FILOSOFIA SALVAVITA II

Prima parte

Il terzo capitolo della prima parte dell’ ultimo libro di Giorgio Girard è intitolato “Eterno e tempo tra metafisica e nichilismo” ed è un capitolo fondamentale per la comprensione  del suo pensiero. Nei primi due capoversi del capitolo l’Autore  definisce la differenza tra i due concetti: “All’analisi del tempo è essenziale una direzione la quale implica movimento, quindi divenire e in definitiva organicità discorsiva e quindi chiarezza del Due”. Qui il tempo non è solo quello oggettivo della fisica e della storia personale e collettiva (quello del calendario), misurabile e calcolabile in anni, mesi, giorni, ore e minuti primi e secondi, …ma anche quello soggettivo. Il riferimento implicito è al tempo interiorizzato di Agostino e di Bergson, per i quali il tempo non è un oggetto esterno, una cosa tra le cose che occupa uno spazio misurabile, cioè il tempo spazializzato degli orologi; ma  è il tempo dell’esistere nel mondo, cioè quello dell’esser-ci dell’essere (Heidegger): il tempo della decisione, del progettare, di che cosa vogliamo fare di questa nostra unica vita tra l’essere e il nulla. “All’eterno tutto ciò non è necessario, anzi l’eterno si qualifica proprio dal suo non esserlo, caratterizzato da un essere che non diviene, consistendo emblematicamente nel suo Uno”. L’ essere che non diviene, nella tradizione filosofica occidentale è quello di Parmenide, sempre identico a se stesso; neanche nel motore immobile di Aristotele, causa prima, atto puro dal quale dipende il passaggio degli enti dalla potenza all’atto, v’è traccia di movimento. Ma è soprattutto a Plotino che pensa Girard quando nomina l’Uno: “E’ un Uno-Tutto, onnicomprensivo, come in Plotino, tale da comprendere concorsi plurimi, unificanti come in un compendiarsi di ogni parte. Questo è quanto, in definitiva, intendiamo per et et , però solo come “tensione verso”, quindi che non arriva a conseguire  un “finale”, che resta irrisolto: ancora come una teologia che è “negativa”  in quanto l’Uno-Tutto resta imperscrutabili anche se, appunto, c’è stata una tensione mistica in atto”. Quindi l’uomo, ma anche la donna (e lo preciso pour cause ) che non si appaga delle apparenze ma intende, o meglio, tende ad andare oltre le cose che percepisce per mezzo dei  propri sensi, o, detto altrimenti, dal molteplice all’Uno da cui tutto proviene, deve intraprendere un viaggio di ritorno  all’origine, fino a raggiungere l’ “ecstasi”, cioè, letteralmente,  l’uscita da se stesso. Secondo il pensiero di Plotino, così come l’anima umana è discesa, o caduta,  verso la materia aspira a risalire verso l’ Uno-Tutto come alla vera patria da cui proviene. Ma ascoltiamo l’ Autore: “Eterno e tempo appaiono illusioni l’un l’altro. Un nome dell’eterno il tempo è sogno, come in un primo romanticismo alla Holderlin. Sogno  e illusione come nel buddismo (Schopenhauer avrebbe sottoscritto. Parentesi mia). Tuttavia, per cogliere come sogno questa bella realtà che appare così solida davanti a noi, ci occorre un passo in più, momenti speciali di trasalimenti e solitudine, ‘come in un coronavirus!’ “. Ora, per capire questo sorprendente e esempio di “momento speciale” rappresentato dalla pandemia tuttora in corso occorre rifarsi alla lettura sociopsicologica  che ne dà l’Autore. Nel secondo capitolo della terza parte del libro, intitolato “Evento coronavirus: crescita interrogata e storicismo terapeutico” leggiamo: “Il coronavirus, fermando il mondo, ha posto la domanda. Forse finalmente  quella sull’ ‘essenza della crescita’.

