Il centrodestra al servizio dei benpensanti con tanti…

Berlusconi missione compiuta:

 il centrodestra al servizio dei benpensanti

Con tanti saluti alla rabbia degli italiani

Berlusconi missione compiuta:
 il centrodestra al servizio dei benpensanti
Con tanti saluti alla rabbia degli italiani

 Che lo Stato italiano sia di una rapacità che non eguali è un dato acclarato. Che questa rapacità si esprima principalmente o si esaurisca nell’imposta sulle persone fisiche è falso. C’è effettivamente un problema che riguarda l’Irpef, ma non è quello della progressività delle aliquote, che è relativamente blanda. Il problema sta nel modo in cui lo schema delle aliquote viene applicato sui redditi.


Un reddito da lavoro che, conti alla mano, non consente un tenore di vita appena decoroso non può essere tassato. Io sono dell’opinione che la cittadinanza attiva presupponga la partecipazione alla spesa pubblica e che il cittadino, in quanto tale, debba essere un contribuente ma il fisco non può intaccare la carne viva di chi non chiede nulla alla collettività, si mantiene da sé ma non ha niente di superfluo sul quale mettere le mani. Il fatto è che il nostro è un sistema paradossale: una percentuale significativa di lavoratori nel nostro Paese, mi riferisco al lavoratore dipendente perché sugli altri pesa il sospetto dell’evasione, ha un reddito lordo di meno di 24.000 euro l’anno, sui quali cala la mannaia dell’Irpef che lo decurta di un buon 10%. Ma lo stesso lavoratore attinge all’assistenza pubblica perché destinatario di una casa popolare, non paga la mensa dei figli, che dopo la scuola primaria monopolizzano le borse di studio e all’Università, quando ci arrivano, sono esentati dalle tasse. Qualcosa evidentemente non torna. Intanto, salvo casi eccezionali di famiglie numerose o in presenza di gravi patologie e disabilità, un cittadino integrato, con un lavoro regolare, non dovrebbe aver bisogno di particolari agevolazioni: chi lavora, per definizione, non può essere povero. Non solo non deve essere povero, nemmeno di una povertà relativa, ma deve poter, anche in minima parte, dare il suo contributo al mantenimento dello Stato. Poiché, allo stato attuale, questa è pura utopia, le retribuzioni che non soddisfano questa condizione non possono essere tassate se non virtualmente: se il lavoratore, anche per sola anzianità, vedrà aumentare il suo reddito, su quella parte potrà iniziare il suo status di contribuente. Dopodiché, quali che siano gli scaglioni, bisognerà che il fisco non deprima il ceto medio schiacciandolo sui redditi da lavoro generico e non qualificato. Le aliquote, pertanto, debbono alzarsi in maniera armoniosa e senza brusche impennate, garantendo un equo andamento della scala retributiva e correggendo le storture create da fattori contingenti come la pressione sindacale, le clientele politiche e i privilegi acquisiti da certi comparti. Mi limito, a questo proposito, a qualche cenno: un comandante dei vigili urbani di una piccola città può percepire una retribuzione superiore a quella di un generale di corpo d’armata, che, a mio parere guadagna già troppo; il dirigente di una Asl costa più di tre medici e non serve a nulla; un professore universitario, con quello che valgono le università italiane, guadagna più di tre professori di liceo, che grazie a dio non sono tutti come quelli finiti in parlamento (uso il maschile solo perché, anche in grammatica, sono un tradizionalista). Sono cose oscene, prive di qualsiasi giustificazione, alle quali si è giunti da quando la “giungla retributiva” denunciata nell’ormai lontano 1972 da Ermanno Gorrieri è diventata un letamaio. Tornare indietro la vedo dura; quantomeno la tassazione progressiva serve a restringere un po’ una forbice che non premia il merito ma parassiti di Stato e clientele.


