La narrazione come mistificazione

La narrazione come mistificazione
Il ruolo dei media nel regime che sopravvive alla sua disfatta politica

 La narrazione come mistificazione

Il ruolo dei media nel regime che sopravvive alla sua disfatta politica

 Per una volta voglio seguire i compagni nelle loro infatuazioni linguistiche e parlerò di “narrazione”, proprio quella parolina che si è impiantata nei circuiti neurali dei cronisti di punta dei telegiornali di regime, senza la quale Roberto Vicaretti sarebbe ridotto al silenzio. Per dirla al colto e all’inclita la narrazione altro non è che una libera ricomposizione dei fatti, un racconto nel quale essi acquistano un significato disponendosi in una successione temporale e causale.  I compagni, avvezzi a considerare la verità una variabile indipendente, l’hanno subito inserita nel loro lessico, attribuendola ovviamente non a se stessi ma agli altri, che interpretano e deformano la realtà secondo il loro tornaconto. Ma le narrazioni altrui implicano necessariamente un universo di narrazioni, al cui interno si situa il loro Verbo, la Narrazione Corretta.

 


Bene; secondo la Narrazione Corretta Lega e Cinquestelle avrebbero vinto le elezioni e tuttora mantengono il consenso della maggioranza degli italiani per due provvedimenti bandiera, quota cento per andare in pensione e reddito di cittadinanza. In realtà su cento elettori della Lega cinque, a essere generosi, potevano essere interessati alla pensione anticipata e di quei cinque almeno due, una volta preso atto che la pacchia del sistema retributivo è ormai un ricordo, vorrebbero non essere costretti a lasciare il lavoro per raggiunti limiti di età, altro che andar via prima, consapevoli che dopo potranno sopravvivere solo intaccando la liquidazione. L’altro provvedimento può essere condiviso in linea teorica da una buona parte dell’elettorato di destra, memore della politica sociale del Ventennio, ma all’atto pratico non solo i simpatizzanti per la Lega ma anche i più convinti supporter di Grillo, se non sono direttamente coinvolti, e si tratta di una minoranza infima, guardano al reddito di cittadinanza con una certa freddezza.  


I compagni faticano ad ammetterlo ma la maggioranza gialloverde non è il risultato di un’operazione contabile ma l’espressione di un vasto consenso popolare organizzato intorno a temi di ben più ampia portata della legge Fornero o del reddito di cittadinanza. Intanto è ormai maturata la consapevolezza che il sistema dei partiti, sinistra in testa, ha affossato il Paese, ha snervato le istituzioni, disarticolato la società, devastato l’ambiente, impoverito i poveri e arricchito i ricchi, recitando più parti in commedia e riducendo la dialettica politica ad una farsa. Con questa consapevolezza gli elettori hanno affidato ai due partiti-movimento un primo grande obbiettivo: quello di liberarli dalla sinistra, dal partito democratico, dallo strapotere dei sindacati e di procedere al progressivo smembramento del regime che questi hanno incarnato. 


Tagliare la testa politica del regime per poterne poi recidere i tentacoli che soffocano le istituzioni, il sistema finanziario, l’informazione, la società civile e restituire al Paese la sua sovranità, porre fine all’invasione, programmare il rimpatrio delle centinaia di migliaia di soggetti presenti illegalmente in Italia, affrontare il problema della sicurezza dei cittadini, ricostituire lo stato sociale, eliminare i privilegi, cominciando da quelli dei politici. È stato sicuramente un voto di protesta, un voto di gente esasperata ma anche determinata, e non una protesta sterile o qualunquista, per la quale c’è l’astensione, ma una protesta costruttiva, propositiva, tesa ad abbattere il sistema per liberare il Paese e le sue risorse. Dire che si è votato per quota cento e reddito di cittadinanza, come vuole la “narrazione” dei media che scambiano i propri desideri per la realtà, è una solenne sciocchezza. La stessa narrazione vuole che ci si muova all’interno degli schemi destra-sinistra non potendo ricorrere (a tutto c’è un limite) al più suggestivo fascismo-antifascismo; ma sia  nella demolizione della legge Fornero sia nel reddito di cittadinanza  di destra – come la intendono i progressisti – non c’è molto; e allora tutti d’accordo, berluscones, compagni e usignoli dell’imperatore:  serietà e competenza (la loro) contro  leggerezza, improvvisazione, ignoranza; qualunque cosa facciano o dicano dalle parti del governo sono dilettanti allo sbaraglio (parola di Sorgi, capirai!).


