La Crisi Ucraina, tra Russia e USA
L’Ucraina odierna è figlia di divisioni sociali dovute a secoli di influenze politiche ed economiche imposte da guerre e paci tra popoli, governi e regni.
Prima, parte di regni filo-cristiani alleati dell’Impero Bizantino, per la sua posizione geografica, l’Ucraina ha giocato un ruolo importante nelle guerre fra l’Europa orientale e l’impero Ottomano, che a seguito di ripetute guerre con l’Impero Russo, fra il 1774 ed il 1784 dovette cedere il canato di Crimea alla Russia.
Negli stessi anni, in seguito alle spartizioni della Polonia, fra il 1772 ed il 1795, i territori polacchi abitati da Ruteni furono divisi fra Austria (la Galizia e Lodomiria con Leopoli) e Russia (Volinia e Podolia).
Fu da sempre spartita tra Polonia, Russia e Romania, all’interno dell’Impero russo l’odierna Ucraina era divisa fra la Piccola Russia (i governatorati di Kiev, Charkov, Poltava e Černigov), la Russia Meridionale (i governatorati di Ekaterinoslav, Cherson, Tauride e parte della Bessarabia) e la Russia Occidentale (i governatorati di Volinia e Podolia), nello stesso periodo l’Ucraina divenne il “granaio d’Europa” e Odessa, porto d’imbarco del grano, era la più grande città ucraina e la quarta dell’Impero Russo.
Kiev e Kharkov erano centri dell’industria tessile, dal canto suo, Leopoli era la quarta città dell’Impero Austroungarico.
Gli ucraini sudditi dell’Impero austriaco (poi austroungarico) erano detti ruteni ed erano divisi fra il Regno di Galizia e Lodomiria la Bucovina e l’Ungheria.
Nonostante le promesse di autonomia contenute nel Trattato di Perejaslav, l’élite ucraina e i cosacchi non ricevettero mai le libertà che attendevano dall’Impero Russo, tuttavia, entro l’Impero, gli ucraini poterono arrivare ai gradi più alti della gerarchia e della Chiesa ortodossa russa.
Fra il 1917 e il 1922, in seguito alla Rivoluzione Russa, vi fu un lungo periodo di guerra civile e di anarchia con continui cambi di fazioni al potere; questo periodo fu segnato dall’esistenza di più entità statali separate: nei territori austroungarici di lingua ucraina fu proclamata la Repubblica Nazionale dell’Ucraina Occidentale, mentre nell’area appartenuta all’Impero Russo si scontrarono la Repubblica popolare ucraina con capitale Kiev e la Repubblica socialista sovietica ucraina con capitale Charkov.
La Repubblica Popolare di Kiev fu riconosciuta dall’Impero Germanico, che ne impose il riconoscimento ai Bolscevichi nel trattato di Brest-Litovsk. Dal 1918 fu un centro dell’Armata Bianca.
Ponendo termine ad un periodo di aspre lotte, la Pace di Riga assegnò la Galizia e la Volinia alla Polonia, i sovietici ottennero il resto del paese e nel 1922 l’Ucraina entrò ufficialmente a far parte dell’URSS come Repubblica socialista sovietica ucraina.
Quanto ai territori di lingua rutena dell’Impero Austro-ungarico, dopo l’esperienza effimera delle repubbliche indipendenti (Repubblica di Lemko-Rusyn, Repubblica huzula), furono divisi fra Polonia, (attuali Oblast’ di Leopoli, Volinia, Rovno, Ivano-Frankivs’k, e Tarnopol), Cecoslovacchia (Oblast’ di Transcarpazia) e Romania (l’odierno Oblast’ di Černivci).
Questi territori furono assegnati all’Ucraina (e quindi all’Unione Sovietica) solo dopo la Seconda guerra mondiale.
Fra il 1941 ed il 1944 l’Ucraina fu occupata dalle forze dell’Asse nell’ambito della campagna di Russia. Oltre 30.000 ucraini si arruolarono nelle Waffen-SS in funzione antibolscevica e antirussa. In questo contesto si inserì anche l’attività nazionalista ed indipendentista dell’Esercito Insurrezionale Ucraino contro l’Armata Rossa.
