IL LIBRO DEL MESE

IL LIBRO DEL MESE:
 L’INVENZIONE DI MOREL

IL LIBRO DEL MESE:
 L’INVENZIONE DI MOREL
  

Il nostro viaggio alla ricerca di libri da scoprire o riscoprire, questo mese (2/’11) fa di nuovo tappa in Argentina, da dove riportiamo a galla un piccolo e misconosciuto classico della letteratura del fantastico, “L’invenzione di Morel” (Bompiani editore) scritto da Adolfo Bioy Casares nel 1940. Quanti tra voi lettori di Trucioli lo hanno se non letto, per lo meno sentito nominare? Uno, due? Nessuno, addirittura? Eppure a suo tempo questo libro rese il suo autore noto in tutto il mondo.

Non vale allora la pena di presentarlo come se si trattasse di un romanzo nuovo, aiutandolo come merita a riemergere dal mare magnum di opere da cui la nostra collettività è ormai sommersa?

Adolfo Bioy Casares, nato a Buenos Aires nel 1914 e ivi morto nel 1999, ha pubblicato testi in proprio o, con vari pseudonimi, in coppia con Borges.

 È stato definito narratore metafisico in quanto la sua prosa, condotta con geometrica essenzialità, mescola aspetti dell’esistenza descritti con puntualità a elementi magici, fantastici, in costante dialettica tra realtà e finzione. “Il fantastico è reale” scrisse Bioy Casares. E L’invenzione di Morel, breve romanzo a metà strada tra la realtà, la fantasia e la fantascienza, è un perfetto esempio di questo suo stile estroso e creativo.

“Glossando in nota la relazione di un uomo braccato dal mondo e fuggito nell’isola dove si sperimenta l’allucinazione dell’immortalità, Bioy Casares racconta “fatti inverosimili che la realtà non può aver prodotto senza fatica“. La invencion de Morel, l’ordigno che condanna all’infinita ripetizione dei gesti. Più che un libro sulla crudeltà della macchina, L’invenzione di Morel è un racconto sul tempo. Morel non vuole soltanto imbalsamare la vita, ma anche ridisegnare la successione dei sentimenti: è solo modificando le gerarchie del tempo che si può mutare cifra agli avvenimenti.” Scrive sull’argomento Paolo Lepri.

“Romanzo algido, geometrico, intimamente loico, popolato di araldici emblemi, più ancora che di simboli, L’invenzione di Morel ribadisce un’antica illusione degli umani: che a divenire immortali sia sufficiente definire la Forma: la Forma formata e compiuta, definitivamente sottratta dall’Arte alla corruttibilità della vita.” Scrive invece Michele Mari.

E in quanto testo sull’arte e sull’immortalità, La invencion di Morel si fa anche inno alla letteratura e alla sua capacità eternatrice:

Ciò che oggi scrivo mi cautelerà. Queste righe rimarranno immutabili, nonostante la fiacchezza delle mie convinzioni.” In proposito ricordatevi ciò, cari lettori: se alla lunga cronaca e politica si dimostrano in netta prevalenza puro transeunte, con buona pace per le illusioni di chi le vive e le affronta ogni giorno, la buona letteratura è per sempre.

Adolfo Bioy Casares

Un venezuelano condannato all’ergastolo e braccato dalla polizia, fugge su un’isola sperduta e in apparenza deserta, in cui gli unici segni della presenza umana sono tre edifici abbandonati, “un museo, una cappella e una piscina”. Alcuni giorni dopo il suo arrivo, però, l’isola viene improvvisamente popolata da una moltitudine di personaggi, le cui azioni egli segue di nascosto, nonostante il timore di essere riconosciuto e consegnato alla giustizia. L’io narrante spia i nuovi venuti e ne ascolta le conversazioni, a volte rassicuranti nella loro banalità, a volte stranamente anomale.

Tra costoro sono presenti anche Francine, di cui il protagonista, forse a causa della propria drammatica solitudine, finisce per innamorarsi perdutamente e il suo barbuto spasimante Morel.

 Ma quale mistero si nasconde dietro a queste enigmatiche presenze? Poco per volta il nostro eroe si avvicinerà alla verità fino a comprenderla in tutto il suo tragico orrore e farsi cogliere dalla tentazione di divenirne parte attraverso un ultimo, sorprendente e definitivo piano.

Se a volte il comportamento dell’io narrante ci potrà apparire cieco e ottuso in maniera perfino irritante, con quella sua lentezza a comprendere la situazione, non si dimentichi tuttavia che questa avventura è vista attraverso gli occhi di un uomo del 1940, assai meno smaliziato di noi cittadini del ventunesimo secolo, ormai adusi a convivere con le meraviglie della scienza e della tecnica, con le più avveniristiche e azzardate teorie e con i più strabilianti effetti speciali televisivi e cinematografici. Procedendo nel racconto, sicuramente a non pochi lettori verrà in mente, quale estrinsecazione del marchingegno in oggetto, una ben precisa e autentica invenzione scientifica, che non specifichiamo qui per non inficiare neppure in minima parte il piacere della lettura. Sappia però il lettore che la suddetta invenzione fu elaborata da un futuro premio nobel per la fisica soltanto nel 1948, quindi ben otto anni dopo la pubblicazione di questo libro e che per giunta la lungimirante realizzazione di Morel va perfino oltre, tenendo naturalmente conto della sua impossibilità a contemplare i programmi di computer, portandosi a livelli mai effettivamente conseguiti e riscontrabili nella loro interezza solo in fiction di molto successive. Si aggiunga inoltre che il fascino suscitato dalla lettura alla lunga sarà in grado di cancellare qualsiasi impressione negativa ricevuta in precedenza.

E se in proposito non vi fidate dell’estensore di questa breve chiosa, fidatevi almeno del grande Jorge Luis Borges, genio universalmente riconosciuto della narrativa, fantastica e non, del ventesimo secolo, quando afferma che:

“Ho discusso con l’autore i particolari della sua trama, l’ho riletta; non mi sembra un’imprecisione o un’iperbole qualificarla di perfetta.”

Massimo Bianco

 

 

 

 

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