Fra confessionalismo e secolarizzazione…

Fra confessionalismo e secolarizzazione:
la minaccia dell’islam minacciato

Fra confessionalismo e secolarizzazione:
la minaccia dell’islam minacciato

La religione cristiana è teoricamente pericolosa come l’islamismo e come tutte le religioni che predicando una vita vera dopo la morte tolgono valore e significato alla vita e all’esistenza terrene. Non ci può essere un dialogo autentico con chi è convinto che la vita e la realtà siano da un’altra parte, che l’esistenza terrena sia solo un passaggio, una prova, una finzione.


Questo in teoria. Di fatto però mentre l’islamismo ha trovato il suo humus presso popoli depositari di una religiosità già tutta rivolta all’al di là, negatrice del valore dell’individuo e, di conseguenza, della vita, il cristianesimo si è sovrapposto al vitalismo e al naturalismo pagani e lo spirito della pietas tradizionale ha continuato a vivere sotto mentite spoglie facendosi strada dietro la maschera dei riti e della mitologia della nuova religione.

La religione tradizionale, che per comodità continuo a chiamare impropriamente “pagana”, aveva il culto della bellezza, dell’eros, della natura, in una parola della vita; era una religione tutta risolta nella pietas, che è insieme rispetto della tradizione, ossequio formale ai simboli che tengono unita (questo, nonostante l’opinione di Cicerone, significa religio) la comunità e sono la radice dei valori della famiglia, icasticamente rappresentati da Enea che regge sulle proprie spalle il padre Anchise. Gli antichi consideravano con distacco le manifestazioni parossistiche di misticismo religioso, praticamente assenti nell’antica Roma, e giudicavano severamente i crimini dettati dalla superstizione religiosa tràditi dalla tradizione letteraria, come il sacrificio di Ifigenia. Le uniche vittime della pietas romana erano animali da cortile e agnelli sacrificali, ottima occasione per mangiare carne in una cucina sostanzialmente vegetariana più per necessità che per scelta.

Intendiamoci: non sostengo che la fede religiosa, l’aspirazione al martirio e la convinzione di una vita beata dopo la morte siano le uniche motivazioni del terrorismo islamico né credo che l’odio verso l’occidente e gli infedeli sia ispirato dal corano. Mi resta difficile immaginare un devoto musulmano, studioso della letteratura coranica, formato sui testi di Al Farabi, Al Ghazali, Avicenna o Averroè  che in tuta mimetica, armato di kalashnikov si esalti al grido di Allahu akbar. L’Altissimo, direbbe quel devoto, non ha bisogno del riconoscimento e della difesa degli uomini.  Detto questo, quel devoto musulmano è ormai una mosca bianca nell’universo islamico regredito ai suoi esordi, popolato da gente rozza, ottusa, invidiosa, ostile, al cui interno chiunque può essere un terrorista. La fede religiosa ha una precisa responsabilità ma non è più quella pacata e filtrata attraverso la filosofia che Buttafuoco cerca di far rivivere, è essenzialmente la fede elementare di popoli rimasti per secoli ai margini della nostra civiltà dopo aver perso il filo della propria, una fede che copre una crisi collettiva di identità, il complesso di inferiorità di chi ha smarrito il senso di appartenenza ad una nazione  e lo surroga con l’universalismo, di chi ha paura di perdere i propri riferimenti valoriali, le proprie convinzioni fondamentali sul rapporto uomo-donna, sulla mascolinità, sul sesso. Non c’entra la povertà o la marginalità, come cercano di far credere i compagni con la loro sociologia da quattro soldi. C’entrano piuttosto il confronto e l’incompatibilità con la secolarizzazione, la spregiudicatezza, l’abbattimento di tabù, l’esibizione tranquilla del corpo, l’autonomia affettiva e la parità sociale della donna, la dissacrazione del vizio e del peccato. Il musulmano, e la musulmana, coprono i loro vizi privati, le loro perversioni, la loro sporcizia morale come coprono il corpo. La loro è una moralità assolutamente ipocrita, coerente con una cultura che giustifica e istituzionalizza la menzogna – forse per questo sono spesso in sintonia con una certa tradizione comunista – , una moralità che non regge al contatto con l’etica occidentale che si è scrollata di dosso la sessuofobia, che è poi sessuomania, cristiana, cattolica e protestante.  In questo senso ha ragione chi dice che l’islam attenta al nostro stile di vita. Ma se si riconosce questo bisogna anche riconoscere che la cultura islamica, per quello che l’islam è oggi, non è compatibile con la nostra cultura e che insistere con l’integrazione è il modo migliore per attizzare l’odio e incoraggiare il terrorismo.