Ma la narrazione più strutturata e insistita è quella che ha come oggetto i disperati che per sfuggire a persecuzioni e torture prendono il mare diretti verso le nostre coste. Priva della minima parvenza di fondamento ma imposta in modo martellante da carta stampata e televisioni, corroborata da un numero impressionante di testimonial reclutati nelle università, nel mondo dello spettacolo, fra i vecchi arnesi delle istituzioni, nella galassia di marpioni che orbita intorno all’accoglienza, questa narrazione fantasiosa si arricchisce di volta in volta di nuovi dettagli, tutti accomunati dalla totale e inequivoca falsità. Ma se anche si fosse di fronte ad una narrazione rispondente ai princìpi cartesiani dell’evidenza ci si dovrebbe aspettare almeno una voce dissonante, almeno il serpeggiare di anche un solo timido dubbio. Qui no: qui cantano tutti in coro senza sbagliare una nota; danno l’impressione di essere scimmie ammaestrate più che teste pensanti. E nel coro non ci sono solo i compagni ma molti dei loro falsi avversari, incoraggiati dal cinismo dello stesso Berlusconi che nel tira e molla con le Ong argomenta, si fa per dire, che ne sono già sbarcati un milione, altri 50 o 100 o 200 che vuoi che sia.


Ci sono però eventi sui quali i compagni e tutto il mondo di cui fanno parte non hanno preparato una narrazione perché non sanno ancora quale verità faccia loro comodo. È fuori discussione che cerchino di trovarla nei fatti la verità, che narrazione sarebbe? Uno di questi è la rivolta francese dei gilet gialli. Non possono dare addosso a Macron ma non vogliono consegnare la rivolta popolare alle “destre”. Però non possono far finta di nulla, e si costringono a parlare senza dire, a contorcersi in una sintassi ingarbugliata e sconnessa cercando una via di fuga nell’attacco a Salvini e al populismo. Sulla Brexit invece hanno imposto la loro narrazione, sfidando ancora una volta la verità fattuale: gli inglesi si sono pentiti del loro voto e vogliono ripetere il referendum, la May è assediata da ogni parte perché lasci perdere l’uscita dall’UE, il Regno unito si è condannato alla rovina e sua maestà la regina è la prima ad essere spaventata dall’isolamento. In verità la May è sì in difficoltà col suo partito, e con l’opinione pubblica, ma lo è perché tarda a tagliare il cordone ombelicale con Bruxelles: i nostri telegiornali sommano questi oppositori oltranzisti  con la minoranza laburista filoeuropea che ha perso il referendum e non si rassegna alla sconfitta e ne fanno un blocco unico e coerente che si ribella alla Brexit. Roba da matti.

Poi c’è il Venezuela e qui in compagni, con tutta la sinistra, sono di nuovo in confusione, il cuore con Maduro, la testa con Guaidò. Peggio di loro solo i preti e il Vaticano, costretti a riconoscere pubblicamente ora quello che hanno sempre saputo e nascosto e a condannare chi fino a ieri hanno benedetto; del resto, distinguere la sinistra dalla Chiesa e dai clericali è diventato tremendamente difficile. Accade così che la loro narrazione diventa incerta, sibillina ma in buona sostanza in linea con Bruxelles, ci mancherebbe, ma nel contempo si dà ai gruppuscoli l’incarico di salvare la continuità della sinistra, el pueblo unido jamás será vencido, il Che, Fidel e quel Chavez che appare in sogno a Maduro e lo incoraggia a resistere. E allora volantini nelle scuole (ma senza esagerare) e qualche scritta sui muri: “giù le mani dal Venezuela”. Così, un po’ sottotono si mantiene la narrazione della continuità: l’imperialismo americano che succhia la linfa dell’America latina, ne blocca lo sviluppo, impone una classe dirigente nemica del popolo e asservita al padrone gringo. E, di nuovo, si sposta l’attenzione sul nemico e sulle sue contraddizioni: il governo gialloverde, con Salvini che prende nettamente posizione contro il caudillo rosso che spara addosso alla sua gente dopo averla ridotta alla fame e i grillini che paventano il rischio che Caracas si liberi dal dittatore rosso per cadere nelle mani di un’altra dittatura. Due posizioni diverse ma chiare e rispecchianti convinzioni rispettabili, tutta roba estranea alla sinistra. E non incompatibili, perché quando c’è chiarezza e buonafede si trova sempre un accordo che non è un compromesso.