Nel 1954, per celebrare “i 300 anni di amicizia tra Ucraina e Russia” (fatti coincidere con la pace di Perejaslav), l’U.R.S.S. decise di annettere la Crimea all’Ucraina, togliendola alla Federazione Russa. Tutto ciò all’interno dell’Unione Sovietica, durante la presidenza di Nikita Sergeevič Chruščëv.
Nel periodo sovietico ebbe grande sviluppo industriale il bacino carbonifero del Donbass e ciò spostò l’equilibrio economico dell’Ucraina a favore delle aree più orientali e russofone.
Il Donbass è una regione ad influenza Russofona da sempre, introdotta dai flussi migratori russi da Stalin fin dagli anni 30, la guerriglia che ci fanno credere riscoppiata ora, in realtà non è mai terminata.
La città di Donetsk è da sempre assediata dagli Ucraini, per altro più famosi a livello di fascismo dei Croati, Serbi e Rumeni fin dai tempi della seconda guerra mondiale.
Stalin fece quello per contrastare ciò che stava succedendo in Crimea ed Ucraina, dove gran parte dell’esercito Sovietico di matrice Ucraina passò nella Wermacht e nelle SS.
Le porcate tra quei due popoli ci sono sempre state, oggi più che mai sommerse e celate per comodità politiche ed economiche.
Dall’Ucraina passano gasdotti ed oleodotti, i porti Ucraini fanno gola da sempre all’occidente, la prima guerra di Crimea fu nel 1860, non ve la ricordate più?
Il 16 luglio 1990, durante la dissoluzione dell’Unione Sovietica, il nuovo Parlamento adottò la Dichiarazione di sovranità dell’Ucraina.
La dichiarazione stabilì i principi di autodeterminazione dell’Ucraina, la democrazia, l’economia politica e l’indipendenza, la priorità della legge ucraina sul territorio ucraino rispetto al diritto sovietico.
Un mese prima, una simile dichiarazione fu adottata dal Parlamento della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa.
Iniziò un periodo di confronto fra il Soviet centrale e le nuove autorità repubblicane. Dopo il fallito golpe di agosto, il 24 agosto 1991 il Parlamento ucraino adottò l’Atto d’indipendenza dell’Ucraina attraverso il quale il Parlamento dichiarò l’Ucraina uno Stato indipendente e democratico.
Un referendum e la prima elezione presidenziale ebbero luogo il 1º dicembre 1991, in quel giorno, più del 90% dell’elettorato espresse il proprio consenso all’Atto d’Indipendenza, e venne eletto come presidente del Parlamento Leonid Kravčuk, per servire come primo Presidente del Paese.
Con un meeting a Brest, in Bielorussia l’8 dicembre, seguito dall’incontro di Alma Ata del 21 dicembre, i leader di Bielorussia, Russia e Ucraina dissolsero formalmente l’Unione Sovietica e formarono la Comunità degli Stati Indipendenti (CSI).
L’Ucraina non è affatto un paese democratico e non è certo un governo NON aggressivo, nemmeno vittima silente dei Russi, come si tende a farci credere nell’equilibrio della geo-politica.
I rapporti con la Russia furono inizialmente molto tesi, restavano da risolvere la questione degli armamenti nucleari sul territorio ucraino e il controllo della flotta del Mar Nero ancorata a Sebastopoli.
L’economia del paese conobbe un periodo di crisi dovuto alla mancanza di riserve energetiche, si ebbero tassi elevatissimi di inflazione e le tensioni interne aumentarono.
Kravčuk fu sconfitto nel 1994 da Leonid Kučma, riformatore filo-russo rieletto poi nel 1999. Alla fine degli anni novanta i rapporti fra Ucraina e NATO furono causa di nuove tensioni con la Russia.
Nel 2000 venne formato un governo riformista con a capo Viktor Juščenko. Nell’aprile 2001 la maggioranza parlamentare si dissolse e il Primo ministro Viktor Juščenko venne destituito, dando inizio a un periodo di instabilità. Dopo il breve mandato di Anatolij Kinakh, dal 21 novembre 2002 fu nominato primo ministro Viktor Janukovyč.
