Intervista al Pastore della Chiesa Metodista-Valdese di Savona Marco Di Pasquale
Intervista da parte di Truciolisavonesi al
Pastore della Chiesa Metodista-Valdese di Savona Marco Di Pasquale
P A R T E P R I M A
16 marzo 2023 Savona
Domanda n°1 di Biagio Giordano
“Rispetto alle principali correnti di pensiero teologico che hanno attraversato il centro Europa (la Germania in primis) dalla seconda metà dell’ottocento in poi, (come la teologia della Scuola di storia delle religioni, la teologia Liberale, la teologia Dialettica, e la teologia dell’Esistenza), che rapporto mantiene oggi la Chiesa Metodista italiana?”
Risposta:
“L’approccio teologico metodista, originato in particolare da parte di John Wesley e della sua prima cerchia, fu di tipo, se vogliamo, esperienziale. Per Wesley, la teologia non consiste in una teoria da assimilare, alla quale poi adeguarsi o dare un assenso, ma (e giustamente vedeva Wesley) deve scaturire da una esperienza personale, una esperienza di fede che rivela al credente la grazia che Dio gli rivolge personalmente. Si tratta appunto di una esperienza, non di un semplice enunciato o di una dottrina. Wesley stesso, a un certo punto della sua vita, si sentì improvvisamente liberato dai propri peccati, dall’angoscia della morte e dai più onerosi condizionamenti, in virtù dell’immensa grazia di Dio. Una grazia totalmente gratuita, che giungeva a lui da parte di Dio solo. Questo lo porterà a formulare il principio, tutt’ora valido nel metodismo, per cui Dio, in Cristo, ha dato tutto, di conseguenza anche noi dobbiamo fare lo stesso. Il nostro operare, in sostanza, è il ringraziamento per l’immeritato dono che ci viene da Dio.
Il nocciolo teologico metodista sta tutto qui, esso è molto semplice ma estremamente profondo, perché è proprio in questo senso originale che entra a far parte del pensiero teologico del protestantesimo. Cosa distingue l’approccio di Wesley alla teologia, da quello protestante classico? La questione appunto dell’esperienza della grazia, che è esperienza di conversione.
Per la teologia protestante classica l’esperienza della grazia era certamente qualche cosa che poteva accadere individualmente a una persona. Se guardiamo ad esempio a Lutero, precisamente quando nel leggere l’inizio dell’Epistola ai romani improvvisamente comincia ad avere chiara la necessità di dare una interpretazione diversa de “il giusto vivrà per la sua fede” così com’era comunemente inteso, egli lo intende non nel senso che “il giusto vivrà per la propria fede” ma nel significato opposto, ossia che “il giusto vivrà perché Dio è fedele e lo rende giusto della giustizia di Dio”, non della giustizia umana. Lutero in ciò fa una sorta di esperienza, si sente improvvisamente rinato, liberato. Ma attenzione, dov’è il punto? Che questa esperienza non è necessario che accada sempre a tutti, soprattutto che accada come esperienza fatta in quel modo, cioè con quella precisione temporale. Sono le Scritture che fanno fede che è cosi da parte di Dio, per cui l’esperienza può essere qualcosa di puntuale oppure può essere qualcosa che si svolge nel corso di una intera vita, senza individuarsi in un momento preciso come per Wesley: cioè che essa è accaduta a me in quel tal giorno, a una certa ora, in un preciso minuto, liberandomi.
Wesley, leggendo insieme alla sua cerchia di fratelli in fede proprio il commento di Lutero all’Epistola ai romani, fa questa esperienza e dà avvio (dall’inizio del settecento quando comincia la vicenda metodista) a un particolare atteggiamento delle comunità che rimane ancora oggi il rivolgersi all’esterno, cioè alle persone più indifese, più deboli, più povere, ai cittadini delle periferie degradate delle città. Ricordiamo che nel ‘700 inizia la vera e propria rivoluzione industriale, noi la immaginiamo nell’ottocento ma in realtà, nei paesi anglo-sassoni, comincia nel settecento, nelle periferie delle grandi città di allora, come Londra, Glasgow, etc. È a quell’epoca che cominciano a formarsi masse di gente che si vende in sostanza per un misero lavoro, e che quindi, per poter mantenere la propria famiglia i propri figli, vive in condizioni di estrema povertà, accettando quel piccolo salario che consente almeno di nutrirsi. Le condizioni sociali e igieniche di quei cittadini erano del tutto insufficienti. I metodisti per primi si rivolgono a loro, al contrario di quello che faceva la chiesa anglicana (da cui Wesley proveniva), e in modo completamente diverso da quello che faceva la chiesa presbiteriana in Scozia (di stampo calvinista).
