CINEMA: Come pietra paziente

 
RUBRICA SETTIMANALE DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
In sala in provincia di Savona
Come pietra paziente

RUBRICA SETTIMANALE DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO

In sala in provincia di Savona
Come pietra paziente

 Regia: Atiq Rahimi

 Interpreti: Golshifteh Farahani, Hamid Djavadan, Hassina Burgan, Massi Mrowat, Mohamed Al Maghraoui

Distribuzione: PARTHENOS S.R.L.

Produzione: The Film, Razor Film Produktion GmbH, Corniche Pictures

Genere: DRAMMATICO

Durata: 99

Origine: Francia

Anno: 2012

Uscita: 2013

Recensione di Biagio Giordano

In sala nella provincia di Savona

Kabul, Afghanistan, territorio e servizi sono nel caos per una guerra civile in corso, è una lotta armata tra tante, devastante per la popolazione civile che appare sempre più stremata, il  paese è martoriato da più di 25 anni di odi.

Una giovane moglie (Golshifteh Farahani) con due figlie piccole si trova costretta ad assistere, nella sua modesta abitazione, il marito mujaeddhin [(combattenti islamici patrioti) (ruolo interpretato da Hamid Djavadan)], un eroe di guerra, in coma per una pallottola nel collo; il ferimento è avvenuto in  seguito a uno scontro fisico avuto con un compagno d’armi che  ha pesantemente insultato sua madre.

La donna cura il marito da più di due settimane, ma ormai non ha più un soldo né la speranza che l’uomo si riprenda dal coma, nessuno le fa più credito neanche la Farmacia, decide quindi di preparare una soluzione di acqua, zucchero e sale e lasciarla diluire lentamente nella bocca del marito con un tubicino di plastica, sperando non tanto in un effetto placebo quanto  in un miracolo per la sua buona condotta di moglie.

La donna riceve conforto e un aiuto spirituale solo dal predicatore mullah del quartiere (Mohamed Al Maghraoui). L’unica parente rimasta in vita, in grado di aiutarla concretamente,   una zia, è andata via dal suo quartiere e nessuno dei suoi vicini vuol dirle dove si è trasferita.

Dopo la mancanza  dell’acqua potabile e il bombardamento di una parte della sua casa la donna decide di trovare a tutti i costi sua zia (Hassina Burgan) e di lasciarle le due bimbe. Ma solo mostrandosi sufficientemente dura  riuscirà ad indurre una famiglia a darle l’indirizzo che cerca.

La zia l’accoglie volentieri, non ha problemi economici, gestisce una casa di piacere con cui è diventata ricca. Dopo aver tranquillizzato   sua nipote promettendogli aiuti, le rivelerà cose di sé che  non conosceva ancora: sono pagine biografiche curiose e inquietanti che  arricchiscono la  conoscenza della nipote di aspetti più profondi della cultura in cui vive.

Lasciate le due figlie dalla zia la donna ritorna poi ad assistere il marito in coma.

 

Un giorno un giovane miliziano (Massi Mrowat), timido e balbuziente, scambiando la donna per una prostituita cerca, col del denaro, un facile approccio fisico, nella casa dove essa assiste il marito in coma. Lei chiarito dapprima l’equivoco, accetta poi il rapporto senza rimanerne alla fine delusa. Gli incontri si ripeteranno piacevolmente, diverse volte, senza risvolti gestuali maschilisti da parte del militare, questo susciterà in lei una sorta di insperata fiducia,  un sentimento di rispetto nuovo verso se stessa, un amor proprio che le fa nascere il desiderio di comunicare con  il marito in coma,  un uomo che nel rapporto con lei è stato spesso violento e privo di scrupoli.

 

La donna  comunicherà tutta l’angoscia, presente fin dagli inizi del loro matrimonio, lo farà raccontando anche   gli episodi più trasgressivi, costruiti per andare contro la volontà totalizzante del marito, episodi tenuti nascosti da lungo tempo per paura, la donna riporterà tutto ciò che  in qualche modo  ha funzionato nel passato da compensazione dei disagi insopportabili affrontati come moglie.


