La giornata della memoria
La giornata della memoria
Come ormai ogni anno, ci approssimiamo alla ricorrenza chiamata “Giornata della memoria” in cui si celebrano i film sulle stragi naziste dei campi di concentramento e sterminio della Seconda Guerra Mondiale.
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La giornata della memoria
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Come ormai ogni anno, ci approssimiamo alla ricorrenza chiamata “Giornata della memoria” in cui si celebrano i film sulle stragi naziste dei campi di concentramento e sterminio della Seconda Guerra Mondiale. Proprio così: anno per anno questa giornata sembra un festival monotematico del cinema. Molte amministrazioni provvedono a serate “culturali” in cui rammemorare al pubblico la tragedia del Secolo Breve, ripassando per l’ennesima volta i passi di libri noti. Costernati, rattristati, meditabondi, ognuno si ritira poi alla sua casa. Talvolta l’unica speculazione che si riesce a fare riguarda certi uomini, che sarebbero peggio delle bestie. È vero: le bestie non sanno organizzare il male. Neanche il bene. Le bestie non hanno una morale, ovvero, alcune bestie hanno la morale che noi gl’insegniamo, così non sono responsabili delle loro azioni, nel bene e nel male: i cani da guardia dei nazisti nei campi, addestrati a mordere gli haftling, non erano responsabili di quel che facevano. Quel che qui vorrei ribadire, però, è un altro concetto: il giorno della memoria è sempre. Non può essere un giorno all’anno e non può essere codificato solo dal cinema o dalla televisione. La memoria è uno strumento fondamentale per la comprensione dell’umanità, della Storia, delle nostre vicende sulla terra. Ma è anche terribilmente labile, corruttibile, travisabile, ricostruibile. Noi oggi stiamo affidando la nostra memoria (riguardo ai campi nazisti, ma non solo) ad una manciata di sia pur bellissimi film, girati da grandi registi, interpretati da grandi autori, con musiche commoventi. Ma sono film, come tutte le altre finzioni che si vedono in tv o al cinema o in rete. Quella storia, quelle storie dei campi di sterminio, sono accadute veramente. Non sono fantasia. E le testimonianze dirette si assottigliano sempre di più. La memoria dei “campi” ce l’hanno loro, ormai anziani, sempre più anziani, destinati per natura a raggiungere i più. La nostra memoria è quindi una ricostruzione, un tessuto artisticamente creato da qualcun altro. Sia pur nel giusto e per nobili motivi. Se vogliamo essere coerenti con la commemorazione dei campi di sterminio, dobbiamo imparare ad aver a che fare con la storia, intesa come ricerca storiografica, come documentazione generale, come documentazione in particolare. Dobbiamo cercare nelle persone vicine a noi, anziane, le tracce nella loro memoria riguardati i campi, quel che sapevano, come hanno saputo. Dobbiamo chiederci e chiedere in giro, trovare tracce, reperti, scampoli. Facciamoci delle domande, tanto per cominciare. Noi, in provincia di Savona, abbiamo avuto episodi legati a questa commemorazione? Si, due, documentati. Una è Sara Dana, una bambina ebrea arrestata nell’ospedale di Santa Corona, e l’altro è Hans Ferdinad Bincer, tecnico fotografico austriaco ebreo, arrestato (forse con la famiglia) a Ferrania, e tradotto, come la prima, ad Auschwitz e non più tornato. Ricercare poche tracce, per ritrovare una storia che ci appartiene. Chiederci da che parte staremmo noi, oggi. Chiederci da che parte stiamo quando pronunciamo parole di morte o giustizia sommaria su un insieme di persone, qualunque esso sia. Perché questo commemoriamo il 27 prossimo venturo.
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