Grillo il visionario ha esaurito la sua funzione

Nell’ora dei fatti Grillo il visionario
ha esaurito la sua funzione

I sogni del visionario spiegati con gli errori della fantascienza

Nell’ora dei fatti Grillo il visionario
ha esaurito la sua funzione
I sogni del visionario spiegati con gli errori della fantascienza

 C’è chi fonda le proprie certezze sul passato e c’è chi le proprie categorie le attinge dal futuro. Poi, per fortuna, ci sono anche quelli che lasciano parlare i fatti, non sono depositari di verità, ma non fanno presa, perché sono meno rassicuranti; è più facile parlare al cuore – e al pascoliano fanciullino – che alla ragione. I profeti, i visionari hanno visto in faccia la Verità, ne sono stati illuminati e con quella luce pretendono di rischiarare le tenebre della nostra ignoranza.


Grillo è indubbiamente uno di loro. Forte di qualche ricordo di scuola, dopo aver visto cinque volte Odissea nello Spazio e ancora affascinato dal congegno che gli va a togliere la polvere sotto i mobili, reduce dall’albergo di Tokio dove è stato accolto da un compunto cameriere poliglotta con le ruote al posto delle gambe e una voce un po’ metallica che gli ha dato tutte le dritte per una serata indimenticabile, il nostro ha capito che siamo alla fine della servitù del lavoro, che il ritorno all’innocenza della natura è dietro l’angolo e sarà accompagnato dal riscatto dell’uomo, che, dopotutto, ha ormai finito di pagare il suo debito verso il padreterno e si può riprendere la libertà che il Progenitore aveva incautamente buttato alle ortiche. La salvezza viene dai robot, che non solo ci liberano dal lavoro fisico ma essendo capaci di autoprogrammarsi ci tolgono anche l’incomodo di progettare, si alimentano con la luce del sole e lasciano a noi il solo onere di consumare i prodotti che loro ci mettono a disposizione consentendoci di trascorrere l’esistenza in una perpetua vacanza. Fabbrica, uffici, sistema formativo non hanno alcun senso, come non hanno senso i drammi sociali della disoccupazione, della precarietà, degli stipendi che non bastano. Niente più sirene e niente più cartellini da timbrare, non ci sono più né operai né impiegati, non ci sono più insegnanti perché non c’è più nulla da imparare, e se qualcosa ci fosse, a insegnarlo ci penserebbe l’infallibile e infaticabile robot.  Il quale, ovviamente, si prende cura anche della nostra salute, rendendo superflui medici e infermieri. Guardando al presente da questa prospettiva Grillo immagina un mondo di consumatori, pagati per spendere e perpetuare la circolarità produzione-consumo-produzione, del quale il reddito di cittadinanza rappresenta un’anticipazione e un assaggio.

Ci sarebbe poco da obiettare (o da ridere), a parte l’azzardo del futuribile, se le premesse concettuali fossero fondate, ma non lo sono. Non è la robotica destinata a rivoluzionare l’economia, il lavoro e il complessivo impianto sociale. La macchina, complessa quanto si voglia, è uno strumento, nient’altro che uno strumento; come tale può influenzare le abitudini, lo stile di vita, richiede aggiustamenti, rende obsolete vecchie attività e ne suscita di nuove ma rimane uno strumento: una vanga più sofisticata. La rivoluzione c’è stata quando l’uomo ha iniziato a usare strumenti, è da lì che è diventato un animale culturale.


Il futuro non è dei robot ma dell’informatica

Una vera rivoluzione, quella della quale Grillo non coglie le implicazioni, è invece quella dell’informatica, apparentemente convergente nel calderone delle neuroscienze in compagnia dell’Intelligenza Artificiale e, appunto, della robotica. Queste concettualmente non hanno più niente da dire: il loro impatto filosofico è finito in una bolla di sapone al contrario dell’informatica che ha aperto scenari per certi versi apocalittici. In termini puramente teoretici l’informatica poggia sul mito platonico della caverna: due realtà parallele, quella hard, della materia dura e quella soft, eterea, del programma. Quella della fabbrica, della produzione, del lavoro e quella che dà e toglie valore alla fabbrica e alla produzione e di quel lavoro segna il destino.  Un futuro che  non richiede profeti perché è già presente. È presente nell’economia virtuale, nella moneta che si regge su se stessa e non è più l’espressione cartacea di un valore reale garantito dallo Stato, nel controllo esercitato sui mercati, nella pressione esercitata sugli equilibri geopolitici e nell’interferenza brutale sulla politica interna degli Stati.  Perché le ombre della caverna diventano esse stesse la realtà vera, e alle leggi della natura o del caso si sostituisce il dominus che le proietta, fuor di metafora i manovratori della finanza globale.


