La saggezza del monaco buddista

La saggezza del monaco buddista

Quando la religione serve a qualcosa

La saggezza del monaco buddista

Quando la religione serve a qualcosa

 Recentemente un gran numero di rifugiati, molti dei quali provenienti dal Medio Oriente, sono arrivati in Europa perché la loro vita era in pericolo. Hanno ricevuto accoglienza e sostegno, ma la soluzione a lungo termine dovrebbe includere la formazione e l’istruzione, in particolare per i loro figli, in modo che un giorno possano tornare a ricostruire i loro Paesi, una volta che la pace sarà ristabilita“.

Sono, testualmente, le parole pronunciate qualche giorno fa a Malmö dal Dalai Lama, che di esilio e dell’esser costretti a chiedere ospitalità se ne intende. Vinco la tentazione di confrontare le parole di Sua Santità con quelle dell’altra Santità, quella di stanza in Vaticano, perché sarebbe un confronto impietoso e qualche battezzato potrebbe essere tentato dal seguire l’esempio di Richard Gere.


Parole semplici e chiare inserite in una visione altrettanto chiara e semplice dei popoli e del rapporto con la loro terra: l’Europa agli europei, il Tibet ai tibetani e, aggiungo io, l’Africa agli africani. Con l’impegno, per ciascun popolo, di perseguire col lavoro, l’intelligenza, la pace interiore quella felicità che ci è dato di fruire nella nostra esistenza. Che se poi, come è accaduto ai tibetani, si è cacciati dalla propria terra il legame che ad essa ci unisce non deve essere spezzato ma si deve conciliare il contributo al Paese che ci ospita con la custodia della propria lingua, della propria cultura, delle proprie tradizioni senza mai abbandonare la speranza del ritorno in patria. E la memoria corre alla Siria, che gli Stati Uniti della presidenza Obama con la complicità dell’Europa hanno cercato in tutti i modi di distruggere e che solo la caparbietà di Assad, la fedeltà del suo esercito e della grande maggioranza dei suoi cittadini, e non ultima la protezione della Russia, sono riuscite a salvare.

Ma nel frattempo non sono state solo distrutte città e infrastrutture, si è anche favorito l’esodo dei siriani, e soprattutto della loro parte più colta e qualificata, verso l’Europa e in particolare la Germania, grazie alla carità pelosa di Angela Merkel. Bene, se quel milione di profughi non verranno messi in condizione di tornare nelle loro case sarà un guaio per la Siria anche dopo che il bubbone terrorista sarà stato del tutto estirpato. Una considerazione non molto diversa deve essere fatta per gli altri migranti, che profughi non sono, che abbandonano la Nigeria, il Senegal e tanti altri paesi africani. L’Africa ha contemporaneamente bisogno di manodopera a tutti i livelli, tecnici, insegnanti, operai, braccianti, e di contenere la sua dissennata natalità. I figli, per i Paesi dell’Africa sub sahariana, non sono una ricchezza o una scommessa per il futuro ma un peso che poi si pretende che vada a gravare sugli altri continenti. Come l’hanno capito i cinesi lo dovranno capire anche gli africani. E lo dovrebbero capire anche la Chiesa cattolica e le associazioni umanitarie a meno che non sia vero che la loro ragion d’essere e la linfa da cui traggono nutrimento sta proprio nel degrado, nell’abbrutimento, nella malattia.

Di sicuro non l’ha capito il ministro degli interni lussemburghese, che, ripetendo il mantra caro alla sinistra di casa nostra e mettendoci anche del suo, per difendere l’invasione africana sostiene che anche gli italiani sono stati migranti e proprio in Lussemburgo avrebbero trovato i mezzi per mantenere i propri figli. A parte l’oscenità di un ministro del fazzoletto di terra che funge da cassaforte e lavanderia del denaro sporco di mezzo mondo che pretende di dar lezioni all’Italia e al suo ministro, bisogna ripetere ancora una volta che gli italiani, come i greci, gli spagnoli, gli irlandesi, i russi o gli ebrei, quando sono emigrati negli altri continenti o nella stessa Europa l’hanno fatto passando al vaglio degli uffici di immigrazione, con regolari visti di ingresso e un contratto di lavoro; nessun comitato di accoglienza, nessuna ospitalità, nessun kit con vestiario, bicicletta, scheda telefonica, smartphone e cuffie stereo, nessuna sicurezza di poter mettere insieme il pranzo con la cena ma lavoro duro, sottopagato, senza assistenza sanitaria, senza nessuna delle garanzie riservate ai nativi e in compenso diffidenza, emarginazione, scoperta ostilità. Come quella riservata dai “cugini” francesi ai lavoratori italiani, spaghetti macaronì. Il tempo è galantuomo e i figli della nostra terra hanno dato assai più di quanto abbiano ricevuto portando nella loro nuova patria il patrimonio della loro intelligenza e della loro laboriosità. Loro sì sono stati delle risorse. Ma farlo capire ai lacchè della finanza è un’impresa improba.


Noterella conclusiva

Il Dalai Lama, com’è giusto che sia, si riferiva ai profughi, legittimati come tali dal buon senso e dalle convenzioni internazionali a forzare le norme che regolano l’ingresso in uno Stato sovrano. Gli altri possono essere definiti in qualunque modo, disperati, avventurieri, migranti economici, ma sono semplicemente invasori e non dovrebbero essere tollerati in alcun modo; i governi che consentono loro di varcare i confini vengono meno al loro primo e principale compito. Altro che Bossi-Fini (uno scivolone pazzesco del parlamento), centri di identificazione, richieste di asilo, e ricorsi; l’invasione non è un reato, non riguarda i giudici: è un atto ostile che richiede l’intervento di esercito, marina militare e polizia. Ma non basta la consapevolezza che chi tenta di invadere il suolo della Patria deve essere fermato con ogni mezzo e riportato da dove è venuto, perché da qualche parte sarà pure passato e accordi o non accordi è lì che va riportato indipendentemente dalla sua nazionalità; bisogna che Salvini e la Lega si convincano che se anche ci fossero, e non ci sono, dei profughi provenienti da zone di guerra questi, in quanto tali, una volta presi in carico sono sì tenuti a rispettare le leggi di chi li ospita pro temporema devono essere incoraggiati a custodire la propria identità e la propria cultura nella prospettiva di un ritorno a casa loro; e non si parli di integrazione o inclusione: quelle riguardano singoli individui che, quale che sia la loro provenienza, chiedono e ottengono di trasferirsi nel nostro Paese e di restarci. I profughi, ammesso che ce ne siano di veri, non sono i Padri pellegrini e l’Italia non è una terra da colonizzare: finita l’emergenza tanti saluti.

   Pier Franco Lisorini

   Pier Franco Lisorini è un docente di filosofia in pensione

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