E qui vengo a Berlusconi, che in questo avvio di campagna elettorale, dopo aver messo la sordina al dramma dell’invasione e della sicurezza, si è concentrato sulla povertà assoluta e sulla riforma fiscale. Sul primo tema continua a fare proclami degni del barone di Münchhausen, dallo stipendio alle “nostre mamme” ai mille euro di pensione per chi non ha mai lavorato né versato un centesimo di contributi. Sul secondo ha creduto bene, tanto per confondere le idee, di mischiare Irpef e tasse sulle imprese e di parlare di un’inesistente – per fortuna – tassa sulle famiglie invece che sulle persone fisiche. Osservo, di sfuggita, che soggetti fiscali sono i singoli individui e non le famiglie, così come, in generale, titolari di diritti sono individui e non nuclei familiari. Ma, chissà perché, il Cavaliere si riferisce costantemente alle famiglie. E mentre per le imprese rimane sul generico, insiste sulle aliquote Irpef, l’imposta sul reddito delle persone fisiche, cavalcando ossessivamente l’idea della flat tax per i redditi fra 15 e 75 mila euro. L’eliminazione degli scaglioni di reddito e l’aliquota unica al 27% fra 15 e 75000 euro mi pare una follia: un reddito da lavoro dipendente di 15.000 euro, al lordo delle ritenute previdenziali, non è compatibile con la vita; un reddito di 28.000 euro, corrispondente al secondo scaglione attuale, da un’aliquota al 27% non trarrebbe alcun vantaggio mentre chi percepisce un reddito di 75.000 euro si vedrebbe fare uno sconto sostanzioso passando dal 41% al 27%. Un regalo ai benestanti, che cresce all’aumentare del reddito, tanto iniquo quanto poco costoso per l’erario, tenuto conto che la stragrande maggioranza dei lavoratori dipendenti a tempo pieno guadagna più di 1250 euro lordi al mese ma meno di 2000. Il ceto medio “storico”, impiegati, insegnanti, medici ospedalieri, che rappresenta a sua volta la maggioranza della popolazione con alta professionalità e istruzione superiore, ha un reddito fra 2500 e 4000 euro, s’intende lordi, mensili, ulteriormente schiacciato su quello operaio grazie ad un’Irpef che per lui rimarrebbe sostanzialmente invariata ma si alleggerirebbe per i redditi alti. Il gettito per l’erario proviene in massima parte da questa massa di lavoratori: alle due estremità della curva sbilanciata della distribuzione dei redditi in Italia, con la moda lontana dalla media e dalla mediana, stanno da una parte i nullatenenti, i pensionati al minimo, i lavoratori precari, per i quali qualunque riforma del sistema fiscale è irrilevante e, dall’altra parte, i redditi alti e molto alti, irrilevanti anch’essi perché rappresentano una minoranza. Ma una minoranza ingorda, che già beneficia di un’aliquota relativamente bassa (il 43%) e che con la revisione prospettata dai compagni e minacciata da Berlusconi trarrebbe ulteriore vantaggio. Se si pensa che prima che i compagni irrompessero nella stanza dei bottoni le aliquote erano veramente progressive e arrivavano per i redditi più alti al 72%, col risultato che la maggior parte del gettito proveniva dalla popolazione più abbiente (e parassitaria), fa un po’ tristezza constatare che i nipotini di Marx hanno fatto in modo che a pagare le spese siano i ceti che producono beni e servizi che hanno come unica ricchezza il loro lavoro: i nuovi poveri, insomma. D’altronde cosa ci si può aspettare da un parlamento che, in termini di reddito, frequentazioni e stile di vita, non rispecchia la società civile ma se stesso ed ha finito per costituirsi come una nuova classe sociale alle dirette dipendenze dei grands commis di Stato, del grande capitale e del sistema finanziario.