Ma contro l’avvento della realtà virtuale ci si può attrezzare

Ma degli eventi l’uomo è insieme oggetto e soggetto. Percepire o subire un anticipo del futuro, come avvertire un pericolo incombente, non significa rassegnarsi e aspettare che accada. L’economia globale indotta dall’economia virtuale e dalla finanza sovranazionale mira a cancellare gli Stati, a distruggere le nazioni, a smantellarne l’impianto sociale, ad annullare un secolo di conquiste dei lavoratori. I suoi scherani si annidano negli enti internazionali, nelle burocrazie, nei meandri dei palazzi del potere, in tutti gli organismi autoreferenziali avulsi dalle realtà territoriali, partecipi di un sovramondo senza confini al pari della nostra, si fa per dire, Boldrini, piovuta dall’alto commissariato per i rifugiati alla presidenza della Camera dei deputati per ricordarci che l’Italia è solo un appendice geografica, un ponte di passaggio dall’Africa verso l’Europa. La rivendicazione della nostra lingua, della nostra storia, di tutta la nostra storia, della nostra cultura, della nostra Patria è il passaggio obbligato per resistere all’ondata della globalizzazione, della manipolazione, dell’ecumenismo che ci sta sommergendo e intende ridurci all’anonimato. Lo chiamano populismo, sovranismo, quando non si spingono a connotarlo come razzismo e, ça va sans dire, fascismo. Bene: come ha osservato con impressionante lucidità l’ex consigliere di Trump Steve Bannon, l’Italia in questo momento è tornata ad essere l’ombelico del mondo perché, dopo i timidi assaggi in Gran Bretagna e nel nord Europa e i mezzi successi in Francia e in Germania, da noi la valanga popolare ha spazzato via il vecchio sistema docilmente accodato ai nuovi padroni: il partito e la parte politica titolari degli interessi di Bruxelles, della finanza globale, di un Europa non delle patrie ma per la dissoluzione dell’idea di Patria sono usciti dalle elezioni inebetiti e disorientati. Non è stata la destra a prevalere sulla sinistra, secondo lo schema caro al sistema, interno al sistema: la destra interna al sistema ha avuto una funzione e un ruolo marginali e, a meno di una sua metamorfosi è destinata a scomparire. Quel che di promettente, anche solo in modo embrionale, c’è in Casapound sotto il profilo politico e culturale non è certo eredità del vecchio Msi. Le due grandi forze elettorali che hanno scompaginato le carte sono la Lega e i Cinquestelle.  Gli uomini che le rappresentano potranno anche odiarsi fra di loro, può anche darsi che gli elettori degli uni guardino con diffidenza agli elettori degli altri ma sta il fatto incontrovertibile che entrambe esprimono la volontà di alzare una diga contro la marea melmosa e dolciastra del potere globale, del politicamente corretto, dei valori fasulli dell’antifascismo (si è mai visto un sistema assiologico costruito in negativo?) o dell’accoglienza – quella sostenuta dalla supponente attrice radical chic  moglie o compagna di uno che con la tratta dei migranti ci campa –, dell’asservimento allo spread,   alle istituzioni europee e al quarto Reich.


