Io e i “paleo-contestatori” arenati ai Bagni Umberto

  Il mio ’68. Flirt, viaggi in Simca e razzie in autogrill:

così la buona borghesia si prepara alle occupazioni

Io e i “paleo-contestatori” arenati

ai Bagni Umberto di Savona

 

Il mio ’68 Flirt, viaggi in Simca e razzie in autogrill: così la buona borghesia si prepara alle occupazioni

Io e i “paleo-contestatori” arenati 

ai Bagni Umberto di Savona

Nel l’estate del Sessantotto me ne stavo beatamente ai Bagni Umberto di Savona, bagni familiari, tipo anni Cinquanta, con una rotonda che avrebbe fatto gola ai Vanzina se fossero già stati all’onor del mondo, dove il Sessantotto non era ancora arrivato e, per la verità, non sarebbe arrivato mai, tant’è che se ci andate oggi li ritrovate tali e quali, con le signore che giocano a Burraco invece che a Ramino o a Scala Quaranta. Ero lì per filare le ragazze e la rotonda serviva proprio a questo.

Non che ai Bagni Umberto non fosse arrivato il rock, i Beatles e persino i Rolling Stones, ma noi preferivamo il lento, il “ballo del mattone” come cantava Rita Pavone.

Del resto che altro fare ne l’estate del Sessantotto a Savona, una delle città più torpide d’Italia anche se, per contraccolpo, ha espresso alcuni genietti della Televisione, Fabio Fazio, Antonio Ricci, Carlo Freccero, Aldo Grasso, Tatti Sanguineti.


Massimo Fini autore dell’articolo

 

NEL ’68 avevo 24 anni. I “sessantottini”, in genere, dai diciotto ai venti, pochissimi anni di distanza ma che facevano la differenza. Io appartenevo,

culturalmente, alla generazione esistenzialista, dei Sartre, dei Camus, di Merleau-Ponty, di Juliette Greco, delle caves e anche, se si vuole, a quel suo

derivato che era stato il movimento hippy. Ero troppo adulto, anche se non smaliziato, per lasciarmi andare a facili entusiasmi. Comunque partecipai

diligentemente alle due prime occupazioni della Statale quando vi arrivarono Mario Capanna, Luciano Pero e Michelangelo Spada, che erano stati espulsi dalla Cattolica.

Ma me ne andai quasi subito quando vidi che il conformismo aveva solo cambiato di segno.

Sia in senso letteralmente semantico (mentre prima in università bisognava andarci in giacca e cravatta, adesso la divisa obbligatoria era l’eskimo), sia in modo più profondo perché si era presa l’abitudine di sprangare in trenta contro uno chi non era “in linea”. Insomma il linciaggio da squadracce fasciste sotto il manto della democrazia progressista.

Ma torniamo alla mitica estate del Sessantotto che io mi spassavo in vacanza, al mare.

Per la verità non ero il solo perché tutti o quasi i primi “contestatori”, diciamo i paleo-contestatori, erano figli della buona borghesia milanese (Popi Saracino and company) o romana.

Tuttavia anche in quel l’immobile estate di vacanza qualcosa di sessantottino ci fu. Ai primordi del Sessantotto, quando facevo la guardia da semplice mujahidin ai portoni della Statale occupata, avevo conosciuto alcuni ragazzi, tra gli altri Ilio Frigerio ed Eugenio Polizzi, che sarebbero poi entrati nella più strutturata Lotta Continua.

In una stagione successiva Ilio Frigerio sarebbe diventato parlamentare della Lega.

Una prima lezione di quel trasformismo che avrei poi visto dilagare per ogni dove.

A SETTEMBRE con Ilio e Rosanna Battino detta “Roro”, che apparteneva a una delle migliori famiglie milanesi, Polizzi e la sua ragazza, una sciocchina che squittiva per ogni cosa, rovinandola, ma riscattata dal fatto di essere parecchio carina, decidemmo di fare un viaggio in Sicilia, terra a noi allora ignota tranne che al Polizzi che era nato a Caltanissetta.

 


 

Guidavo io. Ero l’unico ad avere una macchina, un’inguardabile Simca 1000 da “voglio ma non posso”. A quei tempi l’“esproprio proletario” non era ancora in voga ma, insomma, l’idea che in qualche modo bisognava fregare il sistema era già nata. Frigerio e Polizzi erano quindi decisi a entrare in un qualche grill e farvi, di nascosto, razzia. Allora non c’erano ancora le videocamere interne, come sull’autostrada non c’erano i limiti di velocità, i tutor, l’obbligo delle cinture. La cosa quindi pareva abbastanza facile. Io non ero per nulla d’accordo ma seguii il gruppo quando entrò in un grill deciso a tutto. Ne uscii quasi subito rintanandomi in macchina e lasciando che gli altri facessero gli affari loro.

Tornarono dopo una mezz’ora. Incazzatissimi. Non erano riusciti a prendere nulla. Allora tirai fuori dal mio giubbotto un salame, una bottiglia di vino e un filone di pane. Un trionfo.

Guidai ininterrottamente per ventiquattro ore da Milano fin quasi a Caltanissetta. L’ultima ora cedetti il volante a Ilio, che per tutto quel tempo non l’aveva nemmeno toccato e mi misi a dormire.

Quando mi risvegliai ancora tutto intontito il buon Ilio ebbe la faccia tosta di prendermi in giro perché mi ero addormentato.

 


I bagni Umberto di Savona

 

Un avvertimento, sia pur di poco momento, che avrebbe dovuto mettermi sull’avviso e che invece non ho imparato mai: se ti spendi per gli altri non avrai in cambio che derisione.

Il gioco che conta è esattamente l’opposto: appropriarsi del lavoro altrui facendo finta di averlo fatto tu. Una pratica che avrei visto dispiegata in grande stile l’anno dopo, quando entrai come impiegato alla Pirelli, in particolare da Marcello Di Tondo, che sarebbe diventato il primo braccio destro del Berlusconi ancora imprenditore.

A Caltanissetta scoprimmo che la mafia non esisteva. Nessuno osava pronunciarne neppure il nome. Nemmeno il Polizzi, che pur era di quelle parti.

Del resto avrei imparato in seguito che in Sicilia è difficilissimo distinguere non solo il mafioso da chi non lo è, ma anche da chi la mafia la combatte.

Negli anni ho avuto modo di parlare con Pio La Torre, parlamentare comunista ucciso dalla mafia nel 1982, e più tardi anche con Falcone. I toni, i tic, il modo di parlare allusivo mai diretto, tendenzialmente sfuggente, era lo stesso dei mafiosi conclamati, che mi è capitato di incontrare durante qualche

inchiesta in Sicilia. È la sicilitudine.

Nel ’68 mentre al Nord i giovani contestatori sognavano, in modo un po’ dilettantesco, di abbattere l’odiato sistema, la mafia al Sud, almeno ufficialmente, non esisteva. Ad abbattere per vie legali, se non il sistema almeno la partitocrazia, ci avrebbero provato inutilmente nel biennio ’92-’94 i magistrati di Mani Pulite.

Il sistema non è caduto, la partitocrazia tanto meno, in compenso la mafia c’è e pare più forte e inserita che mai.

Mezzo secolo è passato invano

 

 Massimo Fini da  Il Fatto Quotidiano

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