In Liguria uno su cento è ludopatico

IN LIGURIA UNO SU CENTO È LUDOPATICO

MA SI RINUNCIA A PREVENIRE LA MALATTIA

IN LIGURIA UNO SU CENTO È LUDOPATICO
MA SI RINUNCIA A PREVENIRE LA MALATTIA

Sono circa 2 milioni e mezzo di euro i finanziati, nel biennio 2018-2019, dallo Stato alla Regione Liguria per affrontare le conseguenze del minaccioso business del gioco d’azzardo. 

Non tanti, ma neanche pochissimi. E c’è da sperare che ne verrà fatto buon uso nonostante ad oggi non esista alcuna legislazione regionale di prevenzione e contrasto della ludopatia. Anzi, peggio. Dal 2017 è ritardata sine die l’entrata in vigore delle normative anti azzardo approvate, per altro all’unanimità, dal Consiglio regionale nel 2012. 

 


 

Le ragioni di questa inadempienza sono tante, comprese, ovviamente, quelle del consenso elettorale. Perché ci si misura su interessi contrapposti: quello del mercato e quello della salute pubblica. Il primo è, al di là delle retoriche, il più forte. Ed ha tanti volti: del negozio sotto casa, delle sale slot, delle società concessionarie dello Stato, dei fondi speculativi di investimento finanziario che controllano le concessionarie. Fino a quello, documentato dalla commissione parlamentare antimafia, della criminalità organizzata. Perché legalità e illegalità si intrecciano nell’oceano di denaro che il “gambling” muove a livello nazionale e internazionale e negli straordinari profitti che genera. Ancora più elevati se si aggiunge al gioco fisico -slot, gratta e vinci, lotterie varie- quello on line. Parliamo, tanto per dare un’idea, di un giro di affari di 500 miliardi di dollari sul piano globale e di oltre 102 miliardi di euro in Italia nel solo 2017. Più di quattro volte quello delle droghe che arriva a 23 miliardi e oltre sei volte il costo previsto dal governo per il “reddito di cittadinanza”.

Siamo infatti, tra le tante altre nostre sfortune, il terzo Paese al mondo per volume dell’azzardo e il primo per spesa procapite: circa 1500 euro all’anno a italiano, compreso i neonati. In Liguria veleggiamo sui 2 miliardi di euro. Se si aggiunge che le vincite distribuiscono all’incirca l’80 per cento e che l’erario incassa, nazionalmente, quasi 10 miliardi non è difficile individuare la dimensione gigantesca dei profitti e del potere dei padroni del gioco.

L’altra faccia di questo sistema è quella del veleno sociale, della malattia, dell’impoverimento ulteriore di chi è spesso già povero. Dei 26/30 milioni di italiani, trasversali per età e genere, che rincorrono la fortuna, oltre 800mila sono segnati da dipendenza grave, 2 milioni sono a rischio. In Liguria, dati Sert-Asl 3, sono più di 15 mila i ludopatici. All’incirca un ligure su cento. Difficile non misurarsi sugli effetti: dalle disgregazioni familiari, alla perdita di lavoro, allo scivolamento nell’usura.

 


 

  Nonostante dovrebbe essere a loro interdetto, il 45 per cento nazionale di giocatori sono minorenni con un 20 per cento che cumula una pluralità di dipendenze. Lo Stato italiano si è mosso con colpevole ritardo. Solo nel 2012 le dipendenze da gioco sono state assunte dal sistema sanitario e solo nel 2018 si è arrivati al divieto di pubblicità. In mezzo tanti tira e molla e un contesto bloccato nonostante la spinta di molti Comuni, tra cui quello di Genova che ha prodotto negli anni di Doria un regolamento avanzato, e di un po’ di Regioni. Senza mai arrivare a un’adeguata legislazione nazionale pur con la positiva riduzione, per decreto ministeriale, del 30 per cento di slot.

All’opposto il caso del Piemonte dove in un paio di anni l’orco dell’azzardo ha perso quasi mezzo miliardo di euro. Perché non è vero che i provvedimenti locali, orari, distanze di sicurezza da scuole, ospedali, centri sociali non servo- no. Servono eccome. Lo dimostrano tutte le statistiche nazionali. Il gioco fisico nelle sue diverse varianti rappresenta ancora il 47 per cento del totale con oltre 77 miliardi di euro di incassi. 

E se è vero che l’on line diventa prometeico e difficile da monitorare tenendo insieme videogiochi a pagamento per ragazzi con i paradisi fiscali, agire sul territorio rimane determinante.

 


 

Da tanti punti di vista: a partire dall’inutilità di curare la patologia se rimangono le condizioni di rischio. Così come non può sfuggire a nessuno che una tale diffusione della ludopatia corrisponde a una società segnata essa stessa da malattia e da declino di va- lori e senso di comunità. Che dietro la frenesia del gioco si affacciano le solitudini, le frustrazioni, un individualismo che trova l’identità nel consumo.

Le povertà materiali e immateriali e quel “debito educativo” di cui parla Giorgio Schiappacasse del Sert dell’Asl3 verso le giovani generazioni.

La ricostruzione di un tessuto sociale e culturale di prevenzione a livello locale capace di coinvolgere istituzioni, scuole, associazionismo solidale, gruppi di mutuo aiuto è comunque indispensabile. Su tutto questo siamo stati fermi. Ma soprattutto si è volutamente banalizzato giustificando- si con la difesa dei piccoli esercizi e sulla loro sopravvivenza grazie a macchinette e lotterie. Quasi il problema fosse una sorta di penalizzazione dei commerciati e non una politica di sgravi fiscali e di aiuti che favorissero chi rinunciava ai ritorni del gioco. 

La necessità di ridimensionare un’abnorme filiera di profitti. Ma ad oggi è mancata la voglia di fare scelte. Perché? Ognuno può dare la sua risposta.

 

LUCA BARZANI da La Repubblica

 

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