EZRA POUND

EZRA POUND FUORI
DAL FLEGETONTE

EZRA POUND FUORI DAL FLEGETONTE

La vita autentica di un poeta è nella sua poesia. Sì, certo; ma la sua poesia da dove viene se non dalla sua vita? E’ vero che un testo letterario può essere compreso e amato di per sé, anche nel caso in cui  non si sappia nulla della vita del suo autore; ma quando un testo è intessuto, connesso e annodato in modo inestricabile alle esperienze  vissute dal suo autore, risulta impossibile comprenderlo se non si conoscono le vicende biografiche a cui quel  testo continuamente si richiama. 

 
E nondimeno la conoscenza di quelle vicende, pur necessaria, non è sufficiente a comprendere l’opera di un  poeta, e in particolare  di un poeta “totale” e complesso come Ezra Pound. Questo per mettere subito in chiaro che sarebbe scorretto così negare l’importanza che nella sua opera ebbe, dai primi anni Trenta alla fine della seconda guerra mondiale, la sua convinta adesione al fascismo quanto giudicarla o ridurla solo a questo aspetto; tanto più che lo stesso Ezra ebbe tempo e modo di riconoscere, una volta uscito dall’inferno della prigionia pisana e dal purgatorio del St. Elizabeth’s Hospital di Washington, dove era stato internato per una non meglio specificata infermità mentale, i propri  abbagli politici. Ma anche su questi bisogna intendersi bene: “A mio padre – spiega Mary de Rachewiltz (che pochi giorni fa ha querelato Casa Pound per l’uso indebito del nome dell’autore dei Cantos)  in un’intervista al Corriere della Sera – interessava l’etica più che la politica, e di Mussolini diceva che avrebbe voluto educarlo e che era stato distrutto per non aver seguito i dettami di Confucio.” Certo è che per lui la fine della guerra e del  nazifascismo sotto le macerie dell’Italia e dell’Europa ha significato anche la fine di un sogno, quello di una polis ideale finalmente libera dal cancro dell’USURA. Ed è per questo che i Canti Pisani si aprono con la scena tragica di Piazzale Loreto, con “Ben e la Clara a Milano / per i calcagni a Milano / Che i vermi mangiassero il torello morto…”; dove si vede come il nudo e crudo evento  dell’oltraggio al cadavere del Duce da parte della plebe (“the populace”) viene subito trasfigurato in immagini simboliche e mitologiche: il “torello morto” allude al mito di Dioniso, il dio fatto a pezzi dai Titani e poi resuscitato (Digenes, cioè nato due volte) dal padre Zeus; poco prima viene nominato Manes (Mani) il fondatore del manicheismo, torturato e ucciso in carcere da sacerdoti zoroastriani; “ma il due volte crocifisso / dove lo trovate nella storia?” è un evidente riferimento alla passione di Cristo;  e “la Clara”(il cui nome luminoso richiama, tra l’altro, la “claritate” di Guido Cavalcanti), anche lei appesa per i calcagni,  evoca la figura mistica della “Sponsa Cristi in mosaico” come a Ravenna o in Santa Maria in Trastevere; inoltre la nota della claritate allude alla luce divina che rischiara la materia opaca, terrestre, l’altra componente, insieme alla celeste, della natura umana, secondo Mani, ma anche secondo Scoto Eriugena e secondo Confucio (“la via / e l’ulivo che s’imbianca nel vento / lavato nel Kiang e Han”).

 
Ezra Pound

In questi primi versi del Canto LXXIV, il primo dei  Canti Pisani, vediamo quindi  l’affiorare e l’intrecciarsi di alcuni temi ricorrenti nella poetica poundiana e che saranno ripresi – proprio come in una composizione musicale – più avanti: Odisseo, lo stlnovo di Cavalcanti e di Dante, la lirica provenzale, la poesia cinese, i mosaici ravennati, la chiarezza e la precisione  della pittura senese (Duccio) e del Quattrocento veneto con la sua esatta definizione dello spazio e degli oggetti tramite la luce (Zuan Bellin)…e, naturalmente, il tema della città ideale: il verso “Per costruire la città di Dioce che ha terrazze color delle stelle”, allude, oltre che alle “città ideali” del Rinascimento, anche alle città nuove del Duce; si noti l’assonanza di Deioce, il mitico fondatore di Ecbatana, capitale della Media, vinta e  saccheggiata da Ciro il Grande nel 550 a. C., con il Duce, fondatore di città costruite per i coloni contadini dopo la bonifica dell’Agro Pontino.