Plotino

Il mondo aveva forse trovato nel pensiero calcolante qualche barlume di ragionevolezza al ‘dover crescere’ vista una almeno finora demografia galoppante. Forse aveva constatato che una certa ‘crescita di benessere o diminuzione di malessere’   degli ultimi decenni giustificasse il mantenimento di quell’asse lineare del ‘sempre più su’ che aleggia nel discorso economico. Ma non è questo il punto. Oltre la comune consapevolezza rivolta alle cifre la ‘crescita’ costituiva un impensato nel senso di un’ovvietà messa in discussione però  da quell’ assolutamente insolita pausa sospensiva delle attività correnti che consuetudinariamente distraevano da un pensare che non fosse di superficie. Due mesi della primavera 2020 due miliardi di persone chiuse in casa a congetturare su quanto stava accadendo e in gran parte distolta appunto dalle fonti della distrazione dal pensare…” Obbligandoci tutti a riflettere sui limiti della tecnica e del pensiero calcolante e sulla precarietà e fragilità della nostra vita e delle nostre consolidate certezze spazzate via in un attimo da questa pandemia (e ora anche dalla guerra sull’uscio di casa). Ma torniamo alle riflessioni di Girard sul tempo e l’eterno: “Eppure, secondo il tempo, l’eterno è incomprensibile , appunto come in una teologia negativa, esprime distanza incolmabile tra ciò che intendiamo normalmente per vita e ciò che ‘presentiamo’, quasi annusando, normalmente per morte. Ciò perché la ‘vivezza’ che il tempo implica si colloca, rispetto alla stabilità dell’essere, in un totalmente altrove”. Qui c’è un evidente riferimento alla differenza ontologica di cui parla Heidegger, cioè all’irriducibilità dell’ Essere a qualsiasi ente, quand’anche perfettissimo e supremo. In altri termini, l’Essere non è l’ente; in questa proposizione è fondamentale la funzione della copula ‘è’, che,  nel momento stesso in cui distingue l’Essere dall’ente, ne indica anche la stretta connessione; dunque la  differenza ontologica non significa separazione dell’ente dall’Essere, nel senso che l’ente non può sussistere senza l’Essere né l’Essere senza l’ente. Sennonché nell’ attuale pensiero postmetafisico  -ma anche in quello del positivismo, della filosofia analitica e della scienza (figurarsi nel cosiddetto pensiero artificiale e delle macchine intelligenti!) –  l’Essere in quanto Essere, indeterminato e indeterminabile, viene dimenticato e sfuma, per così dire, nel ni-ente, aprendo così la via al nichilismo. Un altro riferimento fondamentale nel pensiero di Girard, come abbiamo già osservato parlando di Plotino e dell’ecstasi, è quello alla “teologia negativa”; cioè a quella teologia, detta anche apofatica (dal greco ‘apophatikòs’, derivante da ‘apòphasis’, che significa negazione). Che  non mira alla conoscenza di Dio direttamente, ma in modo indiretto, cioè dicendo ciò che Dio non è.

Nicola  Cusano

E’ opposta a quella catafatica (dal greco ‘kataphatikòs’, che significa affermativo, da ‘kataphemì’, cioè ‘affermo’), o, appunto,  affermativa, che attribuisce a Dio in quanto causa prima di tutto il creato, le qualità positive che riscontriamo nelle sue creature. Si comprende, perciò, la predilezione di Girard per autori come lo Pseudo-Dionigi Areopagita, che per primo distinse la teologia apofatica  (la via negationis) da quella catafatica e poi anche  Scoto Eriugena, Meister Eckhart e, soprattutto, l’umanista, teologo, matematico e scienziato, nonché cardinale e vescovo di Bressanone  Nicola Cusano (nato a Cues, nella diocesi di Treviri, nel 1401 e morto a Todi, nel 1464). Per Cusano il vero sapiente non è chi crede di possedere la verità ma chi, come Socrate, è consapevoli della propria ignoranza (“So di non sapere”). Inoltre, per avere contezza dei propri limiti, è necessario avere un qualche sentore di ciò che non sappiamo, perché, come spiega appunto Socrate nel Simposio platonico, l’uomo (e la donna) desidera, anzi,  tende con tutta l’anima verso ciò che non ha; ragione per cui il filosofo, l’amante di Sophia, come l’Eros figlio di Poros e di Penia (cioè di abbondanza e povertà) va per le strade del mondo perpetuamente cercando di appagare ii proprio desiderio di sapere. Questo è il principio della “dotta ignoranza”. L’ignorante puro e totale, invece, non sa nemmeno di essere ignorante. Tuttavia la conoscenza di Dio non è raggiungibile dalla ragione, Dio è al di là e al di sopra della logica umana, in Lui soggetto e oggetto coincidono e lo stesso principio aristotelico  di non-contraddizione viene meno, in quanto in Lui non può esserci nessuna opposizione interna dal momento che tutte le opposizioni in Lui si ricompongono in una superiore unità.

