Giustizia ed economia: in che mani sono?

Crepe nel pilastro della giustizia

 Dietro la rassicurante corazza delle conquistate istituzioni un manipolo di caimani esercita il potere assoluto attraverso una giustizia piegata al loro arbitrio ed usata a mo’ di clava contro chiunque sia visto come ostacolo alla sua sete egemonica.

Così appaiono, in due libri da poco usciti (“Magistropoli” di Antonio Massari e “Il Sistema – Storia segreta della magistratura italiana” di Sallusti e Palamara), i vertici della malagiustizia, occupati da un clan mafioso camuffato sotto l’aspetto solenne di toghe ed ermellini. Il CSM, torre di guardia dell’apparato giudiziario, sembra lo spaccato di una loggia massonica, ascoltando la confessione –quasi in letto di morte- di un suo autorevole membro ed ex presidente, Luca Palamara, caduto sotto la stessa mannaia da lui ritualmente usata per colpire non già le consorterie d’affari e le cosche che dissanguano il Paese, bensì gli avversari politici.

 

Da Tangentopoli al suo contrario: Magistropoli. 

 

E chi sono gli avversari politici? Invariabilmente rappresentanti di spicco della destra, della quale si tende a proiettare l’immagine stantia e stucchevole di un fascismo spettrale, pur morto e sepolto. Il paradosso è che, mentre i caimani denunciano le presunte pecche della destra, loro sono i primi ad avvalersene, utilizzando i tribunali come comodi sostituti di un leale agone politico. 

In ossequio ad un collaudato copione, lo scardinamento di concrezionati assetti criminali si verifica per bocca di “pentiti”, non già per improvvisa conversione morale, ma per essere inciampati nella loro stessa tagliola e aver provato sulla propria pelle cosa significa passare dalla parte dei vincenti a quella dei vinti. Vae victis!

Il libro di Sallusti, un resoconto delle sue interviste a Palamara, dà certezza a quelli che erano finora solo, pur fondati, sospetti circa i cruciali eventi che hanno stravolto il normale procedere del sistema democratico italiano: esemplare la caduta nell’autunno 2011 del governo Berlusconi: la magistratura al servizio di un intreccio di poteri sia patenti che latenti non ha bisogno di bombe, come la mafia, per eliminare chi le si oppone, le basta gettare discredito e poi intervenire con sentenze mortifere.

Ho detto “patenti o latenti” in quanto quel triste episodio amplia la platea degli avversari della destra, salendo fino ai poderosi bastioni di istituzioni internazionali del calibro di UE, BCE, FMI, tutte paladine a parole dei nobili principi di cui esse sole sarebbero garanti: libertà, democrazia, progresso, con ciò stesso, per logico contrasto, additandone come nemici quanti si mettono di traverso al loro pomposo incedere, con tutta la ripetitiva sequela di aggettivi che spaziano da fascisti a reazionari, da populisti a sovranisti.

Chi è costei? Carola Rackete, l’ex capitana della Sea Watch che forzò il blocco navale a Lampedusa, poi approvato dai giudici. Qui sopra è appollaiata sugli alberi per bloccare un’autostrada tedesca mangia-foresta, poi sgombrata brutalmente dalla polizia. Carola incarna l’odierna contraddizione tra difesa dell’ambiente e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina incontrollata, agitati sotto una stessa bandiera. Oggi non c’è più bisogno di lei in Italia: c’è Luciana Lamorgese  

In questo contesto, le parole di Palamara spiegano altresì le vere motivazioni degli attacchi giudiziari contro Salvini, reo di aver fermato il truce arrembaggio della Penisola ad opera dell’alleanza di fatto tra ONG e scafisti, col supporto ideologico delle sinistre che, scippato il governo del Paese, hanno addirittura agevolato gli sbarchi spalancando i nostri porti, col tacito avallo del Capo dello Stato, ben lungi dal comportarsi come il “presidente di tutti gli italiani”, secondo la rituale formuletta del giorno dell’insediamento. 

Del resto, anche di fronte ad un’insanabile crisi di governo, Mattarella le ha tentate tutte per evitare che fossero gli italiani, col loro voto, a decidere a chi affidare l’incarico di superare questo prolungato stato di emergenza, sanitaria ed economica. E cosa propone allora la “saggezza” di Mattarella: un governo “di alto profilo”, guidato da Mario Draghi, col probabile rischio che si instauri un Monte bis su un’Italia allo stremo. È singolare (o masochista) che si nomini per salvare l’Italia da una depressione economica senza precedenti proprio uno degli uomini chiave dell’avvento del regime neoliberista, principale responsabile della caduta del Paese dalla prosperità al declino, di pari passo alla transizione dalla lira all’euro. 

