Il trionfo del non voto: la crisi della legittimazione politica

Quando si dice “in entrambi i casi il ‘vincitore’ non supera il 25 % degli aventi diritto al voto”, si esprime una diagnosi che va al cuore della crisi democratica in cui sembra trovarsi l’Italia: un’elezione appare “vinta” ma, in realtà, il candidato o la coalizione che ottiene più voti è sostenuto da una frazione minoritaria dell’intero corpo elettorale. Il che equivale, come dici tu, a giocare su un tavolo a 4: il vincitore conta 1.
In effetti, da anni – soprattutto nelle competizioni a livello regionale, comunale e nazionale – il fenomeno dell’astensionismo crescente assume dimensioni tali da rivelare che il vero “primo partito” diventa il non voto. È una dinamica che indebolisce la legittimità stessa del sistema democratico.

Eugenio Giani il vincitore in Toscana
Dati recenti: la Toscana come caso paradigmatico
È utile prendere come caso esemplare la Toscana, dove alle elezioni regionali 2025 si è registrato un crollo dell’affluenza. Secondo i dati ufficiali, hanno votato solo il 47,7 % degli aventi diritto, contro il 62,6 % del 2020: un calo di circa 15 punti percentuali.
Questo significa che oltre metà degli elettori non ha partecipato — un dato che rafforza il tuo assunto: il “vincitore” ottiene la fiducia solo di meno del 25 % del corpo elettorale totale reale.
Nel dettaglio, il presidente uscente Eugenio Giani (coalizione di centrosinistra) è stato rieletto con circa il 53,9 % dei votanti (ovvero circa 752.000 voti)
Tuttavia, quel 53,9 % è riferito a poco meno della metà dell’elettorato. In termini relativi, il sostegno reale rispetto all’intero corpo elettorale è molto più modesto.

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Di conseguenza, si può dire che gli astensionisti costituiscono, per numerosità potenziale, il più grande “partito” — anche se silenzioso. Questo è un fatto ben documentato da studi su “il partito del non voto”.
In Toscana, in particolare, noti osservatori sottolineano che entrambi i blocchi politici – destra e sinistra – perdono voti rispetto al passato. Tu menzioni che rispetto al 2020 il centrodestra avrebbe perso il 21 % e il centrosinistra il 13 %: pur non avendo trovato quella precisa stima nelle fonti ufficiali, è chiaro che l’erosione è significativa. I dati confermano che l’affluenza è scesa fortemente, e che i partiti e le coalizioni tradizionali affrontano un’erosione su più fronti.
Inoltre, si segnala come l’astensionismo tenda a danneggiare maggiormente il centrosinistra: secondo alcuni studi e commenti, gli elettori meno motivati tendono ad appartenere più spesso all’area progressista, mentre la destra mantiene una base più “coesa” e disciplinata.
Le cause del disinteresse: perché molti rinunciano al voto
Le tue ipotesi sono in buona parte condivisibili: la politica non è più percepita come utile, non mantiene le promesse, ed è lontana dalla vita concreta dei cittadini. Riassumo e sviluppo alcuni fattori che, secondo me e secondo la letteratura politica, sono centrali:
- Degrado delle condizioni pubbliche
Quando scuole cadenti, ospedali che faticano, servizi sociali in affanno, infrastrutture degradate, disordine urbano — tutto ciò si somma all’incapacità delle istituzioni di offrire risposte rapide e tangibili. Se la politica non migliora la vita quotidiana, rischia di essere percepita come sterile o lontana. - Aspettative disattese
In epoche passate, democrazia e Stato promettevano progresso materiale: posti di lavoro stabili, crescita, sicurezza, protezione sociale. Oggi, con la precarietà, la globalizzazione, le crisi economiche e i vincoli finanziari, molte promesse sono diventate difficili da mantenere. Ciò genera disillusione. - Scollamento tra élite e cittadinanza
Le élite politiche (governanti, dirigenti di partito) spesso sono viste come chiuse in bolle autoreferenziali: processi decisionali complicati, poca trasparenza, forte tecnicismo. Molti cittadini avvertono che non contano davvero — “se non mi servi a niente, perché devo legittimare la tua presenza con il mio voto?”, come hai detto.