L’idea calvinista non era di legittimare i profitti privati degl’imprenditori, ma prevedeva una sollecitazione etica a reinvestire i profitti, per permettere uno sviluppo che andasse a beneficio di tutti. Però sostanzialmente la proposta di Calvino si fermava lì, e nel mentre non bastavano le esortazioni, nel dire “voi industriali dovete investire per il benessere della società”, perché gli imprenditori davvero facessero questo. I metodisti si rendevano conto che dovevano invece agire nella situazione per come essa era: i poveri, gli operai, dovevano essere sostenuti e curati nelle loro situazioni degradate, anche e soprattutto sotto il profilo spirituale. Questo atteggiamento accompagna il metodismo ancora fino ad oggi, certamente qui in Italia. Nel corso del ‘900 il metodismo si diffonde praticamente in tutto il mondo, però spesso si unisce ad altre chiese e, come qui in Italia, diventa una chiesa non più puramente metodista ma una chiesa composta; qui in Italia la chiesa evangelica valdese e quella metodista diventano una Chiesa unita.
Sulla questione del rapporto con la teologia, il Metodismo assume una posizione in qualche modo contestuale, cioè utilizza quelli che sono gli strumenti teologici più opportuni per evangelizzare nelle situazioni in cui si trova a operare, adattando il modo di parlare, di esprimersi, la predicazione, ai punti di riferimento dell’ambiente in cui si trova a operare; tutto ciò per trasmettere il messaggio di grazia e far sì che questo messaggio diventi liberatorio (non soltanto nell’alto dei cieli ma concretamente) dalla povertà, dall’oppressione. Non che i metodisti si mettano a fare la rivoluzione, (e non solo i metodisti ma neanche l’Esercito della Salvezza che, è una costola del metodismo). La chiesa metodista non abbraccia la rivoluzione, semplicemente perché il suo orizzonte rimane il regno di Dio, non il capovolgimento dei rapporti di forza sociali. Un ribaltamento sociale può essere la conseguenza del messaggio, ma non il fine cui aspirare. Qui in Italia il metodismo arriva dopo l’unità d’Italia, con Henry James Piggot, che proveniva dall’Inghilterra, e con Leroy Vernon, che arrivava dagli Stati Uniti, uno è l’espressione del metodismo presbiteriano, l’altro, Vernon di quello episcopale (due diverse forme di organizzazione delle rispettive comunità). Essi stringono tra loro un patto di collaborazione, evitando che i due diversi rami finissero per mettersi fra loro i bastoni tra le ruote. Un patto e una collaborazione che durerà fin dopo la seconda guerra mondiale, precisamente fino al 1975, quando la Chiesa metodista d’Italia si unisce con la Chiesa Valdese, assumendo la denominazione di Unione delle chiese metodiste e valdesi.
Le teologie cui i metodisti in Italia fanno poi riferimento, soprattutto durante il ‘900, sono le grandi correnti teologiche che vengono in particolar modo dalla Germania, cioè la teologia Dialettica con Barth e Gogarten (e con il loro dialogo con Bultmann). Bultmann appartiene a quella temperie ma non lo si può definire un teologo dialettico.
La teologia dialettica viene “sdoganata” in Italia sopratutto dai Valdesi, perché per il resto quasi nessuno ne sapeva niente. I valdesi andavano a studiare a Basilea, da Barth. Occorre precisare a proposito che i movimenti autoctoni italiani di Riforma (di cui la Chiesa valdese è l’unica superstite) sono stati combattuti e praticamente annientati sul nascere nel ‘500, per volontà pontificia, e furono stanziate ingenti risorse economiche e diplomatiche perché se ne cancellasse la presenza.
Si può dire che la teologia Dialettica è stata un po’ lo scheletro di tutto il protestantesimo italiano, anche Battista, del secondo dopoguerra.
Barth fu diffuso, fra le due guerre mondiali, anche da Gangale che era un Battista calabrese di Cirò Marina, grande intellettuale, che studiò e tradusse gli scritti della teologia della crisi e quindi poi della teologia dialettica.
Quindi il metodismo italiano è ben consapevole del processo di pensiero teologico innovativo che avviene oltre le Alpi.
Insieme a Barth anche Ragaz, un altro teologo svizzero come Barth assume posizioni fondamentalmente di sinistra, un socialismo non rivoluzionario, una sorta di cristianesimo sociale. Anche il metodismo italiano si allinea su queste posizioni perché, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, le condizioni dell’Italia erano precarie, le migrazioni di milioni di persone dal Sud al Nord, dalle campagne alle città, e le situazioni nelle misere periferie di Torino, Milano, Genova, hanno indotto i metodisti a stare su posizioni vicine alle persone più bisognose di attenzioni. Oggi i metodisti italiani si formano alla facoltà valdese di Roma: ciò rende ancora più chiara e credibile l’avvenuta convergenza tra le due chiese di una comune sensibilità sociale verso i minimi.