Le pezze d’appoggio di Berlusconi sono Hong Kong, che notoriamente per storia, dimensioni, composizione sociale, rappresenta il paradigma dello Stato moderno, e le confidenze che gli hanno fatto illustri premi Nobel per l’economia. C’è da ridere. Più senso avrebbe avuto riferirsi a un Paese ultraliberale come gli Stati Uniti, dove l’imponibile fino a 7.150 dollari è al 10%, su quello che supera i 7.150 e fino a 29.050 il 15%, oltre i 29.050 sale al 25% e sulla parte che supera i 70.350 al28%. Quindi uno stipendio che in America è medio-basso, meno di 30.000 dollari, subisce un taglio inferiore a 4.150 dollari, in Italia di quasi il doppio ma Berlusconi lo lascerebbe inalterato. Oltre. 146.750 si raggiunge il 33% e, infine, il 35% sopra i 319.000. Questi dati sono coerenti con la circostanza che negli Stati Uniti la forbice retributiva all’interno della middle class, che corrisponde veramente alla classe media sia sotto il profilo dello status sia sotto quello della statistica è molto più ristretta che in Italia e le rendite parassitarie sono praticamente assenti: alle retribuzioni stellari nel settore privato, che interessano una quota minima della popolazione, corrispondono vantaggi anch’essi stellari per chi le elargisce, che sono aziende e società che beneficiano delle leggi del mercato, non succhiano risorse alla collettività e contribuiscono al benessere collettivo. Per quello che è invece indipendente da quelle leggi e riguarda l’impianto istituzionale e dei servizi e la grande massa dei lavoratori dipendenti bastano pochi esempi per capire come il confronto con l’Italia sia improponibile. Un generale quattro stelle americano guadagna 230.000 dollari l’anno. Non pochi. Ma l’omologo italiano allo stato maggiore (omologo si fa per dire) fra stipendio, indennità di posizione (una trovata che gonfia gli stipendi di tutti i dirigenti), straordinari (anche quelli!) e indennità per l’incarico effettivamente svolto (vorrei vedere che così non fosse) sfora i 400.000 euro. La recluta italiana e quella americana in compenso se la danno. Scendendo un po’di livello (solo per la retribuzione, ovviamente) un professore universitario italiano guadagna più o meno come il suo collega americano ma il teacher americano guadagna il doppio di un insegnante italiano e il suo stipendio non si discosta molto da quello della maggior parte dei docenti di college. E se l’operaio americano ha un salario di poco superiore a quello italiano (al netto in euro 1350 euro contro 2000), negli Usa le retribuzioni crescono in modo armonioso in rapporto alla specializzazione e al rilievo sociale mentre in Italia sono appiattite per quanti effettivamente lavorano, per i quali competenza e professionalità sono variabili ininfluenti, ma si impennano per quadri e dirigenti debitori al sindacato, al partito o al familismo per la loro carriera. Il risultato è che negli Stati Uniti resiste una classe media con redditi fra i 60 e i 100.000 dollari, che rende giustizia alla semplicità delle aliquote fiscali.


 

Ma il dato più significativo è che nei Paesi occidentali, di norma, l’imposizione fiscale, comunque realizzata, corrisponde a servizi che vengono resi al cittadino. Da noi sono gabelle ingiustificate. Quando il contribuente è stato salassato dall’Irpef rimane preda della Regione che non gli dà nulla ma di cui deve sopportare i costi e del Comune, che, se ha figli, gli fa pagare la retta dell’asilo ma per portargli via la spazzatura pretende un’imposta salatissima e smania per riavere l’imposta sulla prima casa da spartirsi con lo Stato. Comune che usa l’automobile come ulteriore strumento di vessazione creando ad arte le condizioni per moltiplicare le infrazioni al codice della strada.

E quando il contribuente è stato spremuto dall’imposta personale sul reddito, dalle tasse locali, dall’imposta sui rifiuti, dalla tassa sulle colline e sui rii e, ammesso che sia sfuggito al blocchetto dei vigili urbani, da tasse occulte come le accise sulla benzina, dalla tassa sulla proprietà dell’auto, dal canone Rai, se vuol vendere o comprare una casa deve passare sotto il giogo del notaio che in combutta con lo Stato gli sfila di tasca qualche migliaio di euro quando per garantire la transazione basterebbero un timbro e la firma di un impiegato comunale.

Ma poi c’è l’istituto tutto italiano della marca da bollo, perché evidentemente i soldi che lo Stato ha già prelevato non coprono le spese per il rilascio di un porto d’armi, della patente o di qualsiasi altra certificazione con valore pubblico. E se nel resto del mondo davanti alla porta di casa mia voglio mettere un cartello lo posso fare, qui da noi, bisogna pagare e se voglio con una targa notificare che sono un medico o uno psicologo non si può, bisogna pagare. E se in origine il sistema dei parcheggi a pagamento aveva un senso nei centri congestionati per garantire un minimo di rotazione e comportava anche un servizio di custodia, ora è diventato un’altra gabella estesa alle più remote periferie, con i residenti costretti a pagarsi il diritto di parcheggiare la macchina vicino casa. Per non dire del contributo al servizio sanitario nazionale, che non ci esime dal dover pagare tutte le prestazioni sanitarie, o di quello per case popolari alle quali non si avrà mai diritto.

