Il linguaggio della Lega

IL CRUDO E IL COTTO
NEL LINGUAGGIO DELLA LEGA

IL CRUDO E IL COTTO

NEL LINGUAGGIO DELLA LEGA 

Uno dei fenomeni  più rilevanti nel panorama sociale e politico della cosiddetta seconda Repubblica è indubbiamente quello rappresentato dalla Lega Nord, la cui denominazione completa e ufficiale (fino a prova contraria e salvo ripensamenti) risulta tuttora essere “Lega Nord per l’Indipendenza della Padania”; denominazione in cui non occorre certo la cultura giuridica di un esperto costituzionalista per ravvisare l’incongruenza – a dir poco –  del termine risorgimentale “Indipendenza” e del toponimo “Padania”, dagli incerti e variabili confini, e comunque non ancora segnato su nessuna carta geografica dell’Italia settentrionale.

Ma allora come si giustifica la presenza di quelle due parole nella denominazione ufficiale del partito fondato da Umberto Bossi e stabilmente insediato in Parlamento, oltre che al Governo in coabitazione con il Popolo della Libertà  (e con il leghista Maroni titolare addirittura, come nel ‘94,  del Ministero dell’Interno, a cui spetterebbe – per ironia della sorte – reprimere eventuali moti separatisti o secessionisti!)  della vituperata Repubblica “una e indivisibile”? Si giustifica, in prima battuta, come l’indicazione propagandistica di un programma “massimo” in nuce, apertamente dichiarato a dispetto della sua evidente incostituzionalità (nell’Art. 5 della vigente Costituzione si parla di “autonomia” e di “decentramento”, concetti ben diversi da quello di “indipendenza”!); e, in seconda battuta, come segno o “cifra” di uno stile politicamente scorretto, divenuto abituale e programmatico nel linguaggio e nella comunicazione mediatico-politica del Carroccio, che non disdegna, anzi si vanta di ricorrere spesso e volentieri al turpiloquio, all’invettiva e al motteggio volgare ad uso di una base tanto adorante quante aliena da complicazioni o sottigliezze culturali ( a questo proposito, mi è parso calzante il titolo “Bordel-line” scelto da Bellamigo per il suo articolo satirico-politico pubblicato su “Trucioli” della settimana scorsa); tanto che questo linguaggio è da tempo oggetto di studio e analisi da parte di italianisti e studiosi delle dinamiche comunicative di massa, come Roberto Iacopini e Stefania Bianchi, autori di La Lega ce l’ha crudo! Il linguaggio del Carroccio nei suoi slogan, comizi, manifesti. Mursia, 1994; o le osservazioni di Paola Desideri su L’ italiano della Lega, in “Italiano e oltre” del 1993 e del 1994; o il recente La comunicazione leghista. Lingua simbologia e ritualità (Università degli studi di Trento. Sociologia delle relazioni etniche), del gennaio 2011. Val la pena riferire da quest’ultima ricerca – consultabile in rete con una presentazione in Power Point, e trascritta quasi integralmente nel sito “In Poesia – Filosofia delle poetiche e dei linguaggi” –  alcuni significativi passaggi relativi alla strategia comunicativa messa in atto dalla Lega Nord. Per esempio: “La lega Nord ha dovuto elaborare un linguaggio adatto a far presa su un elettorato di ceto medio-basso, composto da piccoli e medi imprenditori, i famosi ‘padroncini che si sono costruiti da sé’ che non hanno ricevuto adeguato potere decisionale. Si cercò quindi di sfruttare un malcontento generalizzato verso la politica nazionale e nei confronti delle varie trasformazioni dovute alla globalizzazione, all’immigrazione, all’europeizzazione, incanalandolo in temi e azioni che facevano presa sulla gente.

 
Si può dire che la Lega abbia elaborato un proprio discorso politico, uno schema interpretativo delle situazioni e degli eventi politici facendo riferimento in gran parte al ‘senso comune’ e a mezzi non sempre democratici: Noi siamo buona gente, ma se ci fanno girare le palle, poi ci prudono le mani e la democrazia la ripristiniamo noi con la regola delle cinque dita (U. Bossi).

 

Per quanto riguarda la struttura linguistica, la Lega Nord ha puntato su un linguaggio popolare (indifferentemente dialetto o italiano purché si sentisse che era del Nord).