 

Il marito immobile diventerà allora  la “pietra paziente”,  una metafora popolare presente nella tradizione orale locale. Una sorta di  leggenda che parla di una pietra posata tra  piedi i piedi della persona sofferente che le consente di  confidare ad essa le proprie delusioni e afflizioni della vita finché  sovraccaricata dai dolori raccolti essa non si frantuma consentendo all’angosciato l’inizio di una  nuova vita.

 

Come finirà questa storia, si risveglierà il marito dal lungo coma dopo le confidenze della moglie?  Magari facendo intendere alla donna che ha capito quanto gli è stato raccontato di più sconcertante? Oppure tutto è destinato a rimanere come prima, cosa che annullerebbe ogni speranza in un prossimo cambiamento della situazione?

 

Il film è diretto da Atiq Rahimi, afghano (Kabul, 6 febbraio 1926) naturalizzato francese, residente a Parigi, noto per essere l’autore del libro Terra e cenere uscito nel 2000, best seller in Europa e in Sudamerica, e regista dello stesso  film uscito nel 2004  vincitore  del premio Prix du Regard vers l’Avenir al Festival di Cannes 2004. Anche questo film La pietra paziente è tratto da un suo libro  dal titolo un po’ diverso Pietra di pazienza vincitore del premio letterario francese Goncourt nel 2008.

 

Atiq Rahimi piace alla critica e al pubblico europeo dediti alla letteratura e al cinema sia come scrittore che come autore regista, soprattutto  per come egli riporta  le verità di costume, di storia, di cultura  dalla sua natia società  afghana. E’ un modo sobrio, letteralmente disciplinato, esteticamente essenziale tinto qua e là di descrizioni colorite legate ai piaceri e al buon gusto della vita dei ceti meno poveri del suo paese. Un procedimento intessuto di speranza e orgoglio, che non  scade mai in forme di rassegnata denuncia ma che sa  mettere ben in contrasto la vitalità drammatica delle varie culture del suo paese con uno sfondo generale del sociale più spirituale che sembra ancora in grado di tracciare con l’ausilio della fede religiosa un futuro di bene collettivo.

 

Atiq Rahimi  non tralascia nei suoi racconti alcuna rappresentazione del male osservato o patito, dipinge il mondo afghano in tutta la sua complessità, fatta da una parte di arretratezze tribali spaventose, e dall’altra di elevate spiritualità teologiche indubbiamente di grande impatto empatico positivo  per la grande solidarietà sociale che manifestano, Atiq Rahimi rende chiaro come nel suo paese sia presente anche  una  reattività al male, precisa e forte,  fatta di  idee di libertà e di progresso, di femminismo inconscio ancora troppo poco elaborato ma che si muove con forza tra le pieghe della violenza: in forme primigenie di ribellione. Egli riporta realtà vive che si scontrano, troppo spesso tragicamente, con un mondo fatto di potere aristocratico segnato dal maschilismo più retrivo che tende a chiudersi  in se stesso, seppur come evidenzia il film, esso rispetto a tempi passati più recenti, mostri numerose salutari crepe.

 

Il film fotograficamente ha un’andatura ricca di significazioni molto ricercate, semplici nel risultato d’effetto, un linguaggio visivo che informa sull’Afghanistan più di quanto possa sembrar poter fare  normalmente un film. Ad esempio l’acqua, la rete elettrica, il pane, aspetti legati ai bisogni umani fondamentali vengo seguiti con la macchina da presa nei suoi effetti di mancanza più umilianti destando nello spettatore profonde commozioni e ripulsa per ogni conflitto bellico.

BIAGIO GIORDANO

E’ USCITO IL NUOVO LIBRO

DI BIAGIO GIORDANO

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Recensione di 20 film tra i migliori del 2012 e del 2013 tratti dalla rivista settimanale on-line Trucioli savonesi, film recensiti con una particolare attenzione alla fotografia e agli aspetti letterari e psicanalitici della pellicola.

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