GLI SPILLI SAVONESI DI NAT RUSSO

GLI SPILLI savonesi DI NAT RUSSO
TE LA DO IO LA DECRESCITA – SPASSERELLE – FEDERICO DÌ QUALCOSA DI RENZIANO – RIBORGO: UNA GUERRA DIMENTICATA -SODDISFATTI O RIMBORSATI?

GLI SPILLI SAVONESI 

TE LA DO IO LA DECRESCITA

di Nat Russo

Un’altra categoria da mantenere?

Semplicità volontaria è, in lingua italiana, il neologismo che definisce quello che viene chiamato nel mondo del lavoro il downshifting (lifestyle, lo stile di vita, o simple living, del vivere in semplicità): un’autoriduzione del salario per un minore impegno lavorativo in maniera da godere di maggiore tempo libero. Il fenomeno appare trasversale in rapporto ai sessi, riguardando tanto maschi quanto femmine in carriera. Naturalmente si parla di un’elite professionale a cui lo stipendio decurtato risulta comunque un ottimo stipendio.

Secondo Datamonitor, agenzia di Londra che si occupa di ricerche di mercato, dal 2007 ad oggi i lavoratori che hanno attuato tale scelta sono nel mondo circa sedici milioni. Pochissimi. Nonostante ciò il fenomeno è stato amplificato dai media fino a dargli la dignità di un vero e proprio movimento di pensiero. I sociologi e i televisionari devono pur vivere raccontando qualcosa.

Il termine downshifting è apparso per la prima volta nel 1994 sul Trends Journal del Trend Research Institute di New York City. A distanza di una dozzina di anni è stato acquisito dal New Oxford Dictionary che ne ha fissato il valore lessicale individuandone il significato nel (libero) scambio di una carriera economicamente soddisfacente ma evidentemente stressante, con uno stile di vita meno faticoso e meno retribuito ma più gratificante. Insomma una rivalutazione dell’ozio ed un recupero del concetto di lentezza.

Chissà perchè allora i nordisti parlano così male dei sudisti per questi stessi motivi?

Certamente gli stessi sociologi di prima sapranno spiegarcelo.

Pare incredibile ma c’è chi ci abbocca ancora a queste bufale da film stile Un’ottima annata. è l’apoteosi dell’egoismo fatto sistema filosofico di vita. Ma a questa manica di aspiranti fancazzisti dandy, chi dovrà pagare i servizi sociali quando saranno vecchi, malati e stanchi? Semplice, quelli che si son fatti il mazzo tutta la vita. Perchè, statene certi, li pretenderanno.

A sinistra (o a destra) della semplicità volontaria c’è il freeganismo, uno stile di vita anticonsumista dove le persone utilizzano strategie di vita alternative basate sul minimo consumo di risorse. I freegani respingono il materialismo, l’apatia morale, la competizione, la conformità e l’avidità. Vivono recuperando gli scarti, prendendo il cibo in scadenza dai supermercati. Ma come spesso succede sono stati scavalcati da chi ha studiato: i paraeconomisti del Banco Alimentare Onlus e del Last Minute Market. D’altronde anche loro devono pur vivere, alle spalle di qualcuno naturalmente.

Mi sfugge comunque ancora una volta un dettaglio. Ma se non ci fossero tutte quelle persone tanto vituperate ed indegne moralmente di vivere la loro esistenza lavorativa, piatta e vuota, parlo di coloro che producono tanto da esserci addirittura una sovrabbondanza da recuperare, come farebbero a vivere i freegani? In altri tempi si chiamavano scrocconi. Dare loro una dignità filosofica ed un’alta valenza morale è un passo avanti o indietro?

Ma non basta. Quando il sogno di un ritorno all’Arcadia diventa parascienza nasce la permacultura (inizialmente permacoltura, dall’inglese permanent agriculture, cioè agricoltura permanente ed evolutasi poi in permacultura, da permanent culture, cioè cultura permanente). Nata nel 1978 come modello olistico di agricoltura sostenibile, grazie a (o meglio, a causa di) Bill Mollison e David Holmgren (che comunque una rapa in vita loro non l’hanno mai piantata), essa è evoluta verso l’ambizioso progetto di costruire insediamenti umani che, imitando gli ecosistemi naturali, giungono ad un ambiente sostenibile, stabile, duraturo, equilibrato ed estetico. Una delle loro burle meglio riuscite (perché naturalmente c’è persino chi ci crede) è quella di consigliare di auto costruirsi le case con le balle di paglia in modo da vedere la propria casa nascere e crescere in un campo. Di simpatiche e d impraticabili metafore sono piene le fosse.

Mi sfugge comunque ancora una volta un dettaglio. Ma l’agricoltura di sussistenza famigliare non era una di quelle pratiche tanto vituperate, che testimoniavano l’arretratezza culturale e sociale dei piccoli paesi, che venivano pertanto definiti comunità senza un domani?. La mancanza di innovazione e di prospettive per il futuro dei giovani non era la causa del progressivo spopolamento delle campagne e dei villaggi di montagna? Presentarmi tutto questo come l’Eden prossimo venturo, sinceramente, non è un bel salto mortale? Chi si contenta gode.