Nessuno, credo, si aspetta dai politici o da chi, ad ogni livello e per qualunque motivo abbia interesse che le cose vadano in un modo piuttosto che un altro, una narrazione obbiettiva e veritiera. È quella che chiediamo all’informazione, sapendo realisticamente che non la potremo avere. Il giornalista, infatti, di per sé non è condizionato da un interesse personale ma lo è sicuramente dagli interessi del suo datore di lavoro. Ammettiamo pure che per questo motivo non ci possano essere spiriti liberi fra di loro e che una stampa libera sia una pia illusione. Se i datori di lavoro fossero diversi e diversi i loro interessi ci sarebbe comunque da aspettarsi un’informazione differenziata, vivacizzata dalla diversità delle ricostruzioni, delle sottolineature, delle prospettive, delle selezioni dei dati e della loro mistificazione. Ma ora il giornalista italiano parla con un’unica voce, come se ci fosse un unico padrone dietro la carta stampata e le televisioni.Una sola narrazione, indifferente all’evidenza dei fatti, smentita dalle immagini, illogica, contraddittoria ogni volta che si tratta di migranti; ci fosse stato uno, uno solo, che almeno in una circostanza, avesse anche semplicemente avanzato l’ipotesi che all’origine degli sbarchi non c’è una pressione migratoria incontenibile ma un’invasione organizzata, non viaggi della speranza di disperati ma il miraggio di una vita comoda e di facili guadagni. Ce ne fosse uno che di fronte al dilagare della prostituzione fra le giovani donne arrivate illegalmente (non si è mai vista sui barconi una donna non dico anziana ma più che quarantenne) invece di ripetere la lagna che quella è una strada obbligata, una costrizione, l’unica alternativa alla fame, faccia l’ipotesi che quello era proprio l’obbiettivo della traversata. Il pensiero corretto non è nemmeno sfiorato da queste possibilità, che pure qualunque cronistello di provincia potrebbe, se volesse, corroborare con qualche testimonianza diretta. E ce ne fosse uno che solleva qualche dubbio sull’altra narrazione, quella di un viaggio che dura anni e delle torture subite in Libia. Ora che in Libia ci sia una situazione politicamente complicata è un fatto ma fare della Libia un luogo senza legge, paradiso degli scafisti e dei trafficanti di uomini, nel quale funzionari, poliziotti e militari sono dediti al furto, allo stupro e alla violenza gratuita è un’offesa al buonsenso oltre che al popolo libico e sembra una valvola di scarico per il razzismo che sta di casa nei salotti buoni della politica e degli affari. Che il viaggio dei cosiddetti migranti, peggio di un esodo biblico, sia durato anni di sofferenza è una sparata degna del barone di Münchhausen. Ma dagli schermi televisivi compunte signorine e aggrottati signori ripetono quotidianamente queste narrazioni e ci mettono pure del loro sfidando il ridicolo quando tengono bordone a nocchieri e accompagnatori delle Ong che come prova delle torture nei lager libici mostrano cicatrici sul petto nerboruto del migrante nigeriano, che a vederlo pare avvezzo alla riffa e al coltello. 


Il tema centrale della Narrazione Corretta si arricchisce di preziosi corollari e introduce narrazioni di supporto, fra le quali spicca il provvedimento giudiziario contro Salvini. E anche in questo caso tutta l’informazione dà ad intendere che sia cosa normale che un giudice minacci azioni penali contro un ministro. C’e, si dirà, il precedente di tangentopoli e alle nostre spalle c’e ancora fresco nella memoria l’attacco sfrenato contro Berlusconi. Ma, nell’uno e nell’altro caso, l’attacco, comunque fosse condotto e quali che fossero gli obbiettivi reali, formalmente era rivolto non alla politica ma al malaffare e a reati privati. In questo caso invece si cerca di colpire la scelta politica di un ministro, vale a dire del governo, e, se mi si consente, questo rasenta il colpo di stato. Perché se la magistratura o l’esercito, che non sono poteri dello Stato ma organi  al servizio dello Stato e della comunità, formati da impiegati dello Stato in toga o in divisa, intendono giudicare l’operato del governo e sanzionarlo con gli strumenti che sono stati loro affidati  i casi sono: o il governo è nelle mani di un usurpatore che ha stravolto le regole della democrazia, com’è il caso di Maduro con elezioni farsa, o sta portando il Paese alla rovina violando il patto che sta all’origine dello Stato, e anche questo è il caso di Maduro, oppure è espressione della volontà popolare, di quel popolo cioè che è titolare della sovranità. E, in questo caso, giù le mani dal governo: in democrazia l’opposizione si fa in parlamento, non nelle procure.

   Pier Franco Lisorini  docente di filosofia in pensione

 

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