L’islam non è compatibile con la nostra cultura in quanto cristiana; al contrario: è incompatibile con la nostra cultura in quanto secolarizzata. Si dirà: ma a casa loro, i musulmani perseguitano i cristiani e bruciano le loro chiese e qui noi nelle scuole per non turbarli si tolgono i crocefissi; e ancora: nella propaganda del califfato, fra l’altro d’impronta sospettamente occidentale, si insiste sull’odio contro i “crociati”e si predica la conquista di Roma, mitica meta finale dopo Gerusalemme e Costantinopoli. Come spesso accade si rischia di vedere il dito invece della luna. Non c’è in vista nessuna guerra di religione.  Intanto perché le prime vittime del terrorismo islamico sono i musulmani  stessi e non lo sono solo nell’ambito a noi estraneo del conflitto fra sciiti e sunniti ma in quello più strategico del contrasto alla contaminazione con l’occidente, acuito dall’affievolirsi della fede religiosa, e dalla tendenza diffusa  all’adozione dello stile di vita edonistico occidentale. Il risultato è che più delle chiese sono a rischio i locali gay, le discoteche, i simboli del consumismo, le località turistiche. Perché è vero che, dal nostro punto di vista, incombe su di noi la minaccia dell’invasione e dell’islamizzazione ma è anche vero che dal punto di vista dei fedeli musulmani c’è il pericolo ancora più immediato e tangibile del contagio culturale. Ed è quello che li spaventa, non  il confronto religioso fra islam e cristianesimo, nel quale l’islam ha sempre avuto la meglio ed è storicamente falso dire che ha prevalso solo con la forza.

Del resto la cristianità medioevale ebbe buon gioco sull’islam sotto il profilo militare ma rischiò di soccombere sotto quello teologico alla pressione di una dottrina più sofisticata, tant’è che  dovette provvedere a rinforzarsi con l’innesto di Aristotele per non uscirne schiacciata. Non è la Croce che spaventa l’islam ma la libertà della donna europea e, più in generale, la perdita di ogni influenza della religione sulla vita delle persone. Il musulmano proietta fuori di sé l’invidia peccaminosa per il nostro stile di vita e attaccando il demonio che vede in noi si libera del demonio che è dentro di sé. Libera nos a malo, dice il cristiano rivolgendosi a Dio, il musulmano per liberarsi dal male ci ammazza.