Dopo 30 anni di insuccessi, la permacultura inglese, è evoluta (o involuta?) grazie a Rob Hopkins e Louise Rooney, verso l’idea delle transition towns (città di transizione), il mito dell’insediamento sostenibile, che però spesso è sinonimo della deprecata autarchia: orti comuni, riciclaggio di materie di scarto, riparazione di vecchi oggetti non più funzionanti, moneta locale, ecc. Insomma dallo strapaese alla stracittà.

Mi sfugge comunque per l’ennesima volta un dettaglio. Ma se non ci fosse tutta quella vituperata tecnologia, come farebbero ad esistere gli esperimenti delle città di transizione? Lasciate a se stesse non solo non sarebbero autosufficienti, ma regredirebbero in breve tempo a situazioni preindustriali, quando la vita media non raggiungeva i trent’anni.

Non pago del buonsenso, a riprova di quanto sostenuto dai teorici (che raramente però sono uomini pratici) sono andato a curiosare nei tre santuari laici delle città di transizione: Kinsale (Irlanda), Totnes Gran Bretagna) e Monteveglio (Italia).

È proprio vero che le bugie hanno le gambe corte.

Cercando notizie su Kinsale, mitica città di transizione, questo si trova. Che è un caotico villaggio turistico pieno di problemi urbanistici, come e più di qualunque altra località balneare. In più c’è una lotta tra supermercati vicini che fa impallidire i falce e carrello nostrani. Non una parola su i tanto declamati esperimenti transizionali. Meno che mai sullo storico piano di indipendenza energetica adottato dal Kinsale Town Council. Anzi, dopo l’inganno la beffa. Non solo di orti urbani e di chilometro zero non si parla, ma il simpatico villaggetto ha ricevuto il premio Fair Trade Town, quello per il commercio equo e solidale (cioè per i prodotti che provengono da migliaia di chilometri di distanza) alla faccia del chilometro zero e della protezione della biodiversità locale.

Le cose non vanno meglio neanche a Totnes. Un guazzabuglio mercantile noto soprattutto per la folta presenza di santoni della new age. In attesa dell’età dell’Acquario, anche qui di transizione c’è poca traccia. Solo un piccolo sito web locale ne parla. L’ho visitato. La delusione è stata grande. Ecco i progetti in atto: uno studio sulle caratteristiche delle attività produttive locali, la speranza di costruire un incubatore per le future imprese, il desiderio di recuperare un vecchio stabilimento abbandonato per la lavorazione del latte, la creazione di una moneta locale (per evitare che si possa fare la spesa fuori città, alla faccia dell’apertura al mondo esterno), un piccolissimo esperimento di cohousing (al santone, come maschio alfa, piace il libero amore della comune), un progetto di edilizia a basso impatto energetico. Insomma poco o nulla di reale, ma solo un piccolo botto mediatico.

Monteveglio comunque detiene la palma del nulla. Un corso sull’alimentazione (cosa che succede in ogni scuola elementare italiana), un’indagine sulle fasce orarie dei consumi energetici (che l’Enel già conosce benissimo), una ricetta per fare il pane colla pasta madre (ci sono migliaia di siti più completi), una banca della memoria (ogni comune ha il suo museo della civiltà contadina, che nessuno visita), un mercatino dell’usato (in ogni paese ce n’è almeno uno alla settimana), un gruppo di acquisto sul fotovoltaico e il solare termico (ci sono mille lobby di installatori di questo tipo ovunque), un progetto per andare a scuola a piedi (ce n’è uno in ogni quartiere).

Insomma, siamo ancora all’antipasto o … siamo già alla frutta?

 

SPASSERELLE

di Nat Russo

Perché non questo percorso sul lungomare?

In città si parla di passerelle. Niente illusioni gli esodati verso la pensione non c’entrano. Si tratta di una passerella per far vedere meglio il Priamàr dal lato mare. Sino ad oggi ci sono due proposte: una della Amministrazione Comunale ed una della Consulta del Priamàr. Diciamolo con franchezza: sono una più brutta dell’altra. La prima costa 3 miliardi di vecchie lire, l’altra solo mezzo miliardo. Tanto sono i nostri soldi mica i loro.

Il principale difetto è che i percorsi proposti sono troppo addossati alle mura. Uno in basso uno in alto, aggrappato.

Credo che una visione della Fortezza dal lato mare necessiti di una distanza adeguata. Nessuno guarda il Priamàr dal lato monte strisciando sotto gli spalti od aggrappato alle mura, ma passeggiando comodamente per Corso Mazzini. Perchè questo dovrebbe succedere dall’altra parte?

Ho provato a disegnare una ipotesi di percorso che mi piacerebbe fare.

Il percorso giallo non risulta minimamente d’ostacolo alla attività portuale, anzi favorisce la vista di scorci degni di grande attenzione. Il percorso (integrativo) rosso non risulterebbe di ostacolo ai camion poichè sopraelevato, sfruttando il cavalcavia già esistente, potrebbe essere una plausibile soluzione per collegarsi alla Vecchia Darsena. Sulla punta del molo potrebbe infine nascere un bar panoramico.