“L’enorme tragedia del sogno sulle spalle curve del contadino”, con cui si apre il Canto, è anche la tragedia delle civiltà preidustriali e contadine distrutte, come quella provenzale degli albigesi. Ma distrutte da chi e da che cosa? E’ il tema ricorrente sopra  citato dell’USURA a cui è dedicato, in particolare, il famoso Canto XLV: “Con usura nessuno ha una solida casa / di pietra squadrata e liscia / per istoriarne le facciate, / con usura / non c’è chiesa con affreschi di paradiso / harpes et luz /e l’Annunciazione dell’Angelico / con le aureole sbalzate, / con usura / nessuno vede dei Gonzaga eredi e concubine / non si dipinge per tenersi l’arte / in casa ma per vendere e vendere / presto e con profitto, peccato contro natura…”. E contro l’arte; il riferimento è al canto undicesimo dell’Inferno, là dove Virgilio spiega a Dante, seguendo Aristotele,  perché l’usura è violenza contro Dio: “Filosofia – mi disse – a chi la intende, / nota non pur in una sola parte, / come natura lo suo corso prende / da divino intelletto e da sua arte; / e se tu ben la tua Fisica note, / tu troverai, non dopo molte carte, / che l’arte vostra quella, quanto pote, / segue, come il maestro fa il discente; / sì che vostr’arte a Dio quasi è nepote.” L’usura quindi è peccato contro natura e contro l’arte, in quanto solo dalla natura (cfr. Gen 3, 19) e dall’arte, intesa come lavoro manuale e intellettuale, come mestiere o professione, è giusto che si tragga di che vivere, e siccome gli usurai non si guadagnano il pane con il sudore della fronte ma con gli interessi del danaro prestato, standosene comodamente seduti dietro i loro banchi e disprezzando l’arte, figlia della natura, offendono chi della natura è padre, cioè Dio.

Quindi: “money to signify work done, inside a system”, per Pound la moneta ha valore solo in quanto simbolo di lavoro effettivamente compiuto: “E’ simbolo di collaborazione. E’ certificato di lavoro compiuto dentro un sistema, e stimato, o consacrato, dallo Stato.”(Carta da visita). Non c’è da stupirsi se il New York Times, commentando la crisi dei mutui nel 2009, citava proprio il verso “Con usura nessuno ha una solida casa”, a significare che le teorie economico-politiche costate tanto care al poeta, in fondo in fondo non erano così sbagliate! Lo sottolinea ancora Mary de Rachewiltz in quell’intervista: “Voleva arrivare al paradiso possibile, alla città eterna…Aveva una visione dantesca ed era molto critico verso Roosevelt, che era sceso in guerra contro l’Italia, e verso i finanzieri di Wall Street (che cosa dice in questi giorni Obama?)…Va considerato che Pound è un poeta, e quando un poeta si arrabbia pronuncia frasi terribili, e lo stesso Dante bestemmiava contro la sua patria…”. Ma, al di là delle giustificazioni e “contestualizzazioni” addotte da Mary de Rachewiltz a difesa del padre, non si può negare che l’idea poundiana circa la necessità di ancorare il valore della moneta al “lavoro compiuto dentro un sistema “and measured and wanted” (e calcolato e richiesto) non sia poi così folle. “Fuori dal Flegetonte / fuori dal Flegetonte, / Ezra / sei tu venuto fuori dal Flegetonte?”. No, il canto di un poeta come Ezra Pound non può essere rinchiuso né in una gabbia, né in  un manicomio,  né in una… casa.

FULVIO SGUERSO

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.