I talebani, l’Isis, lo stesso terrorismo sono fenomeni contingenti, sono solo avvisaglie o sintomi di un fenomeno di ben più ampia portata: il rimescolamento etnico e culturale portato dalla globalizzazione e dall’imperialismo – uso il termine caro al vecchio Pci – americano. In questo rimescolamento entrano in contatto stili educativi diversi, atteggiamenti e sistemi di riferimento distanti fra di loro, percorsi storici divergenti. Ma la contrapposizione vera e irriducibile è fra una cultura succube di una religiosità collettiva e istituzionalizzata e una civiltà individualista, disinibita, spregiudicata che si è scrollata di dosso il fardello del confessionalismo. Non deve pertanto stupire l’atteggiamento ambiguo dei vertici della Chiesa romana, la tendenza a sorvolare per quanto possibile sui crimini ai danni delle minoranze cristiane, la sua politica dell’accoglienza, che, se decontestualizzata, può sembrare dissennata e suicida. La strategia del Vaticano mira infatti all’unione delle fedi, all’incontro e all’alleanza di tutta la comunità dei fedeli, di tutti, lo dico con Nietzsche, gli “odiatori della vita” coalizzati contro l’edonismo, il consumismo e la totalità dei valori, e, perché no, dei disvalori, mondani. Chi si aspetta dalla Chiesa un sussulto di orgoglio in difesa dell’Europa cristiana contro l’invasione islamica si sbaglia di grosso. Da quella parte ci sono e ci saranno solo distinguo, ipocrisia, l’attesa di morti – veri o presunti – da esibire, meglio se donne o bambini. Le poche voci che si erano levate nel passato, anche all’interno del Sacro collegio,  per mettere in guardia contro l’invasione islamica sono state soffocate: la Chiesa ora parla con una sola voce, quella dell’accogliamoli tutti, più ne vengono meglio è, sono persone da aiutare, e se non fuggono dalla guerra fuggiranno  dalla miseria o dal caldo o dal lavoro nelle piantagioni e comunque, da qualunque cosa fuggano, se loro vogliono venire da noi, noi li dobbiamo accogliere e mantenere. Un vero delirio. Spaventoso come la cecità di fronte all’evidenza che i clandestini sono nella stragrande maggioranza giovani adulti, che definire profughi è un oltraggio al buon senso, e ci si dovrebbe chiedere se sono semplicemente scrocconi o qualcosa di molto più pericoloso: l’avanguardia incaricata di preparare il terreno al definitivo insediamento nella nostra terra di intere popolazioni. Non ho nessuna difficoltà ad ammettere che i nostri governanti, i nostri politici, il Pd tutto non si pongono il problema e non vedono la rovina che stanno preparando all’Italia per semplice stupidità – fatti salvi, ovviamente, la truffa al danni dell’Europa, l’affare per cooperative e privati amici e un meschino, oltre che sbagliato, calcolo elettorale – ma delle gerarchie ecclesiastiche e del clero si potrà dire tutto ma non che difetti loro intelligenza e lungimiranza. Ed è proprio questo che ci deve preoccupare. Perché quella politica dell’accoglienza senza limiti non è un delirio ma il risultato di un calcolo che mira a frenare la deriva dell’individualismo, della libertà di coscienza, nella direzione di un rapporto intimo, personale, non mediato e non obbligato col divino. Il mondo islamico è stato finora del tutto estraneo a quella deriva: al contrario  alla nazione che gli è stata negata da colonialismo prima e dalla globalizzazione ha sostituito il senso di appartenenza religioso che ne ha fatto un’unica comunità.


