il libro del mese

IL LIBRO DEL MESE: IL MONDO DELLA FORESTA

Una storia sulla distruzione degli equilibri ecologici che ha ispirato AVATAR 

IL LIBRO DEL MESE: IL MONDO DELLA FORESTA
Una storia sulla distruzione degli equilibri ecologici che ha ispirato AVATAR 

Avete visto “Avatar”, vero? A quanto pare lo hanno visto tutti(!): due mesi filati di programmazione nelle sale italiane e savonesi, code chilometriche alle casse, gente impossibilitata a entrare per il tutto esaurito e costretta a rinviare la visione ai giorni successivi…

Avatar è un film fascinoso e poetico, con un intero sistema ecologico costruito ex novo ed effetti speciali straordinari, ma dalla trama assai poco originale. Così almeno ha scritto la critica specializzata e così ha confermato un ampia fetta di pubblico. E ciò con ogni probabilità accade, è opportuno precisarlo, perché dovendo presentare un intero mondo nuovo, il regista e sceneggiatore non voleva distrarre lo spettatore inserendo eccessive complicazioni. Racconto banale, dunque? Beh, in effetti leggendo ad esempio l’altrettanto fascinoso e poetico “il Mondo della foresta”, riuscito breve romanzo del 1975 di Ursula K. Le Guin” (editrice Nord), non può non venire alla mente proprio la trama di Avatar.

Ursula Le Guin è una grande scrittrice, autrice di innumerevoli apprezzate opere sia di fantascienza sia di fantasy, capace di un’accurata analisi psicologica e dotata di una brillante tecnica di scrittura, particolare quest’ultimo non così comune nella science fiction, ritenuta in genere più una letteratura di idee che di espressione artistica. Ma ecco come la Le Guin stessa presentò a suo tempo la storia del romanzo:

Scriverla è stato un po’ come stenografare sotto dettatura di un capoufficio con l’ulcera. Le cose di cui avrei voluto scrivere erano la foresta e il sogno; cioè intendevo descrivere dall’interno una certa ecologia e giocare con alcune idee di Hadfield e Dement sulla funzione del sonno onirico e gli usi del sogno. Ma il capoufficio voleva parlare della distruzione degli equilibri ecologici e il rifiuto degli equilibri affettivi. Non voleva affatto giocare, voleva dare una morale. Io non amo molto le storie moraleggianti perché spesso mancano di carità. Spero che a questa non manchi.

Il pianeta in cui è ambientata la storia è chiamato dagli umani New Tahiti ed è dominato dagli oceani. Il suo è un ecosistema ancora incontaminato “Ogni tinta della ruggine e del tramonto, rossi marrone e verdi pallidi, cangiava interminabilmente nelle lunghe foglie agitate dal vento. Le radici dei salici ramati, spesse e nodose, erano color verde muschio in prossimità dell’acqua corrente, che, come il vento, si muoveva con lentezza, con molti ritorni e pause apparenti, trattenuta da rocce, radici, foglie cadute e fronde pendenti. Nessun cammino era netto, nessuna luce era ininterrotta nella foresta…” in cui, esattamente come accade sul satellite Pandora di James Cameron, la terra emersa è interamente ricoperta di foreste con le quali i nativi, detti athsiani o creechie – “un creechie, una creatura, alto un metro e ricoperto di pelo verde” – vivono da sempre in simbiosi.

Per loro la foresta è il mondo e il concetto stesso di mondo è indissolubilmente legato alla massa arborea. Non a caso il titolo originale inglese del romanzo è “The word for world is forest” e cioè  “La parola per mondo è foresta”. Benché abbiano una società statica, ignorino la tecnologia e facciano una vita assai semplice – proprio come gli “avatariani” Na’vi “non avevano altro che archi e frecce” – i creechie sono intelligenti ed evoluti e hanno costruito una civiltà basata sull’armonia dello spirito, sulla conoscenza di se stessi e in più sulla capacità di vedere oltre attraverso il sogno.

Purtroppo per loro, però, New Tahiti suscita la concupiscenza degli uomini. La Terra è diventata infatti un mondo sovrappopolato e devastato, in cui gli equilibri ecologici sono stati irrimediabilmente spezzati. Gli uomini hanno così colonizzato New Tahiti con il bieco scopo di sfruttarne a fondo le risorse. E siccome sulla Terra gli alberi non esistono quasi più ma permane un elevato fabbisogno di legna, intendono procurarsela su questo pianeta incontaminato, a costo di radere al suolo tutte le foreste e annientare gli indigeni.   

Finiranno per essere cancellati prima o poi, e dunque è meglio che lo siano prima. Le razze primitive devono sempre cedere il passo alle razze civili. O venire assimilate. Ma quanto è vero Iddio non possiamo assimilare un mucchio di scimmie verdi.

Per difendersi, questo popolo da sempre non violento dovrà allora imparare a uccidere.

E se pure in questo caso l’argomento non vi pare originale, ciò accade perché quella appena descritta è una realtà riprodottasi molte volte nella storia dell’umanità e che continua purtroppo a ripetersi, basti pensare ai pericoli che corre tutt’ora la foresta amazzonica con le sue popolazioni indigene superstiti, le sue piante ancora sconosciute dotate di chi sa quali proprietà potenzialmente utili e le sue specie animali endemiche a rischio di distruzione a causa degli interessi economici sulla regione. Infatti, uno dei grandi pregi della fantascienza, vale sempre la pena di ripeterlo, è che permette di trattare con assoluta libertà d’espressione qualsiasi tema, anche legato all’attualità e perciò delicato e sia questo libro sia quel film possono contribuire ad attirare positivamente l’attenzione sul problema.   

Rispetto ad Avatar l’aspetto dei nativi  di Ursula Le Guin è completamente diverso e la stessa storia segue naturalmente percorsi diversi, eppure le somiglianze appaiono evidenti. Ad esempio nel film di Cameron l’uomo entra in contatto con i Na’vi attraverso, appunto, un avatar, che gli permette per certi versi di vivere una realtà onirica, mentre ne Il mondo della foresta l’uomo e il creechie possono entrare davvero in contatto solo attraverso il sogno. Inoltre da una parte e dall’altra appaiono alcune figure speculari. Prima di tutto quella dello scienziato serio e sensibile, desideroso di studiare e capire gli alieni e per questo disprezzato dal potere, rispettivamente la dottoressa Grace Augustine, interpretata da Sigurney Weaver e il dottor Raj Lyubov. In secondo luogo c’è la figura del militare cattivo ad oltranza, che in Avatar è il colonnello Miles Quaritch interpretato da Stephen Lang mentre ne Il mondo della foresta risponde al nome di capitano Don Davidson, personaggio quest’ultimo talmente razzista, fanatico e psicotico da far apparire l’altro un agnellino.

Si potrebbe ancora continuare con gli accostamenti ma non ne vale la pena. Ciò che conta, infatti, è che, al di là di tutte queste somiglianze, Il mondo della foresta è uno splendido romanzo poetico ed evocativo, a un tempo avvincente ma capace di far pensare oltre che sognare. Non a caso all’epoca in cui fu pubblicato si guadagnò l’Hugo, il prestigioso premio assegnato al miglior romanzo di fantascienza dell’anno. Il libro merita insomma un’attenta lettura e con esso anche numerose altre opere di questa magnifica scrittrice, a partire dai suoi due massimi capolavori, “La mano sinistra delle tenebre” e “I reietti dell’altro pianeta”.

Massimo Bianco

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