Giuseppe Dionigi

Chi era Giuseppe Dionigi, missino e massone. Quella villa di Erli…
Quando ad Albenga approdò “Ordine Nuovo”
Pagine poco note della Trattoria Toscana
Il ruolo del maresciallo Vescovi dell’allora Squadra Politica della Questura di Savona

Chi era Giuseppe Dionigi, missino e massone. Quella villa di Erli…
Quando ad Albenga approdò “Ordine Nuovo”
Pagine poco note della Trattoria Toscana
Il ruolo del maresciallo Vescovi dell’allora Squadra Politica della Questura di Savona
  

Giuseppe Dionigi

Chissà quali saranno state le ragioni che hanno portato Giuseppe Dionigi a rilevare, il sedici febbra­io del ’74, la “Trattoria Toscana”, di Via Torlaro, ad Albenga. Difficile, peraltro, che egli mirasse a far fortuna nella ristorazione: nato in Francia (a Comles Ville) nel 1925 ma torinese di adozione e di residenza, Dionigi fino a quel momento si era segnalato più per ragioni politiche che per abilità commerciali.

Iscritto al Movimento Sociale Italiano nel ’68, in seguito era stato con Pino Rauti il fondatore del Movimento Politico Ordine Nuovo; da lì era confluito nel quasi omonimo gruppo (di cui era stato uno dei dirigenti insieme a Salvatore Francia e ad Adriana Pontecorvo) e nel ’70 era rientrato nel MSI, nella fila del quale era stato eletto consigliere comunale nel capoluogo torinese.

Agli inizi del ’74 Dionigi frequentava assiduamente la libreria “Claudiana”, di proprietà di Mario Morano, un curioso notaio che verrà arrestato per truffa a settembre 1976, destituito dalla professio­ne dal tribunale torinese sei mesi dopo e, infine, dichiarato fallito nel novembre del ’77. E’ proprio a Morano che Dionigi chiede i sei milioni per rilevare la trattoria.

Sì, ma perché Albenga? Nel centro ingauno il MSI in quel momento era politicamente ben rappre­sentato, ma cosa c’entra questo con l’apertura di un locale? Forse, più che dal mondo politico, Dio­nigi (iscritto nelle logge massoniche torinesi almeno dal 1972) era stato aiutato dai fratelli di grembiulino: a dar­gli una mano a rilevare la trattoria è, infatti, un altro torinese, Enrico Olivero, un massone proprieta­rio di una villa carica di simboli esoterici nel non lontano comune di Erli e che gira con una Simca color verde scuro.

Nel piccolo centro dell’entroterra ingauno si recheranno i carabinieri quando per il consiglie­re missino scatterà un mandato di arresto firmato dal giudice Luciano Violante, con la pesante accu­sa di costituzione di banda armata; ma all’inizio dell’anno Dionigi è ancora un libero cittadino e il nuovo gestore della trattoria può iniziare l’attività.

Gli affari, però, non vanno molto bene. Dionigi, evidentemente a disagio in materia di ristorazione, gestisce l’esercizio con risultati davvero scoraggianti e di clienti se ne vedono pochi. Nonostante questo, tra le persone che Dionigi assume come camerieri (lo dice Olivero al giudice istruttore) al­meno una è di qualche riguardo: si chiama Salvatore Francia

Francia ha sempre negato di aver lavorato alla trattoria Toscana e, in effetti, l’informazione non è di prima mano. Interrogato a proposito, anche Dionigi smentirà la presenza del torinese: a servire i pa­sti ai pochi clienti del locale sarebbe stato il quarantacinquenne Eraldo Capitini anche lui, peraltro, assai più noto come estremista di destra che come addetto di sala.

Tra i pochi avventori del locale c’è anche il maresciallo Vescovi, un componente della squadra politica della Questura di Savona, a cui fonti confidenziali avevano rivelato che presso la trattoria e nella villa di Erli si tenevano riunio­ni che potevano avere lo scopo di organizzare attentati dinamitardi.

Il confidente era andato oltre e aveva rivelato che armi ed esplosivi sarebbero arrivate ad Albenga via mare e che elementi di estre­ma destra si sarebbero esercitati per il tiro al bersaglio nei pressi del rifugio Savona sul colle del Mongioie, ai confini con la Francia. Lo spunto, però, non viene sfruttato dagli inquirenti: la segnala­zione cade nel nulla e il confidente, forse pressato da qualcuno, smette di parlare….

Massimò Macciò

 

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