LA RAGAZZA DI NOME MILENA
LA RAGAZZA DI NOME MILENA |
LA RAGAZZA DI NOME MILENA
Il 9 luglio scorso si è spenta novantacinquenne all’ospedale S. Paolo di Savona Milena Milani. La scrittrice – ma anche pittrice, ceramista, giornalista nonché instancabile promotrice culturale e amica di artisti tra i più grandi del Novecento – era nata a Savona alla vigilia di Natale del 1917, in un caseggiato di Via Venti Settembre (oggi Via Quattro Novembre), situato davanti all’intrico di binari e di scambi della stazione ferroviaria “Letimbro”, quasi la prefigurazione di una vita movimentata in tutti i sensi. Questo dato biografico avrà di certo il suo peso quando, sul finire degli anni Settanta del secolo scorso, Milena mobiliterà il mondo della cultura e degli artisti savonesi – e non solo – nel vano tentativo di salvare dall’improvvida e barbarica demolizione la vecchia stazione, un elegante edificio ottocentesco – tra l’altro caro a (quasi) tutti i savonesi – che avrebbe potuto, con una minima spesa, essere adibito a biblioteca e a centro culturale per mostre o museo permanente d’arte contemporanea. Niente da fare, altri interessi per nulla estetici ebbero il sopravvento. Il padre, Tullio Milani, livornese con simpatie anarchiche, era agronomo, e lavorava con i contadini nel Campo Sperimentale di Legino; la madre, Anna Antonione, una solida piemontese di Dogliani, la terra della famiglia Einaudi, accudiva la casa e le due bambine: Milena e la sorella minore Ada. La vocazione artistica di Milena fu precoce: “Ho incominciato da bambina. Ero sempre divisa tra l’idea di scrivere dei racconti, un romanzo, poesie e il dipingere. Ma in quei tempi, che sono molto lontani, non c’era assolutamente nessuna possibilità a Savona , non c’erano gli istituti d’arte dove uno potesse studiare. Nella mia storia umana esiste un piccolo segreto. Di nascosto dai miei genitori andavo in bicicletta a Albisola , dove frequentavo un artista tonale che mi dava lezioni di pittura” (Lorenza Rossi, Intervista a Milena Milani. in M. M. una vita in collage, Seneca edizioni, 2012). Abbiamo qui, in nuce, quella che sarà la multiforme ricerca ed esperienza artistico-letteraria di Milena: dalle prime poesie, ai tentativi in pittura, ai racconti, ai romanzi “esistenzialisti”, alle pionieristiche e, per quei tempi, scabrose inchieste sul sesso in Italia e in Oriente, ai diari in pubblico (come l’intervista sopra citata), alle sue “parole dipinte”, alle cronache d’arte e alle narrazioni autobiografiche. L’artista tonale che iniziò la ragazza Milena alla pittura era il savonese G. B. De Salvo, che però ben presto si invaghì della giovanissima allieva, la quale non era per niente incline a seguirlo su quel terreno (e nemmeno, per la verità, su quello della pittura tonale): “Non mi ero accorta che lui si era innamorato di me, che diventava possessivo più di mio padre, tanto da pretendere di sapere minuto per minuto ciò che facevo quando non gli ero accanto. I nostri incontri metafisici sulle rive del Sansobbia diventarono un incubo e non rimasero nascosti” (Op. cit.). Ne nacque uno scandalo – anche per un suo articolo sul pittore pubblicato dal Giornale di Genova – il primo di una lunga serie. Il forte temperamento, passionale e ribelle, insieme a una straordinaria bellezza che incantava non soltanto, ma soprattutto, gli artisti, con in più un animo inquieto e un’acuta sensibilità etico-estetica che non le permetteva di adattarsi ai luoghi comuni o alla doppia morale borghese, non erano certamente tratti di una personalità che le promettessero una vita tranquilla, posata, ordinata e senza conflitti interni, con i loro inevitabili risvolti relazionali e le loro ricadute esterne ( come, ad esempio, nella incredibile e incresciosa vicenda editoriale e giudiziaria del suo più noto romanzo La ragazza di nome Giulio, rifiutato da Mondadori e poi pubblicato da Longanesi, cito testualemente sempre dall’intervista a Lorenza Rossi: “…mi chiamò Goffredo Parise che lavorava da Longanesi: ‘Bisogna cambiare il titolo, metteremo Io , perché è la tua storia, no? Inutilmente gli dissi che sbagliava, che non avrei accettato e che non avrei