La fantasia dello Stato e degli enti locali si sbizzarrisce contro chi si azzarda a intraprendere un’attività autonoma: dal mio punto di vista una tenda può creare fastidio o deturpare una facciata: in tal caso non si consente al negoziante di installarla: Ma se non è così perché deve pagare? E se, al contrario, procura un danno, pagando il danno non c’è più? Dal mio barbiere ho saputo che è costretto a pagare un tributo per lo smaltimento delle lamette; pare che siano rifiuti speciali, come l’uranio impoverito. Norme nate per garantire sicurezza o offrire un servizio sono diventate tasse e vincoli che espongono a ricatti e rendono difficile la vita a chiunque vuole fare impresa. Notevole la riesumazione dell’imposta di soggiorno, tanto per favorire il turismo.


Insomma, ci sarà anche un problema di rimodulazione delle aliquote Irpef, certamente non nella direzione prospettata da Berlusconi ma per dare un po’ di respiro al ceto medio e rilanciare i consumi in attesa di un riassetto complessivo delle retribuzioni, ma il problema più serio è che in Italia lo Stato è nemico del cittadino, è uno Stato vessatore. Altro che flat tax: in Italia occorre rivedere da capo la politica stipendiale, spazzare via i sindacati che hanno portato a quella che non più una giungla ma, lo ripeto, un letamaio, eliminare la “filosofia della marca da bollo” e la concezione del cittadino come un limone da spremere e tagliare una volta per tutte i “lacci e lacciuoli” che da quando Carli che li aveva denunciati è uscito di scena si sono infittiti alimentando mafie e corruzione e tenendo alla larga gli investitori.

L’idea di restituire alla minoranza di stipendi pubblici gonfiati in barba a tutte le leggi del mercato e degli equilibri sociali fino al 18% della retribuzione lasciando gli altri nella condizione attuale ed esposti alla sanguisuga statale ha qualcosa di surreale. Dov’è finito il Berlusconi che ha imposto l’abolizione dell’Imu sulla prima casa e che inaugurò il suo ritorno in campo con la proposta di eliminare, almeno per la prima auto, quell’altro odioso balzello che è il bollo auto e di porre termine all’assurdità di un canone pagato non per fruire di un servizio ma come tassa di possesso di un televisore?


Concludo con un sospetto: non sarà mica che la coalizione di centrodestra intende difendere gli interessi di una minoranza di privilegiati con la pancia piena con i voti della maggioranza degli scontenti e vellicando quello che nella tradizione marxista era il sottoproletariato? Questa operazione la fanno da decenni la sinistra e l’ex Pci ora Pd: Berlusconi e soci vogliono esserne l’immagine speculare? Non ci costringano a turarci il naso e votare per i grillini visto che di forze nuove ce n’è, almeno per ora, solo l’embrione.

Post scriptum

Un argomento “forte” a favore della flat tax è quello del contenimento dell’evasione fiscale: con aliquote più basse, si dice, tutti pagherebbero. Si omette di dire che sulle retribuzioni erogate dalla pubblica amministrazione e, in generale, su stipendi e salari la ritenuta è alla fonte, non si scappa. Si omette di dire che buona parte dell’evasione è relativa a redditi non dichiarabili di attività criminali e riconducibili al cosiddetto sommerso, che prospera finché rimane tale.

E, infine, per chi non avesse ancora capito quale missione è stata affidata al Cavaliere da quelli che l’hanno resuscitato, se non bastano i sondaggi creati ad arte, lo stravolgimento del programma, l’incubo dei ministri pescati fra gli amici nell’imprenditoria, nell’accademia, nel terzo settore (buono quello!), ora è arrivata la conferma definitiva: come vada vada, il centrodestra lascerà Gentiloni al governo (con quale maggioranza?) per preparare una lunga, molto lunga, campagna elettorale e tornare a votare di nuovo. I nostri commentatori politici dicono che Berlusconi con questa mossa ha spiazzato tutti; secondo me ha spiazzato soprattutto la ragione e, se mi si consente, la morale.

     Pier Franco Lisorini

 Pier Franco Lisorini è un docente di filosofia in pensione

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