È una grande occasione per l’Italia e c’è solo da sperare che Salvini e Di Maio non si lascino prendere dal panico per una cosa più grande di loro. Spesso sono le circostanze a fare grandi gli uomini: nessuno viene al mondo coi gradi di Grand Maréchal. Personalmente nutro più simpatia per Matteo, che ispira fiducia e ha saputo imporsi per forza propria e non d’altri, come Gigetto; ma anche  il ragazzo può crescere e dimostrare di non essere solo diligente interprete ed esecutore del pensiero un po’ confuso del Fondatore. I due devono guardarsi dai comuni avversari e mettere a fuoco l’obiettivo comune. Per quello che riguarda la fase immediatamente operativa del programma, una volta che Salvini abbia esplicitamente liquidato l’idea folle della flat tax lasciando che faccia affondare Berlusconi e i suoi infiltrati e Di Maio si decida a chiarire che il reddito di cittadinanza riguarda i cittadini – non gli stranieri – che hanno intenzione di lavorare, se sono in grado di farlo, la strada è spianata.  È la strada della rimodulazione delle aliquote che dia fiato al ceto medio, quello vero, non quello dei parassiti  super pagati che stanno a cuore al Cavaliere, dell’azzeramento delle spese sostenute per il mantenimento di centinaia di migliaia di africani presenti illegalmente in Italia, della lotta senza quartiere alla criminalità diradando il polverone di quella organizzata, che non è quella che costringe le persone a chiudersi in casa e a puntare su un’improbabile per quanto legittima autodifesa, della rottura del circuito perverso che lega i privilegi dei politici a quelli dei magistrati e della dirigenza pubblica, perché il solo attacco ai vitalizi o agli emolumenti dei parlamentari è una sciocchezza e non serve a nulla: nell’assalto alla diligenza i rappresentanti del popolo non erano soli.  Questi sono obiettivi immediati e contingenti. Sulle questioni strutturali  Lega e Cinquestelle non solo convergono ma combaciano perfettamente: dal recupero della sovranità monetaria ad una politica estera autonoma e finalizzata alla tutela degli interessi nazionali  alle misure di contrasto agli effetti perversi della globalizzazione,  dalla difesa del made in Italy senza il trucco della delocalizzazione, dall’abrogazione della legge Fornero e della pessima scuola renziana alla fine di un’austerità imposta dall’esterno alla rottura dei vincoli che strozzano l’economia italiana a vantaggio dei nostri vicini di casa.  L’Italia con la sinistra ha toccato il fondo, il futuro non può che essere migliore.

 

Più fatti, meno filosofemi e un programma per gli italiani 

Chi scrive ha scarsa simpatia per la cosiddetta ideologia, che vorrebbe confinare al suo primitivo significato settecentesco, contro la quale Marx ha scritto una delle sue cose migliori. È convinto che non abbia molto senso nemmeno la sorella più altolocata, la Weltanschauung, facilmente riconducibile dallo psicologo a schemi mentali e pregiudizi radicatisi nel corso dell’esistenza. Meno che mai ritiene che una filosofia possa servire da base per l’azione politica: come diceva il buon vecchio Hegel la filosofia è come la nottola di Minerva, che vola al crepuscolo; la filosofia viene dopo, spiega, chiarisce – se chiarisce –, interpreta, sintetizza, non fonda ma conclude. Un partito politico non ha bisogno di giustificazioni a priori: la sua giustificazione e la sua base sono gli interessi e le aspirazioni di quelli che lo sostengono, la sua ragion d’essere sta nel suo programma, se ce ne ha uno. E infatti il Pd e la sinistra non hanno senso; sono fondati su un colossale imbroglio, difendono gli interessi dei nemici di classe di quelli che dicono di rappresentare e da cui prendono, fortunatamente sempre meno, i voti; hanno imparato dalla tradizione cattolica l’arte di mascherare con le parole della fede i propri affari, i propri intrallazzi e le proprie magagne e non hanno uno straccio di programma, solo slogan, parole d’ordine e anatemi contro chiunque minacci le loro posizioni di potere. Lega e Cinquestelle una base elettorale ce l’hanno, con un circuito di retrocomunicazione che, almeno per ora, funziona; hanno anche un programma, praticamente identico, e di altro non hanno bisogno. A parte l’innocuo vagabondare di Grillo nella mente del Grande Robot, infastidisce il richiamo sotterraneo dei pentastellati a Rousseau, che dà il nome alla piattaforma ideata da Casaleggio.   Se proprio a qualcuno si vogliono ispirare scelgano piuttosto l’avversario di Jean Jacques, il più terso, lucido, dissacratore Voltaire, che sicuramente ha fatto meno danni: ricordino che se il primo ammiratore del ginevrino è stato Robespierre l’ultimo è stato Pol Pot. Vedano un po’ loro.  Di sicuro, in quest’ottica, il loro giustizialismo desta qualche preoccupazione.  Non solo: la piattaforma Rousseau è una melassa che attira ecologisti, animalisti, vegani, tutto quell’estremismo infantile corteggiato dalla sinistra, contiguo con gli antagonisti che si spacciano per avversari del sistema quando non solo ne sono parte integrante ma strumento attivo. C’è già qualche Fico di troppo nell’orto dei Cinquestelle, non si facciano colonizzare da erbacce infestanti (e velenose).

     Pier Franco Lisorini

 Pier Franco Lisorini è un docente di filosofia in pensione

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