un motore malfunzionante. Che l’aereo starebbe benissimo su col pilota automatico, se quei due ignoranti non avessero manie di grandezza. S’inventano una balla su una presunta guida remota per l’atterraggio.

I passeggeri se la bevono, e mormorano indignati, sibilando insulti all’indirizzo del gruppetto in cabina.

Qualcuno ci prova a farli ragionare, a mostrargli la malafede dei sobillatori, ma per la loro stessa cattiva coscienza preferiscono non ascoltare, in una spirale perversa.

Incoraggiati, hostess e steward vanno oltre, affermano che quei mitomani prendono ordini da una mente criminale, che gli ha ordinato di far cadere l’aereo, e che prima di schiantarsi lasceranno il posto, si butteranno col paracadute.

Per convincerli, mostrano i loro stessi paracadute,  che si erano preparati a usare.

Qualcuno si beve anche questa. Persino nel gruppetto che aiuta i due a pilotare, serpeggia qualche incertezza.

Il caos si avvicina.

E pensare che, se tutti collaborassero, qualcosina in più si potrebbe fare.

Magari uno è esperto di comunicazioni, e potrebbe aiutare a trasmettere le istruzioni della torre.

Un altro se ne intende un pochino di motori, e potrebbe tenere d’occhio i quadri.

Uno potrebbe studiare la posizione. Nel sedile in fondo, tutto rannicchiato e sudato, c’è persino un miliardario che ha il brevetto di volo sui piccoli aerei, ma si guarda bene dal farsi avanti…

Altri potrebbero confortare i passeggeri. Tutti insieme, uniti e solidali, avrebbero più speranze di farcela.

E invece no. Preferiscono prendersela con i piloti improvvisati, si accalcano intorno alla cabina di guida, a protestare e disturbare.


Intanto, gli assistenti di volo, contemplando soddisfatti il casino generale,  si avvicinano quatti quatti  all’uscita, si allontanano indisturbati… ancora un piccolo sforzo, e ce la faranno, a buttarsi, dopo avere razziato i valori dei passeggeri.

L’aereo sta  ancora su, i due cercano ancora di non ascoltare le grida, di concentrarsi sulla voce della torre.

L’aereo sta su, non si sa per quanto. Se atterrerà senza schiantarsi,  con buona pace dei passeggeri nel panico, si potrà ringraziare solo un’estetista e un lavascale, vilipesi da tutti.

Ma anche se non riusciranno, almeno saranno gli unici che ci hanno provato, e la colpa non ricadrà certo su di loro.

L’aereo Italia prima o poi si schianterà, anche se cercano di convincerci del contrario, mentre ancora arraffano bottino, mentre i passeggeri litigano, insultano come tifosi di calcio o fanno finta di non capire. 

Lo sappiamo che non ci sono molti piloti all’altezza, forse nessuno, e quelli che pretenderebbero di avere i titoli sono solo degli impostori e dei disonesti, in attesa di darsela a gambe. Lo sappiamo che guardando intorno non ci sono molte soluzioni pronte, molte persone che han capito tutto. Ma qualcosa s’ha da fare.

Allora, chi può deve cercare di farlo. Non importa se poco o tanto, non importa se si abbiano le competenze o meno: tutti devono sentirsi chiamati in causa. Insieme, un pezzettino per uno, si può.

Tutti insieme, solidali, si impara e si cresce in fretta. Si arriva persino a un nuovo modello di pilotaggio. Un modello democratico.

Ma se siamo passivi, disabituati all’iniziativa, sfiduciati, rassegnati, struzzi con la testa nella sabbia, e i pochi che ci provano, abbiano o no le capacità,  sono solo criticati, boicottati e lasciati soli a lottare contro i venti in quota, lo schianto è assicurato. E amen.

Milena Debenedetti

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