Intellettualandia: il linguista militanza-free
Benvenuti a Intellettualandia
La rubrica settimanale che esplora, con spirito caustico e sorriso sarcastico, il magico mondo degli intellettuali.
Ogni domenica apriamo le porte di questo strano luna park del pensiero per presentarvi una figura simbolica del nostro tempo: non mancheranno filosofi assorti, politologi infallibili (a posteriori), sociologi multitasking, storici ossessionati dal passato e ogni altro esemplare della specie intellectus sapiens, quella che parla difficile per non farsi capire.
Non si offenda nessuno (o almeno si offenda con stile): Intellettualandia non vuole demolire, ma semplicemente smontare e osservare — con la lente del buon umorismo — i tic, i vezzi e le pose di chi si prende sempre molto sul serio. Questa settimana:
Il Linguista Militanza-Free

“Io non faccio politica. Io analizzo il linguaggio.”
(Poi però firma appelli, editoriali e petizioni, ma sempre con garbo filologico)
In un’epoca in cui tutti gridano, lui sussurra. O meglio, de-costruisce. È il Linguista Militanza-Free, elegante nelle sillabe, aggraziato nei connettivi, libero da ogni appartenenza. Tranne quella alla verità linguistica, ovviamente.

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Non è un intellettuale engagé: è disimpegnato con metodo, come si addice a chi ha studiato a fondo la differenza tra “denotazione” e “connotazione”. Osserva la realtà con la stessa distanza con cui analizza la trasformazione dei deittici nel parlato giovanile. I partiti lo cercano, i talk show lo invitano, i governi lo temono (ma solo quando propone una riforma ortografica).
Con tono pacato e lessico raffinato spiega che “populismo” è un termine ambiguo, che “inclusivo” può essere oppressivo, e che “cultura woke” non si declina bene in italiano, ma è utile per apparire sul supplemento domenicale.
Le sue caratteristiche principali:
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Militanza? No, grazie. Ma sa sempre da che parte stare (quella giusta, ovvio: la propria).
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Neutro ma solo in apparenza: difende i suoi bias dietro una montagna di subordinate.
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Specialista delle petizioni linguistiche: se un ministero sbaglia un accento, lui c’è.
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Irritato dalla grammatica del popolo, affascinato dall’errore purché sia etichettabile come “devianza produttiva”.
Ama i social, ma solo per smontare tweet di politici. Mai un insulto, solo “analisi”. Se lo contraddici, ti corregge l’uso del congiuntivo prima ancora del contenuto. È per la libertà d’espressione purché il lessico sia adeguato.
In sintesi:
Non prende posizione, ma lo fa con convinzione.
Non fa politica, ma cita Gramsci con proprietà semantica.
Non giudica, ma ti classifica tra neosemici o retrotopici.
E se gli chiedi: “Ma tu da che parte stai?”
Ti risponderà: “Dipende. Ma l’importante è saperlo dire bene.”