La parabola del progresso (con Appendice su Trump e Biden)

 L’articolo di Fulvio Sguerso del 20 dicembre scorso mi ha fornito l’aire per approfondire un tema che è sempre stato alla base dei miei orientamenti politici e filosofici, nonché causa di dibattiti, anche accesi, con coloro, tra i quali molti miei amici, che considero gli eredi dell’Illuminismo, chi in toto, come mi pare sia Sguerso, e chi in parte, come il comune amico Giorgio Girard, padre della “psicologia debole” di derivazione heideggeriana.

 

L’autrice riflette sulla distopia, il contrario dell’utopia, il “luogo cattivo” dove nessuno vorrebbe finire, attraverso le opere, appunto distopiche, degli ultimi 150 anni, da 1984 a Il Mondo Nuovo, da Fahrenheit 451 a Il racconto dell’ancella ecc. 

Sguerso cita l’ultimo libro del grande pensatore Zygmunt Bauman, da poco scomparso, “Retrotopia”, intesa come l’indulgere della società contemporanea sul mito di un passato dai colori attribuitigli dalla nostalgia, di contro all’attuale società, pervasa dall’ansia di un futuro apocalittico. Retrotopia, insomma, come utopia al contrario o, con termine ormai entrato nel nostro vocabolario, distopia, sull’onda di romanzi, film e fumetti, che preconizzano, sulla base delle tendenze in atto, un futuro orribile, dal quale fuggire mentalmente verso l’utopia, posta come rinnovabile, della mitica età dell’oro descritta oltre due millenni fa da Ovidio nelle Metamorfosi e secoli prima da Esiodo nelle Opere e i Giorni, nella Genesi biblica e in chissà quanti altri miti e leggende di popoli più oscuri, dei quali non ci è pervenuto nulla. Constatare l’imperfezione del mondo attuale porta a vagheggiarne, per reazione, uno perfetto, posto in un utopico passato (nostalgia) o futuro (speranza).

Ciò corrisponde a due divergenti modi di pensare a quel “non luogo” (oy-topos): uno ottimistico, che vede il tempo come un costante progresso verso il meglio, e un altro, che definisco realista, che lo vede come una parabola, che va dall’asperità dei primordi alla decadenza ultima, passando per il suo apogeo. 

 

 

Vedo il progresso degli ultimi decenni come un parallelo della vita di un singolo, e prendo a modello la vita della Lollo nazionale (a mio giudizio la più bella donna di sempre) per ingentilire il percorso. Il massimo del fulgore data agli anni ’50 e ’60, con fonti energetiche e materiali facili ed abbondanti e ambiente ancora integro; poi comincia la maturità e, col nuovo millennio, l’inevitabile declino: Se ci sarà un futuro, sarà sulle ceneri dell’attuale civiltà

Ridotta all’osso, è questa la madre di tutte le divergenze ideologiche che contraddistinguono il modo di guardare al mondo della maggioranza dei cittadini. Dal canto loro, politica e religione tendono a dare una lettura improntata alla speranza, proiettata in un futuro comunque migliore del passato e del presente, proponendosi entrambe come mezzi efficaci per il suo conseguimento.

L’ingresso, improvviso e tempestoso, del Covid nelle nostre vite, ha accentuato invece nella gente la visione apocalittica, che prevale nei periodi bui; anche perché alla sua irruzione avevano spianata la strada gli anni precedenti, per il sensibile peggioramento delle condizioni di vita di una crescente parte della popolazione, angustiata da disoccupazione, precarietà, diseguaglianza sociale; fattori che hanno reso ancor più indigeste, per confronto, le nuove ristrettezze economiche. 

La mia personale visione è influenzata dalla mia formazione ambientalista; e come tale mi porta a condividere il modo di guardare al mondo, sin dalla preistoria, come un costante modellamento, dovuto all’opera dell’uomo. Certo non credo all’esistenza di un bucolico Eden, biblico o esiodeo, e sono ben consapevole dell’asprezza della vita, a partire dai primordi, ridotta ad una costante lotta per la sopravvivenza simile a quella degli animali selvatici, alla ricerca inesausta di cibo. Mi limito invece a fare il raffronto dell’esistenza umana sulla Terra con l’arco della vita di ognuno di noi, dall’infanzia all’adolescenza e alla giovinezza, per poi passare alla maturità e alla vecchiaia. Una parabola, che non soffre di eccezioni. E così vale anche per le civiltà, che nascono, si sviluppano e poi, dopo aver raggiunto il culmine, iniziano a declinare. È fisiologico.