I risultati delle elezioni presidenziali dell’ottobre/novembre 2004, dopo proteste popolari per sospetti di brogli a favore del primo ministro Janukovyč (sostenuto dal presidente uscente moderato Kučma) e la cosiddetta “Rivoluzione arancione” da parte dei sostenitori di Juščenko, vennero sospesi dalla corte suprema.
Le elezioni si ripeterono il 26 dicembre 2004 e il nuovo presidente risultò Viktor Juščenko, entrato in carica il 23 gennaio 2005. Tale rivoluzione vide il forte sostegno degli Stati Uniti e dell’Unione europea, che salutarono con favore la caduta di un’altra autocrazia post-sovietica.[senza fonte] Con l’ascesa al potere di Juščenko ed il conseguente spostamento politico dell’Ucraina verso l’Unione europea, Gazprom iniziò a tariffare il gas all’Ucraina al prezzo di 230 dollari per 1000 m³, aumentando considerevolmente la precedente tariffa di 50 dollari, da sempre un prezzo di favore della Russia verso l’Ucraina.
Dal 21 dicembre 2007, in seguito all’estensione dell’area Schengen, arrivata fino alla Polonia, sono aumentate le pressioni ucraine sull’Unione europea per un’accelerazione del processo di integrazione. Schengen, infatti, comporta un notevole inasprimento del regime dei visti fra i paesi che vi aderiscono e gli altri e ciò ha reso molto difficile i passaggi di frontiera dall’Ucraina alla Polonia, che erano prima circa 6,5 milioni l’anno. Questo è un problema soprattutto per le circa centomila persone che si stima vivessero di traffici transfrontalieri e per gli abitanti della Galizia, inclusa nella Polonia dal XV al XVIII secolo, poi governata dall’Austria e di nuovo unita alla Polonia dal 1921 al 1941, dove pertanto molti abitanti hanno parenti oltreconfine. Per questo Polonia e Ucraina hanno sottoscritto un accordo secondo cui gli abitanti a meno di 50 km dal confine non avranno bisogno dei visti, se l’UE approverà.
Nel 2008 si verificò un’altra crisi politica, causata dalle reazioni alla guerra in Ossezia del Sud; il presidente Viktor Juščenko sciolse, dopo circa un anno dalle precedenti elezioni, la Verchovna Rada e indisse nuove elezioni, poi annullate a causa della formazione di una nuova coalizione di governo, sempre guidata da Julija Tymošenko. Le sempre maggiori tensioni innescate dalla Russia sulla comunità russofona dell’Est dell’Ucraina e fatti gravi quali l’avvelenamento del premier Viktor Juščenko che rimarrà sfigurato, con tutta una serie di attacchi personali alla coalizione, segneranno la fine dell’esperienza arancione.
Nel 2010 alle elezioni presidenziali fu eletto Presidente della Repubblica Viktor Janukovyč, che sconfisse Julija Tymošenko di stretta misura. Nel 2011 la Tymosenko venne coinvolta in un procedimento penale per malversazione di fondi pubblici, con l’accusa di aver siglato con la compagnia russa Gazprom un contratto per la fornitura di gas naturale giudicato inutilmente oneroso per il paese. Il 29 agosto 2012 la Corte Suprema dell’Ucraina nell’ultimo grado di giudizio ha confermato la condanna a sette anni di reclusione per abuso d’ufficio. A favore dell’ex Primo Ministro ucraino è arrivata la sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, che il 29 aprile 2013 ha decretato “illegale” la detenzione di Tymošenko.
Nel corso del 2013 iniziarono forti proteste pro-europee contro il presidente Janukovyč, politicamente filo-russo, che esplosero in novembre quando il governo sospese un accordo di associazione tra l’Ucraina e l’Unione europea. Tali proteste sfociarono nel corso di gennaio e febbraio 2014 in feroci e violenti scontri con feriti e morti, culminati con stragi nei giorni 18-19-20 febbraio. Prima deIl’alba del 22 febbraio il presidente Janukovyč scappò via da Kiev, ed il 22 mattina si dimise (solo) il Presidente del Parlamento Volodymyr Rybak, un fedelissimo di Janukovyč. Immediatamente il Parlamento si riunì in seduta plenaria, e fu eletto Oleksandr Turčynov quale nuovo Presidente, ricoprendo da subito anche la carica di premier ad interim. Arsen Avakov fu invece eletto nuovo ministro dell’Interno ad interim. Nella stessa giornata avvenne la scarcerazione di Julija Tymošenko. Dopo qualche giorno fu formato anche il nuovo governo dell’Ucraina, con Arsenij Jacenjuk come Primo Ministro.