E adesso dateci dentro voi con il fuoco delle critiche.

 

FEDERICO DÌ QUALCOSA DI RENZIANO

di Nat Russo

Fare pulizia in Comune.

La maggioranza comunale savonese scricchiola continuamente. Quello non vuole il Crescent, quello non vuole Riborgo, quello non vuole i Solimano, quello non vuole Santa Chiara, quello non vuole l’Ostello, quello non vuole la passerella del retropriamar, quello non vuole la terza piscina, quello, quello, quello…

Se la sedia scricchiola è l’ora di darle un aiutino. Per esempio, cambiare alleati prima che lo facciano loro. Un bicolore PD e Civicamente ed ogni problema è risolto. Sì subito a tutto. E via a realizzare finalmente qualcosa in questo ultimo scampolo di legislatura. Siamo certi non ci sarà nessuna contestazione altrimenti tutti a casa.

Per esempio: mandare all’opposizione IDV, API, Sel e Rifondazione. Aria.

Ritiro delle deleghe a Di Padova, Lugaro e Costantino. Aria nuova a Palazzo. Al loro posto assessori esterni finalmente capaci e competenti. Tanto alle prossime elezioni nessuno di questi partiti esisterà più, a cosa serve tenerseli in giunta a scaldare remunerate poltrone e stare ogni momento in croce?

Decidere e cambiare: Federico dì qualcosa di renziano.

 

RIBORGO: UNA GUERRA DIMENTICATA

di Nat Russo

Lo sbarco ai Solimano.

C’era una volta Riborgo in S. Bernardo in Valle in Santuario in Savona. Questo per dire la decisiva importanza del nucleo abitato. Dicono gli attenti cronisti nostrani che lì Tullio Ostilio combatté la feroce guerra permaculturale della balle… di paglia. Dopo un’attenta supervisione archivistica degli atti urbanistici, un’Api operaia/consigliera scoprì, tra lo stupore degli uffici preposti, che le richieste dei permessi edificatori erano state tardivamente depositate. La guerra delle balle finì quindi in una bolla… di sapone. Una punitiva ingiunzione comunale agli indigeni di Riborgo impose che il rio Pizzuta se lo bonificassero e mettessero in sicurezza da soli. Un’aschiera di indigeni locali si dispose lungo la tombinatura (parrebbe abusiva) di Rio Pizzuta e impostesi le Mani… sul Core intonò “non passa lo straniero”. Non era però il 24 maggio e tutti se ne dimenticarono.

Le truppe montane di Tullio Ostilio si spostarono sconfitte lungo Rio Molinero fino al mare e, alleatesi con le fresche truppe genovesi specializzate in socio-architettura, iniziarono la preparazione del D-day: lo sbarco in Solimano. La battaglia di trincea, denominata dai futurologi, Twin Peaks verte adesso sull’allontanamento di topi ed homeless da un ex-cantiere navale spiaggiato a Zinola, la cui demolizione lascerebbe il posto a due alte torri gemelle.

Vito Catozzo e Rintintin, prontamente spostati dalla dirigenza di ATA da Piazza del Popolo ai Solimano, vigilano adesso sulla battigia (d’inverno infatti i cani sono ammessi a defecare sulla spiaggia), perché non si compiano le temibili minacce di una pericolosa cellula terroristica anticemento che di autodefinisce Consulta Culturale.

 

SODDISFATTI O RIMBORSATI?

di Nat Russo

Quello che succede nel Consiglio Comunale di Savona sfugge all’umana comprensione. Sembrava che ci si fosse trovati di fronte ad un atto di insubordinazione politica fuori dalla grazia di Dio quando due consiglieri di maggioranza, dati alla mano, hanno posto ad un assessore una serie di contestazioni (che la diplomazia politica ama chiamare interpellanze) sui conti pregressi e sulle modalità di gestione delle piscine comunali. Dire che la risposta dell’assessore è stata evasiva e che la disattenzione in aula era palese equivale ad essere malati di inguaribile ottimismo pernicioso. Ed infatti la ferma risposta del consigliere è stata di essere insoddisfatto. I pochissimi cittadini presenti hanno pensato: chissà che seguito da thriller.

Nulla di tutto ciò. Il consigliere, pochi minuti dopo, ha mutato la maschera facciale in un disteso sorriso ed ha posto delle decisive proposte di modifica di una determina in discussione sulla tassatività di non addobbare con delle tendine i futuri dehors della Darsena. Prontamente accettate. Che vittoria gloriosa.

Presenterà una nuova decisiva interpellanza sulle piscine la prossima volta, hanno pensato i meno cinici. Macché il suo spazio mediatico se l’è già guadagnato, non farà più niente, hanno pensato i più. Indovinate voi chi aveva ragione?

Esiste una legge sulla customer satisfaction politica equivalente a quella del commercio: soddisfatti o rimborsati? Esiste un diritto al recesso del consigliere votato da parte dell’elettore tradito? Purtroppo ancora no.

NAT RUSSO

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