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E’ la coincidentia oppositorum  impossibile per il  limitato intelletto umano ma non per l’infinita mente di Dio. D’altra parte, se potessimo conoscere immediatamente l’Uno-Tutto da cui proviene il mondo e, con lui, il tempo e quindi  la  storia, non saremmo più nemmeno esseri umani ma angeli disincarnati e asessuati. Nel primo capitolo della seconda parte del libro, che ha come titolo “Violenza di genere: ma la conoscenza è una caduta e il conoscere nasce dal dividere”, l’Autore ci invita a discutere “come e qualmente il ‘si riconobbero nudi’ del Genesi possa costituire avvio per una constatazione della strutturale imperfezione del mondo che abitiamo e che quindi lo stesso nostro conoscere – diciamo così tutta la nostra ‘logica’ – nasca da una ‘caduta’. La cacciata dal paradiso terrestre acquista tutto il suo valore epistemologico dalla conseguente entrata nel tempo”.  Questa narrazione biblica  della  cacciata o caduta di Adamo ed Eva  dallo stato di grazia e di intimità con Dio di cui godevano nel paradiso terrestre alla dura condizione di essere umani costretti a lavorare per vivere, segnati per sempre dalla colpa di aver voluto conoscere il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male contro il divieto divino – e per questo, da immortali che erano, sono ora condannati a morire – viene interpretato da Girard come “l’uscita dall’Uno dell’Eterno e dell’entrata nel Due del Tempo, il quale è per l’appunto contrassegnato da un ‘prima’ e da un ‘dopo’, il che implica  un pre-occuparsi in vista di quanto ci attende, qui in questa nostra vita”. Già, che cosa ci attende, oltre alla morte quale “salario del peccato” (Romani 6: 23), in questa vita? Ci attendono la divisione e la differenza: “Nel ‘si riconobbero nudi’ con cui abbiamo esordito, nel passaggio dall’Adamo androgino dell’Uno dell’Eden  al Due dell’uomo-donna si sottolinea quello dal puro presente dell’ eterno al prima-dopo del tempo. Stiamo in sostanza dicendo che la differenza uomo-donna costituisce quel ‘due di base del mondo’ che è esito della ‘caduta dell’essere umano nel tempo’. Gli altri dualismi fondamentali – buono-cattivo, bello-brutto, vero-falso – ne saranno conseguenze che filosofia e metafisica  svilupperanno nel loro iter storico come altrettante basi di conoscenza”.

Ecco spiegato perché il conoscere nasce dal dividere: nell’Uno-Tutto soggetto e oggetto sono una cosa sola, quindi l’Uno è identico a se stesso, invece nel Due, esito della “caduta” nel tempo, oltre al prima e al dopo, al soggetto si oppone l’oggetto, o, altrimenti detto, all’io il non-io (Fichte), al sì il no, al bene il male, al paradiso l’inferno e così via; inoltre (particolare secondario) dal passaggio dall’Uno al Due  nasce la libertà umana (ma talora disumana), cioè la possibilità di scegliere un certo comportamento piuttosto che un altro, un determinato fine invece che un altro, il vizio o la virtù, la pace o la guerra, la giustizia o l’ingiustizia, il quieto vivere o il sacrificio (lasciamo pure ai santi il martirio), l’essere o il nulla. “Ho più volte richiamato – ricorda Girard – una frase che ritengo paradigmatica: ‘Hegel dunque afferma  (nella Filosofia della Religione) che la colpa è la conoscenza, e che per essa l’uomo si è giocato la sua felicità naturale: ‘La Caduta è la Conoscenza come superamento (Aufhebung) dell’unità naturale, caduta che non è casuale, ma è la storia eterna dello Spirito. Poiché lo stato d’innocenza, questo stato paradisiaco, è quello delle bestie. Il paradiso è un parco  in cui possono restare le bestie, ma non gli uomini…la Caduta è perciò l’eterno mito dell’uomo, ciò per cui egli diventa veramente uomo’ “. Come dire che una vita senza problemi di sorta, senza dolore ma anche senza gioia, senza fatica ma anche senza il riconoscimento dovuto a chi si è speso per migliorare la vita degli altri,  senza responsabilità ma anche  senza valori da affermare e da difendere, non è degna di essere vissuta.

Angela Merkel

“Diventa veramente ‘uomo’ ed entra nella peripezia duale della vita così come tutti la conosciamo, da me altrove chiamata ludibrio del vivere che, rispetto alla perfezione dell’ Uno dell’ eterno connota l’imperfezione  immanente al vivere”. Imperfezione che, tra l’altro, impedisce il raggiungimento di una comprensione piena e reciproca fra maschi e femmine della specie Homo Sapiens Sapiens, tragicamente messa in evidenza  dai casi di femminicidio riportati dalla cronaca quotidiana: “Lo stesso termine ‘femminicidio’ relativamente recente, marca il tempo come causa efficiente di quanto accade. E’ dunque venuto il tempo in cui la ‘differenza fondamentale’ tra uomo e donna che abbiamo posto a tema del capitolo , è registrata nel linguaggio: ‘maschio-femmini-cidio anziché omicidio riferito all’essere umano. Anche se siamo forse ancora ben lontani sa una concezione di un Dio, se mai, al femminile, in base a cui si sarebbe tentati di pensare che una decina di ‘Angela Merkel’ sparse qua e là per il mondo arriverebbero al conseguimento di quell’impossibile  che consisterebbe nell’evitare le guerre”. Le quali si basano sulla logica escludente del noi contro loro, dell’amico-nemico e dell’amico dei mio nemico è mio nemico e del nemico del mio nemico è mio amico; insomma, come stiamo assistendo in questo giorni, la guerra è il trionfo dello schema aut aut e la sconfitta di quello et et.  Giorgio Girard temeva che questo accadesse e ora che ci siamo in  mezzo comprendiamo ancora meglio quanto lungimirante fosse la sua “psicologia debole”, purtroppo rimasta inascoltata, se non nella piccola ma fedele cerchia dei suoi amici.


Fulvio Sguerso

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