La psicoanalisi di Enzo Bonaventura
IL LIBRO DELLA SETTIMANA a cura di Biagio Giordano
La psicoanalisi
di Enzo Bonaventura
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IL LIBRO DELLA SETTIMANA
a cura di Biagio Giordano
Enzo Bonaventura, (1891-1948) Figura importante nel movimento sionista italiano, Enzo Bonaventura è stato in Italia un divulgatore scientifico di rilievo: sia per quanto riguarda la psicologia accademica che la psicanalisi; di entrambe ha lasciato una preziosa testimonianza con un’opera scritta uscita nel 1938. Il suo interesse per le opere di Freud derivava sia da un amore straordinario per la scienza medica, in particolare per quanto riguardava temi all’epoca ancora molto sperimentali aventi per oggetto l’interiorità umana, che da una dignitosa presa di posizione etica rispetto al proprio disagio. Un disagio che era sociale-storico in quanto legato a eventi molto drammatici: come l’intolleranza e la persecuzione degli ebrei. L’antiebraismo, di cui anche l’Italia ha dato ampia dimostrazione macchiandosi di razzismo con le famigerate leggi del ’38 che prevedevano tra l’altro l’espulsione dalle scuole degli insegnanti di origini ebree, è divenuto per Enzo Bonaventura una inesauribile risorsa di studio, intelligenza, energia, amore per la ricerca della verità, quest’ultima ritenuta valida, pubblicabile, solo se formulata e dimostrata con chiarezza. Una ricerca quindi libera da ogni pregiudizio o malizia professionale, cosa che lo portava, nel campo della terapia psichica, a risultati di prestigio, contribuendo a mantenere l’Italia a contatto con le grandi culture europee legate al campo medico-psichico-analitico. Il libro La psicanalisi di Bonaventura, edito da Marsilio e uscito in questi giorni, era già stato pubblicato dalla Mondadori nel 1938 suscitando un notevole interesse scientifico. Il libro, per coglierne con maggior precisione alcuni aspetti problematici, ossia quelli ritenuti datati o ancora di forte richiamo rielaborativo in quanto in relazione con tematiche di attualità, andrebbe confrontato con ciò che è stato prodotto più recentemente nel campo della ricerca psicanalitica, che occorre dire dal ’38 ad oggi ha fatto ulteriori passi avanti, mantenendosi sempre ben ancorata al ricco pensiero teorico freudiano, il quale in virtù di una complessità teorica resa fertile da sfumature letterarie, filosofiche, artistiche di notevole valenza creativa, appare ancora oggi irriducibile a un sistema, pena uno scadimento metodologico di tipo scientista. Questi significativi passi avanti nella teoria freudiana, sono testimoniati in particolare dal pensiero di Lacan, sviluppatosi in Francia, che ha avuto anche in Italia dagli anni’60 in poi un seguito di rilievo e uno sviluppo mediatico notevole, ispirando forti investimenti nella formazione di istituti di ricerca e scuole di formazione psicanalitica divenuti successivamente di grande prestigio internazionale. Lacan, inconsapevolmente, ha obbligato il discorso scientifico applicato al freudismo, a interrogarsi sui suoi limiti, cioè sulla sproporzionata importanza data ai metodi di selezione delle formule di Freud, rilanciando il primato, nella cura, degli effetti di parola inconsci, artistici e poetici, costituiti da immagini logiche ma polisemiche, costitutive di un linguaggio altro, decifrabile, almeno in parte, solo lungo la comprensione dei meccanismi inconsci che stanno alla base del sintomo. Dal confronto del libro di Bonaventura con questi nuovi sviluppi della psicanalisi, ci si rende conto oggi della difficoltà che c’era negli ’30 e ’40 a comprendere i vari teoremi metalinguistici di Freud sull’inconscio. All’epoca si pensava infatti che l’inconscio potesse essere inteso, nei suoi principali funzionamenti, come una sorta di corpo mobile oscuro diviso dalla coscienza, qualcosa che la pratica della psicoterapia aveva il compito di ricomporre ridando unità psichica al soggetto malato di nevrosi. Da ciò il sospetto che in questo libro manchi qualcosa di rilevante, cioè un lavoro adeguato, nella direzione di una maggior specificità, sull’inconscio freudiano; dovuto al fatto che Bonaventura sembra voler muoversi come se fosse guidato a priori da un principio scientifico troppo ovvio, ossia escludente tutto ciò che di contradditorio, ridondante, eccessivamente minuto (tanto da apparire surreale), viene espresso dall’inconscio lungo una pratica analitica. Ne è probabilmente la prova, il giudizio errato che Enzo Bonaventura esprime sul caso di Dora, la ragazza in analisi da Freud affetta da una nevrosi isterica. Egli considera quel caso clinico risolto, in quanto attribuisce a Freud, per equivoco, una dichiarazione di avvenuta guarigione. L’analisi di Dora è durata in realtà poche sedute, la ragazza ha abbandonato improvvisamente l’analisi a seguito di un ritardo di Freud nel comprendere un’associazione logica tra i fatti che accadevano nel vivere di Dora e i relativi pensieri inconsci che essi rilasciavano nella paziente condizionando i rapporti transferenziali su Freud.
Biagio Giordano
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