La vicenda di Brindisi

Terrorismo: usi e utilità

 Terrorismo: usi e utilità

 La vicenda di Brindisi ha gettato il Paese in una sensazione mista di rabbia, profonda commozione e paura.

Ben lo sanno le persone che hanno assistito impotenti e sgomente alla cronaca dei fatti così come sono stati raccontati dai media e dalla rete.

 Una fanciulla che, come tutte le mattine e come milioni di ragazze e ragazzi, ha salutato in casa per recarsi a scuola, magari felice che fosse sabato e con i pensieri rivolti alle ore che sarebbero succedute dopo l’impegno scolastico, magari di ricreazione, di compagnia con le coetanee o col suo compagno d’amore.

Invece quelle ore non ci sono state perché sono state fatte esplodere vigliaccamente poco prima delle 8.

Un brivido ha percorso sia i coetanei che i genitori di tutta Italia. Un brivido che può essere stato accompagnato da una immedesimazione con relative reazioni.

Di sicuro, però, a queste reazioni umane si è affiancato un disagio, un interrogativo che ha scaturigini in un passato neanche troppo lontano: quello della strategia della tensione.

Molto si è scritto di quel periodo italiano (“la notte della repubblica” venne chiamato da Zavoli), e dei periodi bui che hanno caratterizzato la nostra storia d’Occidente.

 

Con un tempismo cronometrico questo gravissimo fatto brindisino avviene dopo una serie di richiami dell’attuale Presidente del Consiglio circa la tenuta sociale del Paese, a seguito della grave crisi mondiale e degli effetti drammatici che i condivisi provvedimenti imposti dall’UE e la BCE stanno avendo sulle popolazioni dei Paesi europei più fragili.

E le dichiarazioni pubbliche successive (da Monti a Grillo) hanno più o meno chiaramente indicato come la fase sia delicata, facendo espliciti richiami allo stragismo, al terrorismo e alla necessità dell’”unità”.

Al di là degli esiti di indagine portati avanti dalla magistratura, nell’augurio di non ritrovarsi tra qualche decina d’anni nella stessa penosa situazione della strage di Piazza della Loggia di Brescia (un mero esempio tra i tanti, forse troppi, disponibili) vorremmo qui porre l’attenzione su quanto la paura collettiva sia uno strumento molto efficace del controllo delle masse, e di come questo possa essere utilizzato.

Sia per i terroristi che per le istituzioni che si dichiarano contro.

La strategia del terrorismo, infatti, agendo sulla psicologia crea ansia, insicurezza, paura, destabilizzazione, scuotendo profondamente la psiche delle persone, sia in termini soggettivi che collettivi.  “Una bomba, può condizionare emotivamente un’intera classe politica, colpendo la psiche del popolo, rendendolo fragile, dicendo ai cittadini “non siete protetti, siete nelle nostre mani” (cit. Cinzia Iannaccio), connotando così gli individui come popolo, massa. Una classe politica che può rispondere in modi diversi……

Ed in riferimento a questo passaggio -dall’individuo a massa- non possiamo dimenticare che la scienza psicologica da tempo si occupa dei fenomeni delle masse e di come queste possano essere manipolabile.

A cominciare dai primi anni del secolo scorso, con Le Bon e la sua Psicologia della folla (1895): “se le masse sono l’esito di un processo involutivo della coscienza e della ragione è quasi scontato pensare che esse debbano essere controllate e instradate su una giusta via da un’elite o da un capo che abbia conservato una forte individualità, quasi che le folle fossero considerate al pari di un incapace bisognoso di tutela. (….) Secondo l’autore l’uomo inserito nella massa ha bisogno di illusioni, di passioni, è animato dalla volontà di credere e questa volontà cresce nel momento stesso in cui le vecchie illusioni sono state messe in crisi dall’illuminismo. Mentre la ragione è fatto transitorio, il sentimento e il bisogno di credere sono forze arcaiche ed eternamente operanti dell’uomo e il capo deve colmare con nuove speranze e illusioni questa sete di speranza. Se si guarda alle grandi rivoluzioni, diceva Le Bon, si nota come tutte furono prodotte dalla speranza e dalle fede e non da un accurato ragionamento: il cristianesimo e l’islamismo, il successo della rivoluzione francese e di Napoleone sono frutto della fede e della speranza e non della “ragion pura”. (cit. Psicologia delle folle: i tiranni la usano come killer mentale, di Marco Unia).

Ma solo i tiranni sfruttano le masse manipolandole con la “guerra psicologica”?

Leggiamo qui (cit. Solange Manfredi):

“la Guerra psicologica consiste nell’uso pianificato di operazioni psicologiche allo scopo principale di

influenzare

opinioni,

emozioni,

atteggiamenti

e comportamento

delle

masse”.

Lo scopo è quello di ordinare e normalizzare per  procedere alla realizzazione di procedure, norme o leggi che altrimenti non potrebbero realizzarsi.

Facciamo qui esempi molto distanti tra loro: “l’uovo di serpente”, film di Bergman e i Patriot Act, in vigore negli USA con la guerra al terrorismo post 11 settembre, o le misure emergenziali istituite da Putin nel 2006.

“Condizione necessaria perché le operazioni di guerra psicologica possano aver successo è quella di creare

nella “popolazione obiettivo” frustrazione insicurezza e paura. Queste condizioni, infatti, riducono l’uomo ad

uno stato di sottomissione in cui le sue capacità di ragionamento sono annebbiate e in cui il suo responso

emotivo a vari stimoli e situazioni diventa non solo prevedibile ma “sagomabile”.

Per creare frustrazione, insicurezza e paura si devono creare all’interno del paese le seguenti condizioni:

inflazione

tassazione non equa

concussione e corruzione

appoggiare forme di sanzione o altro

scarsezza di necessità primarie come di abitazioni, lavoro e altro

fomentare l’intolleranza razziale e religiosa

disunità politica e mancanza di fiducia nei capi (ed in alcune istituzioni)

mancanza di risorse che possono sostenere l’economia

azioni di terrorismo e di violazione dei diritti umani

Create queste condizioni l’operatore di guerra psicologica può iniziare il suo lavoro”……..

 

A che punto siamo?

Patrizia Turchi

 

 

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