Il governo Jacenjuk ha gestito le successive elezioni presidenziali che, tra il 25 maggio 2014 (1º turno) ed il 15 giugno (2º turno), hanno portato Petro Porošenko a divenire il nuovo presidente dell’Ucraina.
Il 27 giugno 2014 il presidente ucraino Petro Porošenko a Bruxelles ha firmato l’Accordo di associazione tra l’Ucraina e l’Unione europea.
Manifestazioni filo-russe si tennero in Crimea il 22 e 23 febbraio 2014. Il 26 febbraio militari russi senza insegne (come ammesso in seguito) presero il controllo della penisola di Crimea, e il giorno successivo occuparono le istituzioni politiche (parlamento e governo locale) e installarono come nuovo leader locale il filo-russo Sergej Aksënov, il quale annunciò l’intenzione di indire un referendum per una maggiore autonomia da Kiev. Nel frattempo, in tutta la penisola le bandiere ucraine venivano sostituite da quelle russe. Il 28 febbraio l’ex presidente Janukovyč, dalla città russa di Rostov, invitò Putin a “ristabilire l’ordine” in Ucraina – pur specificando che un intervento militare sarebbe stato “inaccettabile”. Lo stesso fece Aksënov. Il 1º marzo le due camere della Duma russa autorizzavano il presidente Putin ad utilizzare le truppe russe in Crimea.
La nuova leadership filorussa in Crimea dichiarò unilateralmente l’indipendenza l’11 marzo 2014 ed organizzò un referendum sull’autodeterminazione il 16 marzo, a seguito del quale la penisola venne annessa alla Russia tramite un trattato firmato due giorni dopo.
Il governo ucraino dichiarò sciolto il parlamento regionale il 16 marzo 2014, e dal 20 marzo viene considerato dall’Ucraina “territorio temporaneamente occupato dalla Federazione Russa”. Dall’8 settembre 2014 le guardie di frontiera ucraine presenti nell’Oblast’ di Cherson richiedono ai cittadini ucraini il passaporto o la carta d’identità ucraina se si recano nella penisola.
Il 27 marzo, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò una risoluzione non vincolante che dichiarò il referendum della Crimea appoggiato da Mosca non valido. La risoluzione venne approvata con 100 voti a favore, 11 contrari e 58 astensioni tra le 193 nazioni membri ONU.
Tutte queste forzature politiche hanno decretato questa crisi odierna.
Con l’aumentare del malcontento tra le popolazioni dell’est dell’Ucraina, anche a causa di una crescente crisi economica e la sempre maggiore instabilità politica all’interno del paese dopo Euromaidan filo-europeo, la popolazione ribelle dell’est, appoggiata politicamente e militarmente dalla Russia (definiti omini verdi), si è detta contraria al nuovo governo di Kiev e in segno di protesta ha occupato diversi edifici governativi, militari e non, in particolare nelle zone del Donbass e dintorni. In Ucraina dell’est si è dunque andata creando una vera e propria invasione del territorio da parte di ribelli paramilitari e militari di stampo russofono, aiutati da volontari e militari russi.
Il 7 aprile 2014 anche l’Oblast’ di Donec’k ha dichiarato unilateralmente l’indipendenza dall’Ucraina in seguito a un referendum e pochi giorni dopo l’autonominato presidente della Repubblica Popolare di Donetsk Pavel Gubarev ha dichiarato la futura annessione alla Russia.
Dopo aver acquisito il controllo dell’RSA di Donec’k e aver proclamato la Repubblica popolare, i gruppi filo-russi promisero di eliminare e prendere il controllo delle infrastrutture strategiche in tutta l’Oblast’ di Donec’k, chiedendo che se i funzionari pubblici avessero voluto continuare il loro lavoro avrebbero dovuto giurare fedeltà alla Repubblica. Entro il 14 aprile i separatisti filo-russi avevano preso il controllo degli edifici governativi in molte altre città all’interno dell’oblast’, tra cui Mariupol’, Horlivka, Slov”jans’k, Kramators’k, Jenakijeve, Makiïvka, Družkivka e Ždanivka.