firmato il contratto. Avevo detto di no e basta. Non cedetti a nessuna pressione, dissi che non volevo ascoltare quei discorsi. Non so come venni accontentata, il libro uscì, erano i primi mesi del 1964. Dopo poco venne sequestrato, furono distrutti persino i piombi della composizione”). Ma riprendiamo il filo di questo breve excursus biografico là dove lo avevamo lasciato: completati gli studi medi e conseguito il diploma di abilitazione magistrale presso l’Istituto Della Rovere di Savona, si trasferisce a Roma “per tagliare i ponti con il passato, per affrontare da sola una vita diversa”; si iscrive all’Università La Sapienza e frequenta diverse facoltà oltre a quella di Magistero; “Fui proiettata in un mondo nuovo, in una realtà che poteva essere drammatica per una ragazza della provincia come me. Mia madre, però, quasi subito mi raggiunse per vedere con i suoi occhi come mi ero sistemata”(Op. cit.). Nel 1941 partecipa ai Littoriali femminili a Sanremo e vince l’Emme d’oro del Duce quale prima Littrice per la poesia, ma, più che frequentare le aule universitarie, va “a teatro, al cinema, alle mostre, alle conferenze; mi recavo ogni pomeriggio da Aragno, a San Silvestro, in centro, nella famosa Terza Saletta dove c’era Ungaretti, c’era Cardarelli, dove avrei conosciuto tutti e dove sarei stata chiamata ‘la studentessa’ e, a volte, in modo dispregiativo, ‘la settentrionale’” (Op. cit.). La Terza Saletta del Caffè Aragno fu la sua vera universitas studiorum: lì si incontravano gli intellettuali, gli scrittori, i pittori presenti a Roma e avversi alla dittatura e alla guerra, come Moravia, Corrado Alvaro, Renato Guttuso e fu per Milena anche una scuola di formazione politica; tanto che, alla caduta del fascismo, “con altri studenti, andai dietro a Ungaretti e a Corrado Alvaro che si dirigevano in Via del Tritone per occupare un quotidiano fascista”. Senonchè quella occupazione non rimase senza conseguenz, determinò anzi una svolta decisiva nella vita di Milena: “Venni chiamata a Roma dal direttore tedesco del Goethe institut che mi stimava dal tempo dei Littoriali. Mi mostrò un foglio delle SS dove, tra altri, c’era il mio nome. Disse che mi avrebbero arrestato e portato a Via Tasso. Le SS trovarono ignobile il mio comportamento dato che ero Emme d’oro del Duce. Il dottor Prinzing (si chiamava così) mi costrinse a partire la mattina dopo per Venezia, nel convoglio del generale Wolf che comandava le SS in Italia. Per salvarmi disse che avevo agito con leggerezza ma che ero sempre devota al Duce”(Op. cit.). E fu così che si ritrovò in una Venezia “piena zeppa di gerarchi, funzionari, ministri, attori, produttori. La mia amica Assirelli fu meravigliata di vedermi, ma io le spiegai che avevo perduto il mio lavoro a ‘Roma Fascista’ e alla Gioventù Italiana del Littorio. E che volevo un’altra vita, arte e poesia”(Op. cit). A Venezia già aveva conosciuto il critico Renato Giani e il suo amico gallerista Carlo Cardazzo, in occasione della mostra collettiva Il gioco del Paradiso alla Galleria del Cavallino, in cui esponevano le loro opere scrittori e poeti che disegnavano e dipingevano. Senza quella fuga da Roma sull’auto del generale Wolf, chissà se l’iniziale amicizia con Cardazzo sarebbe mai diventata il grande amore della sua vita, con tutto quello che questo ha comportato per la storia dell’arte del Novecento! A Venezia Milena, grazie anche alla sua collaborazione con Cardazzo nell’allestimento delle mostre alla Galleria del Cavallino, conosce e frequenta artisti come Arturo Martini, Massimo Campigli, Francesco Messina, Carlo Carrà e, soprattutto, Filippo De Pisis. Nei primi anni del dopoguerra, Milena, che all’inizio degli anni Quaranta aveva “civettato” con il Futurismo, tanto da essere insignita da F. T. Marinetti del titolo di “Comandante generale di tutte le donne futuriste d’Italia”, aderisce con entusiasmo allo Spazialismo di Lucio Fontana, movimento fondato a Milano nel 1947, il cui primo Manifesto (Manifiesto Blanco) era stato redatto l’anno precedente a Buenos Aires; vi si prospettava una nuova concezione dello spazio nell’arte e l’abbandono della pittura ottocentesca