Giannici tra terra e cielo

GIANNICI TRA TERRA E CIELO

GIANNICI TRA TERRA E CIELO

 Prosegue la mostra “Omaggio a Gianni Celano Giannici” inaugurata il 2 dicembre 2017 presso il Centro di Cultura e Arte contemporanea “Balestrini” ad Albissola Marina. I quadri esposti, selezionati da Riccardo Zelatore tra i più significativi degli anni Ottanta, provengono dalla collezione raccolta dal suo grande amico e curatore Franco Balestrini, che gli aveva dedicato già sette personali. Nella locandina che dà notizia dell’evento Giannici viene definito come “uno degli interpreti più illuminati della scena artistica albisolese dagli anni Sessanta a oggi”; e infatti lo rivedo in quel suo piccolo e pittoresco atelier di Pozzo Garitta o al Circolo degli Artisti di Piazza  del Popolo, quando ancora si trovava in una sala  a pianterreno del Municipio, proprio di rimpetto al bar Testa, dove, nei tardi pomeriggi estivi e nei lunghi dopocena sotto le stelle si potevano  incontrare gli artisti che hanno fatto di Albissola “una piccola  Atene” (secondo la definizione di Milena Milani) in quei mitici anni Cinquanta e Sessanta: oltre  alla stessa Milani, basti ricordare Lucio Fontana e Agenore Fabbri,  Aligi Sassu, Roberto Crippa, Asger Jorn, Mario Rossello, Antonio Sabatelli, il ceramista italoargentino Carlos Carlé e i più giovani Ansgar Elde, Irene Dominguez, Daniel Bec, Giorgio Bonelli, Giampaolo Parini…Ricordo anche con nostalgia le serate conviviali e musicali in casa di Wifredo Lam e del critico d’arte  Mario De Micheli e degli amici Luciano e Margherita Gallo Pecca (appassionati testimoni di quegli anni e autori del libro  L’avventura artistica di Albisola. 1920/1990)…


Altri tempi, certo, e tanta acqua marina è passata sotto quei colorati e smaltati cieli albissolesi; ma Giannici non ha mai perso quel suo carattere estroso di eterno fanciullo che riesce ancora e sempre a stupirsi di fronte allo spettacolo della vita in tutte le sue manifestazioni e a stupirci per la sua inesauribile vitalità artistica. Lui stesso ha scritto sulla sua pagina Facebook: “Importante, per me, che non possiedo la verità, è sempre la coscienza che stupirsi è alla base della vita e guai se un artista non la possiede…!!!! Vorrebbe dire che è solo un pittore”. La consapevolezza di non “possedere” la verità è la condizione necessaria per cercarla e per  amarla sopra ogni altra cosa; così nell’arte non basta il mestiere, pur necessario, a fare di un uomo un artista; oltre alla tecnica, in effetti, ci vuole qualcosa di simile a una vocazione divina grazie alla quale il “fare” artistico non ha una funzione causale di  pratica utilità ma è frutto di una speciale ispirazione (o mania) poetica che fa dell’artista un messaggero di qualcosa che lo trascende e che, quindi, ha la funzione di rendere visibile ciò che altrimenti rimarrebbe nascosto agli occhi di chi non sa o non riesce a vedere oltre il visibile. Nella sua originalissima libertà stilistica confluiscono suggestioni diverse: dall’ espressionismo al surrealismo, dal tachisme all’art brut, dalla nuova figurazione alla transavanguardia, il tutto sempre metabolizzato secondo la sua personale visione poetica: “Penso che per un artista, se mai io lo sono (altro non so tentar di fare) la cosa più importante sia pulire le scorie per diventare ambasciatore della luce” è un altro suo breve e illuminante testo “postato” sulla sua pagina Fb. Bella l’idea dell’artista come “pulitore di scorie”, cioè delle impurità che ci impediscono di vedere la luce risplendere in tutta la sua bellezza. 


Nel grande pannello che troviamo sulla parete di sinistra, entrando nella galleria, il cui titolo, L’ANGELO CUST ODE (proprio così, in stampatello maiuscolo) fa anch’esso parte di questo  enigmatico dipinto formato da riquadri sovrapposti e in parte intersecantisi con diverse tonalità: dal marrone scuro della fascia rettangolare in basso che si estende per tutta la lunghezza del pannello, lambita dal fondo da una specie di frangia marrone chiaro, al profondo blu oceano del riquadro in primo piano, dentro il quale si staglia, verso destra e in basso, un rettangolo verticale che contrasta, per la sua luminosità, con il blu scuro che lo circonda e dentro cui è disegnata la figura intera di un cacciatore senza volto che stringe un fucile nella mano sinistra e la cui lunga canna, puntata obliquamente verso terra,  esce in parte dal rettangolo luminoso. Al di là del riquadro in primo piano si apre un cielo celeste viola che fa da sfondo a rapide pennellate gialle, rosso fuoco, verdi e violette; e anche a strane macchie che, a osservarle attentamente, prendono figura di uccelli e di animali fantastici o maschere demoniache che sembrano provenire a volo da una notte di Valpurga. 


Questo pannello è un chiaro esempio della vena fantastica e fiabesca di Giannici, di cui parlano i commentatori delle sue opere e che richiama il mondo fiabesco di Marc Chagall e, per certi aspetti, di Joan Mirò: si veda l’ariosità mediterranea di La dea della musica la mattina presto, con quei delicati tratti color pastello, la fluidità delle linee, la trasparente chiarezza del mare da cui emerge la sirena e del cielo in cui sale la musica; oppure L’angelo caduto, dove ancora una sirena si avvicina a una specie di animale fantastico il cui colore blu contrasta  sul chiaro di una petraia su cui strisciano serpentelli e vermi, mentre l’angelo caduto giace negletto nell’ombra. 


Anche in Lascia perdere il tempo è passato ci troviamo di fronte a un’allegoria il cui significato non è deducibile da quello che si vede: è come guardare dentro un sogno che richiama certa pittura metafisica la cui bellezza è nel suo mistero.


E misterioso è anche Il significato di L’identità svelata dell’anima ribelle dove vediamo un essere chiaramente demoniaco emergere dal fuoco e una fiamma levarsi da un simbolo alchemico iscritto in un triangolo. Il tutto su uno sfondo cupo e impenetrabile. 


 D’altra parte è stato lo stesso Giannici a teorizzare l’importanza del dubbio per un artista: “Con tutto il mio umile pensiero, una cosina però desidero dire: ‘Ammiro e rispetto chi prende in mano un oggetto per raccontarsi! Altro però è entrare nella ‘Stretta’ porta dell’Arte. Tanti, anche troppi pittori, pochi artisti; buona vita a chi umilmente ha come padre il dubbio. L’ Arte è una maniera di vivere, non ha nulla da comunicare, è cosciente di non essere il ‘Giudice’ della verità, è solo e semplicemente un luogo dove chi lo frequenta ci sta bene, più o meno. Ecco, per me è solo una meravigliosa avventura che provoca uno stato di Grazia o di disgrazia”. Questa meravigliosa avventura continua a stupire l’artista Giannici e a stupirci, rivelandoci l’infinita bellezza della luce.

    FULVIO SGUERSO 

Le Foto delle opere di Giannici sono di Biagio Giordano
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