Arsen Avakov, il Ministro degli Affari Interni, disse il 9 aprile che il problema separatista sarebbe stato risolto entro 48 ore, o attraverso negoziati o con l’uso della forza. “Ci sono due modi opposti per risolvere questo conflitto. Un dialogo politico e l’approccio pesante. Siamo pronti per entrambi”, ha detto, secondo l’agenzia di stampa statale Ukrinform. Al momento, il presidente Oleksandr Turčynov aveva già firmato un decreto che prevedeva la riconquista della sede dell’Amministrazione Statale Regionale di Donec’k, che era stata occupata dai separatisti, “sotto la protezione dello stato”. Venne offerta l’amnistia a tutti i separatisti che avessero deposto le armi e si fossero arresi. L’11 aprile, il Primo Ministro, Arsenij Jacenjuk, disse che era contro l’uso di “forze dell’ordine”, al momento, ma che “c’era un limite” per quanto il governo ucraino avrebbe tollerato.
In risposta all’espansione del controllo separatista in tutto l’Oblast’ di Donec’k, e il rifiuto dei separatisti di deporre le armi, Turčynov promise di lanciare un’operazione di contro-offensiva militare contro i ribelli nella regione il 15 aprile. Come parte delle truppe ucraine, la contro-offensiva riprese il campo d’aviazione a Kramators’k dopo una scaramuccia con i membri della Milizia Popolare del Donbass. Almeno quattro persone sono morte in seguito.
Dopo che le Forze Armate dell’Ucraina ripresero il campo d’aviazione, il generale comandante dell’unità che l’aveva ripresa, Vasilij Krutov, fu circondato da manifestanti ostili che chiedevano di sapere perché le truppe ucraine avessero sparato sui residenti locali. Krutov fu poi trascinato dentro alla base aerea insieme alla sua unità. Furono poi bloccati dai manifestanti, che giurarono di non lasciare che le truppe lasciassero la base. Krutov più tardi disse ai giornalisti che “se [i separatisti] non deporranno le armi, essi saranno distrutti”.
Venne riferito il 12 maggio che, dopo il referendum sulle autonomie locali, il capo della Milizia Popolare del Donbass Igor’ Girkin si è dichiarato “Comandante Supremo” della Repubblica Popolare di Doneck. Nel suo decreto, chiese che tutti i militari di stanza nella regione prestassero giuramento di fedeltà a lui entro 48 ore, e disse che tutti i restanti militari ucraini nella regione sarebbero stati “distrutti sul posto.” Fece poi una petizione alla Federazione russa per il sostegno militare per proteggersi contro “la minaccia di un intervento da parte della NATO” e dal “genocidio”. Pavel Gubarev, presidente della Repubblica Popolare di Doneck, istituì la legge marziale il 15 maggio e promise l'”annientamento totale” delle forze ucraine se non fossero state ritirate dal Donbass entro le 21:00. Allo stesso modo, il presidente della Repubblica Popolare di Lugansk, Valerij Bolotov, proclamò la legge marziale il 22 maggio.
Il magnate dell’acciaio con sede a Donec’k Rinat Achmetov invitò i suoi 300.000 dipendenti all’interno della regione di Donec’k a una “manifestazione contro i separatisti” il 20 maggio. Sirene suonavano a mezzogiorno presso i suoi stabilimenti per segnalare l’inizio del raduno. La cosiddetta “Marcia della Pace” si tenne nella Donbass Arena della città di Donec’k, accompagnati da auto che suonarono il clacson a mezzogiorno. BBC News e Ukraïns’ka pravda riferirono che alcuni veicoli furono attaccati da separatisti, e che uomini armati avevano avvertito gli uffici di diversi servizi taxi della città a non prendere parte alla manifestazione. In risposta al rifiuto di Achmetov di pagare le tasse alla Repubblica Popolare di Doneck, il 20 maggio il presidente del Consiglio di Stato della DPR, Denis Pušilin, annunciò che la Repubblica avrebbe tentato di nazionalizzare le attività di Achmetov. Il 25 maggio, tra i 2.000 e i 5.000 manifestanti marciarono alla villa di Achmetov nella città di Donec’k, e chiesero la nazionalizzazione delle proprietà di Achmetov, cantando “Achmetov è un nemico del popolo!”.