Adesso però, per quanto riguarda la scrittura, la tendenza è piuttosto quella della teologia Narrativa, che consiste nel guardare non soltanto l’interpretazione dei singoli termini o singole frasi che compaiono nella Scrittura, ma osservare come vengono raccontati gli eventi, come nella narrazione biblica si dispongono i vari punti che strutturano il senso della storia, cercare di capire in questa struttura cosa voleva dire l’autore, e come possiamo ritrovarla anche oggi nella realtà, etc. Dall’altra occorre studiare anche la forma letteraria, perché interpretare un salmo non è la stessa cosa che interpretare un passo delle norme del Levitico, in quanto sono stili letterari del tutto diversi. Allora anche il criterio e il significato dell’interpretazione deve variare, questo si ripercuote e in fondo va verso l’approccio spirituale metodista, che rimane attento alla situazione concreta e rivolto all’esperienza vissuta.
Una differenza tra l’approccio metodista e quello protestante classico, soprattutto di tipo riformato di tipo calvinista, sta nella questione della doppia predestinazione. La questione della predestinazione è un dato incontestabile nel Nuovo Testamento, il termine viene usato sia nell’Epistole ai Romani, sia nell’Epistola agli Efesini (“… quelli che Dio ha predestinati”). La predestinazione però non è qualcosa di cui possiamo parlare in modo astratto, metafisico, o dire c’è o non c’è. Partendo dalle scritture c’è, si tratta allora di capire cosa essa significhi.
L’approccio riformato classico, non soltanto riformato ma anche per alcuni aspetti in Lutero, parlavano di una predestinazione ovviamente alla salvezza, di cui non tutti beneficiano. Ma questo non per un ragionamento puramente teorico, ma perché, banalmente, non tutti credono, e tenendo conto dell’ultimo passo del capitolo del profeta Daniele dove dice: “… i morti si risveglieranno, gli uni per l’eterna gloria gli altri per l’eterno castigo”, allora cosa significa questo? Non che Dio predestini qualcuno alla dannazione. Pensare che Dio predestini qualcuno alla dannazione è effettivamente qualcosa di pesante, o incomprensibile per noi. Predestinati significa che qualsiasi cosa tu faccia, anche ad esempio se diventi un benefattore dell’umanità, se sei predestinato alla dannazione Dio ti danna lo stesso, quindi indipendentemente da tutto quello che tu hai fatto, e queste cose mettono effettivamente in crisi. Quale è il punto? Che qui non si tratta del nostro modo di meritarci la salvezza ma della libertà di Dio. La sua libertà esce dai nostri canoni di comprensione: Dio può aver predestinato tutti alla salvezza, ma appunto può, non è obbligato a farlo. Rimane fondamentale la sua libertà, il suo diritto di poter scegliere chi predestinare alla salvezza e chi no. Egli gode di una libertà che è estremamente diversa da come possiamo intenderla noi. Ma dice anche che le sue scelte, e quindi anche quella di salvare, non cambiano a seconda di cosa noi facciamo. Questo, per chi crede, è una immensa forza che lo sostiene.
Per il metodismo, sostanzialmente per Wesley, ma già prima con gli arminiani, ciò era una cosa inaccettabile, perché se è vero che la predestinazione mette in evidenza l’infinita libertà di Dio, è anche vero che ciò rischia di rendere impossibile una fede che non sia puramente cieca, (cioè mi fido e basta e qualunque interrogativo viene da Satana). Il metodismo questo non lo accetta, ma non ne fa una battaglia.
All’interno della nostra Chiesa, metodisti e valdesi su questo abbiamo una sensibilità un pochino diversa, però diciamo che l’importante è essere veramente d’accordo sulla gratuità assoluta della grazia di Dio e sul fatto che la grazia di Dio viene prima di qualunque nostra azione per ottenerla, e che la nostra conversione comincia sempre da Dio, e quindi è opera sua, non nostra. Su questo siamo perfettamente identici. L’importante è non far rientrare le opere (cioè nel senso della loro relazione con la questione dell’ottenimento o meno della grazia di Dio) dalla finestra, perché altrimenti, anche inconsapevolmente, finiamo di nuovo per fare delle opere non un ringraziamento a Dio, ma qualcosa che ci consente di non fargli uno sgarbo, e che quindi si fa per non perdere la grazia, in sostanza per meritarcela con le opere; e su questo bisogna stare molta attenti.
Biagio Giordano (fotografo coordinatore della sezione fotografia
dell’Associazione culturale no profit Renzo Aiolfi di Savona)
Interessantissimo articolo per conoscere una Chiesa, un culto, non so come chiamarla (scusate l’ignoranza) poco conosciuta. In questo mondo in cui è importante solo in denaro e l’egoismo, le religioni pulite come questa sono molto importanti. Bravissimi tutti, al pastore che ha spiegato benissimo, all’intervistatore che ha posto la domanda e al sito che lo ha ospitato. Visto che c’è scritto prima parte spero vogliate continuare
Si grazie, certamente ci sarà una seconda parte. Buona domenica. Biagio Giordano