 

 

“Un libro che si propone di rendere più agevole la comprensione delle cause profonde di quanto appare ogni giorno sui media: migranti che arrivano alle nostre porte, deforestazione delle grandi riserve della biosfera, degradazione delle risorse naturali alla ricerca di ciò che sembra indispensabile per il nostro modo di vivere […] mentre le forze politiche e i mezzi di comunicazione si fermano agli effetti”. Non diversamente dall’intellighenzia.

 Se ciò vale per ogni singolo essere vivente e per un consesso civile, i progressisti negano che altrettanto debba valere per l’umanità nel suo insieme e tentano disperatamente di allontanare la discesa post-apice con tutte le armi che l’odierna tecnologia mette a disposizione, pur se lungo strade gravide di incognite circa i loro effetti collaterali: il “fuoco amico” di cui abbiamo ormai ampia e crescente contezza. 

Per raggiungere questo obiettivo, si passa con disinvoltura sopra ai quotidiani segnali di dolore da parte di quanti non partecipano al banchetto generale, natura in primis. Migliaia di specie agonizzano per poi estinguersi a causa della nostra invadenza di ogni loro habitat, dall’Equatore ai Poli. I progressisti chiudono entrambi gli occhi e le orecchie per non vedere e sentire la scellerata ricerca e messa in atto dei mezzi per continuare lungo questo sentiero di morte. Dalle trivellazioni nel Mediterraneo a quelle nell’Artico, dalle miniere alle cave per estrarre ciò che serve ai nostri futili bisogni, dai roghi in Amazzonia ai disboscamenti in Nuova Guinea, il pianeta è costellato dalla frenetica ricerca di quanto serve al soddisfacimento di bisogni indotti di una fascia sinora ampia, ma in prospettiva decrescente, della popolazione mondiale, che un tempo, come civiltà contadina, sapeva cosa usare, cosa buttare e come riciclarla; mentre oggi, traslata alla formula industriale, si inginocchia ai diktat delle multinazionali dell’agro-business e avvelena i suoi stessi raccolti. Il progresso insomma si regge sullo spargimento a piene mani di veleni che pretende colpire solo altri esseri viventi, lasciandone noi indenni. 

Potrei continuare, ma tutti siamo ormai testimoni di come si sta sovvertendo il mondo. Cito solo, dal mucchio, l’ultima notizia riportata da un sito ecologico, con centinaia di migliaia di uccelli migratori morti di fame, per gli incendi e l’aridità trovati sul loro percorso. [VEDI]

 

 

I progressisti enfatizzano il netto miglioramento delle nostre condizioni di vita a partire dal secolo dei Lumi. A spese di chi? Certo, è stato molto facile, depredando quanto la Terra aveva da offrire. Si è cominciato con le risorse più a portata di mano, dopo la durezza delle catacombe carbonifere: le terre coltivabili erano abbondanti, il petrolio sgorgava sulle prime così copioso che ne abbiamo ampiamente abusato, per poi diventarne dipendenti anche quando il suo reperimento è diventato assai più costoso e offensivo dell’ambiente; mentre per spremere maggiore produttività dai campi non si è esitato a ingolfarli di concimi chimici, diserbanti e antiparassitari. E, in proporzione all’abbondanza dei raccolti, crescevano le popolazioni da sfamare, in una rincorsa senza fine.

Oggi si vive di promesse a lungo termine, che proiettano un mondo carbon-free, senza tener conto che un tale scenario, ammesso pure di avvolgere la Terra in impianti green, necessiterebbe di enormi quantità di materiali, sia per la loro erezione che, una volta dismessi, per un corretto quanto improbabile riciclo. Ma, ammesso per assurdo che l’energia solare sia gratuita (limitatamente al periodo di vita dei relativi impianti), ciò incentiverebbe il generale dissesto ambientale alla ricerca di nuovo materiale per erigere nuovi impianti e smaltire quelli obsoleti. Lo preconizzava già mezzo secolo fa un economista avveduto come Georgescu Roegen, fondatore della bioeconomia e teorico della decrescita. In base al suo insegnamento il 1° e il 2° principio della termodinamica (l’uno conservativo, l’altro dissipativo) si condensano in “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si disperde”, che si tratti di energia o di materia, in quanto entrambe si conservano, ma in uno stato degradato e non più utilizzabile. Il concetto di entropia, nato con la “scoperta” del 2° principio, che tratta delle trasformazioni irreversibili (in pratica tutte quelle reali) data dall’Ottocento, ma, costituendo la cattiva coscienza del nostro stile di vita, lo si rimuove dai calcoli economici. 

 

Entropia: più si insegue l’ordine in un punto e più si crea disordine altrove. Un disordine che si espanderà fino a vanificare anche l’ordine originario. Esempio eloquente l’effetto serra. “La scienza economica ha eliminato la dimensione ecologica dal suo orizzonte”, con ciò tradendo il suo principio fondante

Le maggiori critiche che si muovono all’Italia sono quelle di essere sempre “indietro” rispetto alle altre, di matrice anglo-sassone e nordeuropea. Questa deprecata arretratezza si è spesso rivelata come semplice prudenza, di stampo tradizionale, nell’accettare acriticamente ogni novità estranea.