Il 16 giugno la compagnia russa fornitrice di gas Gazprom ridusse la quantità di gas veicolata in territorio ucraino per il mancato pagamento di un acconto. Gazprom pretese il pagamento anticipato del gas esportato in Ucraina, dopo che l’azienda nazionale energetica ucraina Naftohaz non aveva pagato a Mosca un anticipo di 1,95 Miliardi di Dollari per saldare il debito accumulato negli anni, pari a circa 4,458 Miliardi di Dollari.
Per quanto riguarda l’accaduto la Russia rifiutò tutte le proposte di mediazione proveniente dall’Unione Europea e dall’Ucraina. L’Ucraina fece causa alla Russia presso la Corte di Stoccolma.
La crisi ucraina ha risuonato anche fuori dal paese inasprendo le relazioni tra Russia e Occidente, in particolare gli Stati Uniti, i quali si sono scambiati accuse a vicenda sul lato politico: se da un lato l’Occidente accusa la Russia di appoggiare in ambito militare i ribelli dell’est dell’Ucraina contribuendo a fomentare le rivolte, la Russia ribadisce le violazioni da parte di quello che definisce come illegittimo governo di Kiev nel sopprimere le rivolte con la violenza, non curandosi dei diritti umani e bombardando i civili nella parte russofona del paese senza fare nulla per distendere la tensione. Da parte sua, la Russia ha intensificato lo schieramento di truppe militari al confine con l’Ucraina, fatto che è stato denunciato più volte dalla NATO come atto d’aggressione.
Militanti separatisti non contrassegnati sequestrarono l’ufficio del Ministero dell’interno a Donec’k il 12 aprile, senza resistenza. In seguito a negoziati tra i militanti e le persone nel palazzo, il capo dell’ufficio venne dimesso dal suo incarico. Gli agenti della forza di polizia speciale Berkut, che era stata sciolta dal governo dopo la rivoluzione di febbraio, presero parte al sequestro dalla parte dei separatisti. A seguito di tale sequestro, i militanti avrebbero cominciato a espandere il loro controllo attraverso Donec’k. L’edificio comunale dell’amministrazione della città di Donec’k fu preso d’assalto e occupato dai ribelli il 16 aprile. Ulteriori azioni di separatisti portarono alla cattura degli uffici della rete televisiva di Stato regionale il 27 aprile. Dopo aver catturato il centro di trasmissione, i militanti cominciarono a trasmettere i canali televisivi russi. Il 4 maggio, la bandiera della Repubblica Popolare di Doneck è stata sollevata sopra il quartier generale della polizia nella città di Donec’k.
Secondo i dati forniti alla stampa dal ministro delle finanze Natalie Jaresko, la difesa ucraina costa da 5 a 10 milioni di dollari al giorno.
Nel 2014, il PIL è sceso del 7% e l’inflazione è salita a tassi di crescita a due cifre, la moneta nazionale (la hryvnja) ha perso più di due terzi del suo valore sul dollaro, le riserve statali di valuta estera si sono ridotte a un livello così basso da poter coprire solo cinque settimane di importazioni all’incirca, i credit default swap stimano la probabilità di default per i titoli di debito pubblico ucraini.
Nel 2017 l’Unione europea ha approvato la liberalizzazione del regime dei visti Schengen per tutti i cittadini ucraini dotati di passaporto biometrico.
Gli USA sono alla frutta e sanno che il futuro economico del loro paese è legato alla speculazione del gas e degli idrocarburi per almeno ancora 50 anni, per cui le prove di forza sono per questi motivi.
L’Italia fa da “mediatrice” da sempre, in mezzo ai contendenti, questa volta per cercare di arginare la crisi allargata degli aumenti delle spese economiche e sociali del post covid.
Quello che percepiamo noi occidentali è edulcorato dagli interessi sull’economia, che verte sulla produzione di energia ed acciaio per i prossimi 50 anni, e visto i rincari di ogni merce alla produzione, soprattutto dei costi di Gas, elettricità e materie prime, oggi questa crisi è sulla bocca di tutti.
Fonte Web
Paolo Bongiovanni