E ora, con la Francia che come eredità della sua ingordigia colonialista si è riempita di algerini e tunisini francofoni e ormai cittadini francesi da due tre o quattro generazioni ma non per questo meno pericolosi, la Germania nella quale alla storica presenza di lavoratori turchi si è sommato un milione tondo tondo di profughi e clandestini dalla Siria e dal medio oriente ai quali la Merkel ha spalancato le porte e l’Italia dove dopo Berlusconi  la sinistra ha dato la stura all’invasione con la benedizione del Vaticano e la complicità di tutta la galassia del malaffare che ci ha lucrato e continua a lucrarci sopra, l’Europa si trova nel suo seno almeno sessanta milioni di musulmani destinati, fra ricongiungimenti e perdurare di ingressi incontrollati, a lievitare continuamente. E chi dice che nell’Europa occidentale sono comunque una minoranza o è fuori di testa o è in malafede. Nell’intervallo di età compreso fra i 18 e i 40 anni la presenza massiccia di extracomunitari provenienti dall’Africa e dal medio oriente si avvia infatti ad essere maggioritaria. Se poi si tiene conto del divario fra i tassi di natalità la prospettiva è terrificante. Che cosa ci aspetta allora? Andarcene, farci colonizzare, recriminare maledicendo troppo tardi la cancelliera, Bruxelles, la sinistra italiana e il Vaticano? Sicuramente niente ormai sarà più come prima e nemmeno la reazione che sicuramente ci sarà potrà ridarci l’Europa dei nostri  padri. Bene che vada potremo sopravvivere dopo aver ceduto parte dei nostri territori e dei nostri spazi di libero movimento. Ma anche questa, pur parziale, soluzione non ci verrà offerta gratuitamente, ce la dovremo conquistare con le buone o con le cattive, cominciando con l’identificare e neutralizzare non tanto i clandestini quanto i politici responsabili del disastro. I tedeschi si dovranno liberare della cancelliera e di tutto l’apparato che l’ha fin qui sostenuta; i francesi, stretti fra una sinistra incapace e paralizzata dagli interessi contraddittori che rappresenta  e una destra moderata che non è disposta a rinunciare alla grandeur e all’illusione che la Francia sia una grande potenza che non può voltare le spalle all’Africa né rinnegare il suo sconsiderato interventismo, dovranno decidersi a giocare la carta lepenista.  Allo stato attuale Marine Le Pen pare in grado di rispondere alla volontà popolare ma dubito che abbia l’energia necessaria per far seguire alle parole e ai proclami fatti concreti. In Italia dopo essersi  completamente sbarazzato di una classe politica autoreferenziale, invece di aspettare, come ormai fanno molti, l’uomo forte che nemmeno la divina provvidenza saprebbe dove scovare, il popolo – la “gente”, come dicono i compagni – deve assumersi la propria responsabilità, mobilitarsi, costringere i movimenti “populisti”, Lega e Cinque stelle, a fare causa comune e a dotarsi di un ponte di comando fatto di persone serie, determinate, animate da spirito patriottico, che, in questo momento, è anche un elementare istinto di sopravvivenza. Quello che si vede e si sente ora è sconsolante ma la pressione popolare è forte e quando il pericolo viene avvertito – gli americani direbbero quando il gioco si fa duro – entrano in campo le persone giuste e ominicchi e donnicciole tornano nell’ombra da cui l’avevano fatti uscire un’ambizione velleitaria, senza intelligenza, senza cultura, senza ideali. Se mi si consente un paragone irriverente, ci troviamo come Dante in una situazione che pare disperata e senza uscita ma come il sommo poeta traeva conforto dall’ora del mattino noi lo troviamo nel nuovo corso dell’amministrazione americana. Il mostro che dormiva nel mondo arabo è stato risvegliato dagli americani, che per ferire la Russia hanno prima scatenato gli assassini ceceni, poi hanno destabilizzato l’Afganistan foraggiando i talebani, poi hanno aggredito l’Irak, sgretolando l’unico vero stato laico del mondo arabo o arabizzato, hanno consentito che la stupidità e l’avversione mai sopita dei francesi per l’Italia facesse cadere il regime di Gheddafi, che era apparentemente confessionale ma nella sostanza un potere militare in grado di imbavagliare l’islamismo in nome di un ideale nazionale, si sono accaniti contro Assad presentandolo come un tiranno sanguinario da abbattere per il bene dell’umanità, come se i suoi oppositori fossero masse popolari oppresse o inermi intellettuali nutriti di spiriti liberali e come se gli altri paesi arabi fossero un modello di democrazia. Ora, forse, quel mostro può essere ricacciato nella tana se i complici di quelli che lo avevano liberato vengono messi in condizioni di non nuocere. Io sono persuaso della necessità di liberarci in modo definitivo della politica così come è stata finora intesa. I partiti, non solo il Pd, sono il laboratorio da cui escono individui mediocri istruiti nell’arte di ingannare il popolo e di fare l’interesse proprio, della casta di cui entrano a far parte e, se va bene, del partito. Quando sono leali, infatti, lo sono nei confronti del partito: che lo debbano essere nei confronti del popolo o della Patria non li sfiora neppure lontanamente. L’invasione dall’Africa ne è una chiara dimostrazione. Mentre le persone comuni, qualunque sia il loro grado di istruzione e la loro posizione nella società, sono preoccupate, arrabbiate, sgomente, impaurite, gli stessi esponenti dell’opposizione che mostrano di farsi interpreti di questi sentimenti lo fanno senza convinzione, perché è il loro ruolo, con lo stesso falso pathos che mettono quando difendono i risparmiatori truffati, che tanto non sono soldi loro, sembrano cattivi attori che recitano una parte  nella quale non riescono a immedesimarsi; quanto agli altri, gli uomini e le donne del Pd e dei suoi alleati, non debbono nemmeno sforzarsi di mentire: mostrano con franca spudoratezza la loro indifferenza, non esiste il problema, l’Italia fa il suo dovere, va bene così, se c’è un problema è la presenza di chi sobilla gli italiani, di chi diffonde le notizie, di chi crea allarmismo. Ora dichiarano tranquillamente che migliaia di italiani hanno trovato un’occupazione grazie all’accoglienza, diventata l’azienda più sicura e redditizia del nostro Paese. Insomma è ormai evidente che i politici sono nella migliore ipotesi un fardello inutile e nella peggiore nemici del popolo italiano a cominciare dai loro stessi elettori.