Crepe nel pilastro dell’economia

Un economista italiano di lungo corso e di fama internazionale, Mauro Gallegati, ha da poco pubblicato per la Luiss University Press un libro dal titolo “Il Mercato rende liberi (e altre bugie del neoliberismo)”.

 

 

Un economista di spicco contro il neoliberismo: una preziosa rarità

Non è molto diffusa tra gli economisti l’umiltà di riconoscere che il sistema economico che va per la maggiore –lui lo chiama mainstream– ha dimostrato la sua fallacia e perniciosità a livello sia economico che sociale; perché un’economia che è indifferente alle disuguaglianze, con l’accumulo in pochi della ricchezza strappata ai tanti, non è degna del nome. E quel che è peggio è che si vanta di essere una scienza, quando in realtà gli assiomi sui quali si basa sono viziati proprio per il fatto di considerarsi una scienza di tipo fisico-matematico. 

Gallegati cita una frase illuminante del fisico Gell-Mann su “come sarebbe difficile la fisica se gli atomi potessero pensare”. Ecco, è proprio il pensiero, e quindi il libero arbitrio, che crea un vallo insormontabile tra la materia vivente e quella inorganica. La seconda si muove secondo natura, e può essere in buona parte prevedibile secondo schemi deterministici, per i quali conoscendo le condizioni iniziali si può definire l’evoluzione di un dato sistema nel tempo, come nella meccanica newtoniana, che governa il movimento dei corpi celesti con incredibile precisione matematica. In campo biologico la situazione è radicalmente opposta, perché sottoposta a interazioni e retroazioni dei vari componenti. Ciò vale parimenti in economia, dove i soggetti (ben distinti dagli oggetti inanimati) non agiscono in modo preordinato: sono in sostanza sistemi dinamici non lineari e possono incorrere nel caos deterministico: il cosiddetto “effetto farfalla”, per cui una piccola causa può innescare un effetto smisuratamente maggiore.

Il secondo motivo per cui l’economia non può definirsi scienza è che gli strumenti che usa, mutuandoli dalla fisica (come sin qui fatto, col coinvolgimento di squadre di fisici e matematici, fino al collasso del 2007-2008, e cocciutamente sino ad oggi) sono rimasti quelli della meccanica classica, settecentesca, mentre la fisica li considera ormai buoni soltanto per i macrosistemi, essendosi rivelati totalmente inadeguati per il loro più intimo substrato. Se la fisica ha fatto passi da gigante attraverso teorie come quelle della relatività e della meccanica quantistica, per sfiorare l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, gli economisti sono rimasti al palo; e ciò proprio perché l’economia è una disciplina che coinvolge esseri pensanti e, al pari della biologia, non si lascia imbrigliare in equazioni astratte dal mondo reale.

L’impiego della matematica fornisce all’economia autorevolezza e con il mainstream si è trasformata in una (presunta e pretestuosa) oggettività che dimentica come gli assiomi –le ipotesi di base- condizionino fortemente i risultati ottenuti e che questi siano frutto di condizionamenti ideologici.”  

La semplicità dei modelli astratti non è di casa nei modelli reali; ma gli economisti, pur dovendosi muovere in campo reale, usano gli strumenti ideati per i modelli più semplici e prevedibili, ossia quelli inorganici, non pensanti, così candidandosi a vistosi, tragici fallimenti.

 

Due immagini appaiate, non a caso. L’uomo scelto oggi come salvatore della patria era tra coloro che il 2 giugno 1992 pianificavano sul panfilo Britannia le privatizzazioni e la svendita dell’Italia al capitale straniero, con una lira svalutata del 30%. La sua carriera divenne fulminea, passando dalla Goldman Sachs sino alla vetta della BCE, dove non salvò l’Italia, ma l’euro, ossia il cavallo di Troia monetario del neoliberismo. I “fascisti” del MSI furono l’unica forza politica a criticare questo infausto indirizzo, come da interpellanza 4/12630 di Andrea Parlato del 29/03/1993 [VEDI e VEDI

 

Il neoliberismo è stata una reazione emotiva al crollo dell’economia pianificata, di stampo sovietico, appellandosi al suo contrario e diventando anch’essa un’ideologia, col leitmotiv della “mano invisibile dei mercati”, usando quegli strumenti obsoleti a cui ho appena fatto cenno. Così facendo ci si è cullati nell’illusione che i mercati trovassero autonomamente i giusti punti di equilibrio, sorvolando sul fatto che si tratta di equilibri oltremodo instabili, caratterizzati da alta volatilità, ossia repentine quanto isteriche oscillazioni tra massimi e minimi, amplificate dall’uso di computer che effettuano scelte autonome nel giro di millisecondi. 