Ad ogni eccesso si tende a contrapporne uno contrario; e così, dopo secoli in cui la pulizia richiedeva enormi sacrifici fisici (si pensi ai lavaggi a mano in fiumi e navigli), si è rapidamente passati all’ossessione attuale per l’igiene e la salute, minate proprio da uno stile di vita che sembrerebbe favorirle e che invece non fa che spargere le occasioni di sporcizia e malattie in ogni ambito, da quello urbano a quello lavorativo. Tanto che tra le industrie più floride si erge quella farmaceutica, da cui gran parte di noi è diventata dipendente, pur figurando essa tra i principali responsabili della nostra cagionevolezza. 

Discorso reazionario, retrivo? Si tratta soltanto di trarre ammaestramento dal passato, non mitizzandolo, ma sceverando quanto c’è di buono da ricuperare, consapevoli che un deciso cambio di marcia sarà doloroso; ma tanto più lo sarà quanto più ci ostineremo a percorrere l’attuale strada.

I più gravi e imminenti pericoli li vedo nel tentativo di omologazione mentale attraverso una dittatura “soft”, fatta di propaganda implicita che ci pieghi a compiere ciò che non avremmo mai voluto compiere, ma che alla fine ci sembrerà naturale: e lo parrà ai nostri figli ancor più che alla mia generazione, in procinto di uscire di scena e quindi non più in grado di fungere da whistleblower, per usare l’efficace espressione inglese di chi divulga cosa non va nella conduzione di un governo o di una società. 

 

 

Golden Rock in Myanmar (ex Birmania). Roccia devozionale che sorregge una pagoda buddista.  Per scendere agli affanni nostrani, questa immagine mi suggerisce quella dell’attuale governo, sempre in procinto di cadere e sempre in sella. In Italia niente è più stabile della provvisorietà

 La contrapposizione economia-ambiente non farà che acuirsi nei prossimi anni; e intravvedo in un orizzonte non tanto lontano il moltiplicarsi di editti per la salvaguardia dell’ambiente. Certo non dall’attuale governo, che vive alla giornata.

 

Appendice

Dopo l’assalto al Congresso di Washington da parte di trumpiani radicali, non si contano i commenti nostrani che allargano la sconfitta di Trump a quella, da loro presunta, del sovranismo, termine ormai considerato blasfemo dalla quasi totalità dei media nazionali e dalla sinistra che li ispira. Quella sinistra che, in un cupio dissolvi, spalanca i porti a chiunque, mentre segrega in casa gli italiani, nonostante l’evidente inutilità di queste restrizioni, se dopo il lungo lockdown natalizio (che Conte aveva promesso “sereno” nell’imporre nei mesi precedenti restrizioni simili) i contagi sono ciononostante ancora in crescita.

Quanto poi i detentori delle piattaforme social più invasive, come Facebook, Instagram e Twitter, godano di un potere superiore a quello degli Stati è stato confermato dal blocco da loro imposto all’account di Trump in quanto deviante dalle loro regole. Oltre a pagare briciole di tasse, si comportano da veri e propri padroni dell’informazione, come se Internet fosse un loro riservato dominio. Di fatto sono dei monopolisti, ma si ergono a difensori della libera concorrenza e della libertà di opinione, in coerenza col modus operandi dei loro pari grado di Wall Street e dei governi filo-finanziari che li sostengono.

 

 

Damnatio memoriae per Trump e santificazione di Biden. L’America torna nel solco

 Joe Biden esce da questa vicenda santificato, mentre Donald Trump, che ha risollevato l’America produttiva, anziché parassitaria, a livelli dimenticati da decenni, è stato bocciato dagli stessi americani che egli aveva strenuamente difeso. Perlomeno l’Italia, governata da troppo tempo da un governo incapace e lesivo dei nostri interessi, se fosse lasciata libera di votare, eleggerebbe i sovranisti, dimostrando maggior acume degli americani. Ma sinistra e progressisti non lo consentiranno, continuando a trascinare l’Italia verso il baratro.

Ho a più riprese manifestato su queste pagine la mia scarsa simpatia per Trump a causa della sua ottusa indifferenza per l’ambiente. Ma per come è stato trattato dai suoi concittadini, oltre che dai media che ne hanno influenzato l’opinione (dopo aver accusato per anni la Russia di aver influenzato l’elezione di Trump) provo la sua stessa amarezza.  

 

 Marco Giacinto Pellifroni         10 gennaio 2021 

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