La presenza di una classe politica ha anche questa responsabilità: deresponsabilizza le masse, in forza del principio di autorità che è connaturato in ogni essere umano. Il bambino di fronte a un pericolo non si mobilita ma aspetta l’intervento dell’adulto. Allo stesso modo la grande massa delle persone avverte sì il pericolo ma è interiormente rassicurata dalla presenza di un governo, si illude, come il bambino che sa che i genitori sono i suoi difensori, che ci sia qualcuno che prende a cuore il problema e si impegna per risolverlo. Invece lassù c’è solo una banda impegnata a mantenersi incollata alla poltrona, a gettare acqua sul fuoco, a minimizzare, distogliere, mentire. Il primo passo è smascherare questa banda, liquidare la politica. Il popolo che si è fatto sentire col referendum deve riprendersi la sovranità che gli è stata usurpata nel momento in cui si accorge di non potersi affidare ad una autorità che non esiste; il popolo italiano è come un esercito mandato al macello da generali collusi col nemico.

Molti pensano, e qualcuno lo dice e lo scrive convinto che si tratti di un’ovvietà, che il popolo è solo una massa amorfa che non può avere voce, al massimo ha dei bisogni. Sono le élites, secondo loro, che fanno la storia. Lo scriveva recentemente su un giornalone un autorevole esponente dell’intellighenzia radical-scic. Si tratta di una solenne sciocchezza. Se proprio si vuol personalizzare la storia si lascino perdere le élites e si guardi piuttosto a uomini eccezionali che sanno navigare nella corrente della volontà e dell’entusiasmo  collettivi senza che siano loro a crearla perché, semmai, come ogni buon velista ne intuiscono l’avvento e ne colgono la direzione prima degli altri.  Le élites come tali non esistono, sono un’invenzione linguistica. Ci sono gli opportunisti, i profittatori di ogni regime, i parassiti dei quali i politici attuali costituiscono un’espressione emblematica ma sono annidati anche nelle direzioni dei giornali, fra i grands commis di Stato, nelle università, nei vertici del sistema finanziario. Intrecciati con la politica formano un sistema autoreferenziale che si illude di avere un ruolo dinamico nel processo storico mentre ne è un sottoprodotto, un’incrostazione o il risultato di un processo degenerativo. La Storia si rimette in movimento quando il popolo riprende l’iniziativa e la sua autoconsapevolezza  si concretizza nell’azione di un leader, che è non l’uomo mandato dalla provvidenza ma il frutto di quella autoconsapevolezza. Non so se sarà Grillo, Salvini, Di Battista o qualcuno che ancora non conosciamo, ma il momento è ora e il catalizzatore è la rabbia di vedere minacciati il proprio futuro, la propria sicurezza, il proprio stile di vita, la propria identità, le proprie risorse. Vogliono ricacciarci indietro, nell’oscurità e nella servitù da cui ci siamo affrancati; vediamo di cacciare fuori loro.

 Pier Franco Lisorini

Pier Franco Lisorini è un docente di filosofia in pensione

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