Per giunta, i titoli di Borsa non rappresentano più il valore reale e stabile di un’impresa, ma le previsioni (!) sulle sue future performance, con ciò stesso influendo pesantemente su di esse: le previsioni finiscono col determinare gli eventi anziché prevederli, ben diversamente da altre previsioni, ad es. meteorologiche. Tant’è che molte, fatte circolare ad arte, si configurano come aggiotaggio (notizie false per influenzare le quotazioni di un determinato titolo). 

La matematica è diventata sinonimo di rigore scientifico nell’economia. È invece giunto il momento di chiedersi se anche la cassetta degli strumenti non vada ripensata. Gli economisti mainstream stanno ancora utilizzando la matematica del XIX secolo per analizzare sistemi complessi, mentre le scienze reali (come la fisica o la chimica) stanno continuamente aggiornando i loro metodi. Come dimostra la teoria della complessità, l’interazione di agenti eterogenei genera non linearità: questo mette fine all’età delle certezze.”

Riflessioni

Discende da quanto sopra che due pilastri di una nazione, come la giustizia e l’economia, sono incrinati da corruzione e anacronismi. Entrambe sono discipline ben lontane dal rigore matematico in quanto coinvolgono esseri pensanti, che inficiano le comode formule con i loro comportamenti e le loro retroazioni (feed back). Entrambe poi sono impantanate in grovigli giuridici e finanziari tali che i governi non hanno gli uomini e le competenze per districarli. Una marea di leggi rende dubbia ai cittadini la legittimità di qualsiasi azione, per cui chi è coinvolto in una causa è lasciato al discrimine dei giudici, senza la minima certezza dell’esito finale: una situazione che pone nelle loro mani un potere dispotico.

Analogamente, in economia il governo si affida alla bizzarria dei mercati e alla “consulenza” di corporation cosiddette “istituzionali” (i cui macroscopici conflitti d’interesse sono stati più volte smascherati e a volte sanzionati), che si affidano a “sotto-consulenze” o ingaggi di nostri ex vertici dello Stato, come Draghi, Prodi, Monti, Siniscalco, Grilli ecc. per gestire operazioni finanziarie di enorme incidenza sui nostri conti pubblici. Questi sono solo alcuni degli “alti profili” cui si sono affidate e oggi ci si appresta a riaffidare le sorti del nostro povero Paese: ricca greppia della finanza internazionale, [VEDI] mentre si sprecano gli elogi, persino dalle opposizioni, con Giorgetti (Lega) che incorona Draghi: “come Ronaldo, un fuoriclasse non sta in panchina…” Memoria corta. 

 

L’endorsement di Prodi (altro “consulente” Goldman-Sachs, altro ospite sul Britannia, assieme al gotha della finanza e dell’industria italiana) a Mario Draghi era scontato: hanno fatto carriere parallele, in quanto entrambi realizzatori di tutte le scelte fatte dai governi italiani nello “spirito del Britannia” [VEDI e VEDI]. E per un puntuale elenco dei danni da lui fatti all’Italia, eccolo: [VEDI]. Il 17/01/1998 affermò: “smonterò l’Italia pezzo per pezzo”. E mantenne la parola 

 

Al di sopra di tante chiacchiere altisonanti, la tragica realtà è quella di un Paese in balia di un organo giudiziario marcio e di un’economia gestita, tramite vice-re, da stranieri privati, il cui traguardo è quello del profitto, proprio anziché della nazione che paga loro consulenze astronomiche (l’esempio dello sbilanciato contratto tra MEF e Morgan Stanley valga per tutti). 

Mario Draghi, scelto per pilotare l’Italia fuori dalle secche, è uomo di formazione neoliberista e, per usare i termini di Gallegati, userà strumenti superati dai fatti per risolvere problemi che invece richiedono un cambio epocale di paradigma, proprio per uscire dalle secche del neoliberismo, di cui l’Italia è malata da almeno 30 anni. Un po’ come usare i salassi per curare l’anemia.

 

Uso del salasso nell’antichità per la cura delle più svariate malattie, spesso aggravandole

Anacronismo che regna anche nella giustizia, infarcita di leggi caotiche e obsolete, per non dire delle schiere di azzeccagarbugli ideologizzati che popolano il mondo delle toghe.

A consultazioni terminate

Dunque, per le più disparate motivazioni, tutti sul carro di Draghi, tranne l’indomita Giorgia Meloni. Si apre uno strano Parlamento con un solo partito all’opposizione: Fratelli d’Italia. Ignazio La Russa spiega così il suo niet: un governo con dentro tutto e il suo contrario non avrà vita lunga. Resta incomprensibile il reiterato diniego del Colle alle elezioni. In questa ibrida democrazia gli italiani contano ormai zero. Molto incisiva la vignetta di Mannelli sul Fatto Quotidiano, orfano di Conte.

  Marco Giacinto Pellifroni         7 febbraio 2021 

 

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