da cavalletto, con il superamento dei limiti della tela o del foglio o del supporto materiale: “l’arte rimarrà eterna come gesto, ma morirà come materia”. Nel 1948 Lucio Fontana redige un nuovo Manifesto, firmato anche dal critico Giorgio Kaisserlian, dallo scrittore Beniamino Joppolo, dal poeta Antonino Tullier e, appunto, da Milena Milani (che sottoscriverà tutti i successivi manifesti dello Spazialismo, fino all’ottavo e ultimo, pubblicato il 5 giugno 1958): “vogliamo che il quadro esca dalla sua cornice e la scultura dalla sua campana di vetro”. Gli spazialisti, tra cui Roberto Crippa, Gianni Dova e Giuseppe Capogrossi, frequenteranno anche Albisola, dove Milena era di casa e dove Lucio Fontana aveva già lavorato negli anni Trenta, per la ceramica. Nel 1949 Fontana espone, o meglio, installa il primo “Ambiente spaziale a luce nera di Wood”, alla Galleria del Naviglio di Carlo Cardazzo, in Via Manzoni 45, che diventerà la sede ufficiale del Movimento. Scrive ancora Lorenza Rossi, ripercorrendo la vicenda artistica dell’autrice: “Milena Milani rimane coerentemente fedele allo Spazialismo per tutta la vita. Il collage presuppone una forte componente antimaterica. La stessa azione del tagliare equivale a negare, a scindere la materia; il raccogliere è un decontestualizzare dall’origine, dal luogo primigenio”. Ed è quello che succede, a ben considerare, anche sul versante letterario dell’opera di Milena: nei suoi romanzi e racconti la materia originaria della sua esperienza vissuta è continuamente trasposta, trasfigurata, ritagliata, destrutturata, proiettata in un infinito gioco di specchi in cui l’io si scinde e si ritrova attraverso altri personaggi che, a loro volta, perdono se stessi mentre si cercano nei loro labirinti interiori. Emblematico, per questo aspetto, è Storia di Anna Drei, il suo primo romanzo, pubblicato da Mondadori nel 1947, dove i due personaggi femminili si rispecchiano l’uno nell’altro, finché una, Anna Drei, viene uccisa per gelosia da Mario, innamorato dell’altra, e quest’altra, che è anche l’io narrante del romanzo, quasi l’invidia: “Sarebbe stata una morte dolce per me, da tanto tempo io l’aspettavo”. Il 1963 è un anno terribile per Milena: Carlo Cardazzo muore di leucemia, in un ospedale di Pavia. “Rimasta sola, trascorre un periodo di smarrimento, non riesce neppure più a parlare, nemmeno con sua madre con la quale comunica per qualche tempo con messaggi, scusandosi di questo con la sua genitrice. Poi raccoglie i frammenti dispersi della sua identità, come le vecchie fotografia che rivede e ritaglia…” (Op. cit.). Anche qui la tecnica del collage l’aiuta a superare il senso di vuoto e di frantumazione dell’io in cui questo lutto l’ha precipitata. Nel 1964 pubblica da Longanesi, come sopra abbiamo ricordato, il romanzo dello scandalo La ragazza di nome Giulio, in cui si narra di una ragazza di buona famiglia borghese che ha scelto di chiamarsi Jules in memoria del padre. La giovane viene iniziata al sesso dalla sua governante che odia gli uomini; in seguito Jules scopre non solo di essere incapace di provare piacere ma di essere anche incapace di amare. Alla fine, esasperata, ucciderà un amante occasionale colpendolo proprio nel sesso. Condannata in primo grado a sei mesi di prigione per oltraggio al comune senso del pudore, malgrado la testimonianza di Giuseppe Ungaretti, Milena venne poi assolta in appello nel 1968. Un’altra vertenza giudiziaria amareggiò la scrittrice in quegli anni: la famiglia di Carlo Cardazzo le intentò causa per questioni relative all’eredità del grande collezionista. Alla fine Milena ottiene un risarcimento di cento milioni di lire in opere d’arte per il suo ventennale lavoro alla Galleria del Naviglio. Con la maggior parte di queste opere verrà costituita a Savona, nel 2003, la Fondazione Museo di Arte Contemporanea Milena Milani in memoria di Carlo Cardazzo, a testimoniare il legame affettivo con la sua città natale che, per la ragazza di nome Milena, non è mai venuto meno. La sua è stata una lunga fedeltà alle sue origini e alla sua vocazione d’artista cosmopolita.
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