Il principio è usare il massimo della semplicità nella costruzione delle frasi e riducendo l’uso delle subordinate. Fin dall’inizio vengono usate frasi ad effetto volgari e offensive che arrivano direttamente alla gente (contrapposta all’élite, magari anche ‘radical chic’). L’importante è dare l’idea di uomini duri e decisi che si buttano in politica per difendere le loro terre: Ma la lega ce l’ha duro…Roma ladrona…Paga somaro lombardo-veneto…Martelli è poco virile con il suo look da gay…Uno che si chiama De Mitra non può fare altro che il rapinatore di mestiere…e Gianfranco Miglio (ex leghista) paragonato a una scorreggia spaziale. Molta gente reagisce positivamente a questo modo di fare, perché il comportamento dei leghisti è visto come una vera rappresentanza a nome del popolo: dice in faccia ai politici quello che ci diciamo tra noi…è come se parlassimo noi.” “Come se”, appunto; ma in realtà la “rappresentanza” leghista nei Palazzi romani del Potere ha imparato presto l’aborrito “politichese” –  basti sentire come parlano i ministri Maroni e Calderoli in versione “Law & Order”! Quanto al turpiloquio – e relativi gestacci  che piacciono  tanto alla base – bisogna pur dire che non è prerogativa ormai della sola Lega Nord; alludo allo stile non esattamente consono al ruolo del ministro Brunetta, alle violente sceneggiate “telegeniche” di un Vittorio Sgarbi, al dito medio della sotto-sottosegretaria di Stato signora Santanchè, alla Vaiasseide tra la ministra Carfagna e l’onorevole Mussolini (Alessandra), alle  intemperanze verbali all’indirizzo di “certa” magistratura dello stesso Presidente del Consiglio, e così via. E nondimeno è innegabile che lo stile comunicativo della Lega è parte integrante del suo modo di fare politica. “Bossi infatti ha cercato di valorizzare – nota ancora la Lonardi – la rottura con i codici linguistici ufficiali, che lui ha più volte definito “il politichese”. L’intenzione è quella di esaltare la trasparenza del politico leghista anche nel linguaggio: “E poi la gente ne ha pieni i coglioni di essere ingannata con le solite duecento parole che fanno il linguaggio politico…” E’ il tema della semplicità e della schiettezza contro la complessità e i formalismi dei politici “romani” che ritorna come  un leitmotiv nei comizi e negli slogan volti a esaltare la differenza e l’identità “padane”. Ma non basta: accanto e insieme ai comizi, ai manifesti, alle scritte sui cavalcavia e ai volantini  occorrono, per rafforzare la coesione interna e guadagnarsi spazio a buon mercato sui media, gesti e azioni dimostrative clamorose, anche se ad alto rischio. “In seguito all’esibizione in pubblico da parte di Calderoli di una maglietta anti-Islam nel febbraio 2006 ci furono 11 morti e 50 feriti in Libia durante la protesta tenutasi davanti al consolato italiano a causa dell’iniziativa del ministro, mettendo in pericolo la stessa vita del personale italiano. Le azioni offensive per la Lega diventano un mezzo pubblicitario e una prova di coraggio. Nel 1993 Borghezio prese una multa di 750 mila lire per aver picchiato un bambino marocchino. Sul treno Milano-Torino disinfettò gli scompartimenti in cui erano sedute alcune presunte nigeriane. Subì una condanna a 5 mesi dal tribunale di Torino, assieme ad altri ‘volontari verdi’, per l’incendio sotto un ponte di un ricovero di immigrati. Tali comportamenti si inseriscono nella lotta contro l’islamizzazione e contro gli aspetti definiti repressivi della legge Mancino che (citando Borghezio) “impedisce la lotta di popolo contro l’invasione islamica e l’immigrazione selvaggia”.  Come tutti i movimenti xenofobi e razzisti, la Lega ha bisogno di un nemico, di un capro espiatorio contro cui indirizzare i sentimenti di paura e di insicurezza della “gente”: “Della condanna per razzismo vado fiero…Pago per aver raccolto firme contro il campo nomadi, per aver difeso la mia gente, la mia terra…Si dovrebbero creare entrate separate sui bus per gli extracomunitari e per gli autoctoni, rispettosi della legge e bianchi…(Flavio Tosi, sindaco di Verona, al Corriere della Sera del 17/05/07)”. Mi pare che bastino questi esempi per caratterizzare la strategia comunicativa della Lega Nord: enfatizzazione dei pericoli derivanti dall’immigrazione “selvaggia”; colpevolizzzazione dei deboli e dei diversi; insistenza ossessiva sulla propria identità minacciata; difesa della tradizione e della religione “dei nostri padri”; insomma vediamo riemergere in salsa padana  i miti della terra e del sangue, cioè “quel retaggio dei nostri padri che abbiamo nel sangue” di cui parlava Oswald Spengler, e che costituì la base ideologica del Terzo Reich.

 

FULVIO SGUERSO

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