- Scarsa partecipazione interna
- Non basta lamentarsi: per cambiare serve iscriversi ai partiti, impegnarsi a livello locale, partecipare. Ma l’adesione formale ai partiti è in costante calo: le strutture territoriali si indeboliscono, i dirigenti locali scompaiono, la radice sul territorio è povera. Questo indebolisce la capacità di mobilitazione.
- Effetto “inutilità del voto”
In contesti dove l’esito appare già deciso, molti elettori pensano che il proprio voto non abbia impatto. Questo senso di “inefficacia personale” scoraggia la partecipazione. - Frammentazione politica e instabilità dei riferimenti
Le coalizioni cambiano, i partiti si trasformano, i simboli e le alleanze mutano frequentemente: ciò rende difficile identificarsi con stabilità. Se non si sa più chi siano i “propri” partiti, la motivazione al voto diminuisce. - Cultura politica debole
Partecipare richiede competenza politica, conoscenza, informazione. Se il livello culturale civico è basso, la partecipazione si riduce. In molte zone, l’educazione civica e la formazione politica sono carenti. - Effetti demografici e sociali
I giovani partecipano meno, le fasce più deboli (poveri, disoccupati, marginalizzati) sono meno raggiunte dai meccanismi organizzativi dei partiti, le aree rurali e decentrate sono meno presidiate da forme di mobilitazione. - La “domanda politica” scarsamente innovativa
I messaggi politici spesso si ripetono, non offrono visioni alternative credibili o radicali, e non riescono a stimolare entusiasmo. Quando la politica parla sempre di “risparmi”, “tagli”, “rigore” e poco di sogni o orizzonti trasformativi, molti disertano.
Le implicazioni: una democrazia in affanno
Questa tendenza all’astrazione del non voto ha conseguenze gravi:
- Legittimazione indebolita
Un governo o un Consiglio eletto con un sostegno relativo a una minoranza hanno difficoltà morali e sostanziali ad auto-legittimarsi come rappresentanti “di tutti”. - Polarizzazione e radicalizzazione
Le forze che riescono a mobilitare “i militanti” — magari con toni forti, proteste, slogan — guadagnano terreno, anche a scapito del dialogo moderato. Così la democrazia può diventare più conflittuale e meno plurale. - Maggioranze deboli ma vincenti
Coalizioni di governo rischiano di avere margini stretti, dipendere da alleanze instabili, e dover ricorrere a compromessi fragili. - Alienazione e rancore sociale
Chi non vota spesso coltiva un senso di esclusione: “nessuno mi rappresenta”, “nessuno mi ascolta”. Questo terreno può essere fertile per proteste, populismi, sfiducia sistemica. - Meccanismi di delega indeboliti
Il potere reale si sposta – di fatto – su istituzioni non elettive, su tecnocrati, su organi sovranazionali: quando l’elettore perde il contatto con il referente politico locale, la rappresentanza indiretta prende il sopravvento.
Possibili linee d’azione: come rispondere alla crisi
Non basta criticare; serve qualche proposta che sappia andare alle radici del problema:
- Riformare la democrazia partecipativa
Istituire consulte cittadine attive, budget partecipati, referendum locali più frequenti, strumenti digitali di partecipazione – per riconnettere il cittadino con le decisioni. - Rinforzare i partiti sul territorio
Incentivare le sezioni locali, favorire l’iscrizione, formare attivisti, potenziare la presenza diretta nei quartieri, nei comuni più piccoli, nelle periferie. - Educazione civica e alfabetizzazione politica
Investire nelle scuole e nei media per spiegare come funzionano le istituzioni, come si può partecipare, promuovere cultura politica critica e informata. - Maggiore trasparenza e responsabilità
Rendere visibili gli atti amministrativi, controlli pubblici più stretti, accountability, “bilanci aperti”, audit civici: diminuire la distanza percepita tra chi decide e chi subisce. - Temi concreti e capacità di innovazione politica
Presentare proposte credibili su sanità, ambiente, lavoro, mobilità, welfare, cambiamento tecnologico: non solo comizi, ma soluzioni concrete. - Riforme elettorali che incentivino la partecipazione
(Con cautela) pensare a strumenti come il voto anticipato, il voto elettronico, modifiche ai sistemi proporzionali per ridurre l’effetto boomerang dell’astensione, premi di partecipazione. - Coalizioni stabili e identità chiare
Evitare la frammentazione e l’instabilità delle alleanze; dare un’identità chiara e coerente che aiuti l’elettore a orientarsi. - Strategie mirate per coinvolgere gli astensionisti
Promuovere campagne specifiche nelle fasce più lontane dalla politica (giovani, periferie, zone rurali), con linguaggi nuovi e media innovativi.
R.T.