Etica

ETICA DELLA CONVINZIONE
ETICA DELLA RESPONSABILITA’

ETICA DELLA CONVINZIONE
ETICA DELLA RESPONSABILITA’ 

Lo sfondo rimane quello della gravissima crisi globale che stiamo attraversando, aggravata nello specifico del “caso Italiano” da una situazione di fortissimo disagio che attraversa l’intero sistema politico, il rapporto fra questo e la società, l’emergere di una questione morale, ormai addirittura personalizzata a livelli parossistici nella figura del Presidente del Consiglio.

Purtuttavia, per la sinistra italiana, il fatto più importante della settimana che sta per concludersi è stato rappresentato dall’intervista rilasciata dall’ex-segretario del PRC, Fausto Bertinotti, a Loris Campetti del “Manifesto” e pubblicata dallo storico quotidiano di quella che fu l’eresia comunista, lo scorso mercoledì 5 Ottobre.

 

In quell’occasione (come già nell’articolo di fondo apparso sulle colonne della rivista “Alternative per il Socialismo”) l’ex-Presidente della Camera prende le distanze, nella sostanza, dall’operazione “Nuovo Ulivo” che aveva, invece, avuto il via libera nel corso della manifestazione indetta da SeL il 1 Ottobre, a Roma in Piazza Navona.

Non rianalizziamo in questa sede, nel dettaglio, l’intervento di Bertinotti, ma crediamo possa essere riassunto come un forte richiamo a quella che Max Weber definiva “etica della convinzione”, mentre la “piazza” di SeL (con il concorso dell’IDV e di una parte, quella referendaria in materia elettorale del PD) appariva invece muoversi, sempre citando il padre della sociologia moderna, sul terreno dell’“etica della responsabilità”.

Un dilemma fatale per la sinistra, alla vigilia di scelte e scadenze fondamentali per la prospettiva politica di un Paese frustrato, umiliato, ridotto in condizioni davvero precarie da un lungo periodo di governo di una destra populista, che ha interpretato il liberismo in termini di furore ideologico, di privilegi personali, di esaltazione dell’individualismo di una scalcinata borghesia “compradora”, tale da far tornare la situazione all’indietro nel tempo, quando i lavoratori e i cittadini nel loro insieme erano complessivamente deprivati dei diritti fondamentali.

Un dilemma fondamentale però che deve essere affrontato aprendo con chiarezza un forte dibattito politico, che non deve ovviamente oscurare la necessità di un’iniziativa unitaria all’interno della crisi: ma nascondere i problemi che ci sono sarebbe deleterio proprio per la capacità della sinistra stessa, insufficiente in tutti i suoi soggetti organizzati presenti attualmente sulla scena politica e necessitante di una nuova forte presenza posta sul piano dell’identità, del programma, dell’organizzazione.

Sarebbe sbagliato affermare: zitti, c’è la crisi, disturbiamo il manovratore. Mai come adesso c’è bisogno di interventi dal basso, di iniziative di riflessione, di dibattito.

Del resto, spero sia consentito un paragone storico, nel 1944, in piena guerra mondiale, con l’Italia occupata per 2/3 dai nazisti Togliatti lanciò una grande proposta politica, quella del “partito nuovo” che animò, in quel tempo di grandi pericoli, forti passioni, orizzonti di speranze un dibattito inedito che, alla fine, rafforzò la lotta vittoriosa e consentì di costruire un nuovo scenario politico per il dopoguerra.

Se ci si fosse limitati alla prudenza dell’esistente, chissà quale sarebbe stato l’esito conclusivo (ma la storia controfattuale non è il nostro mestiere).

L’analisi della crisi, inoltre, presenta una vera e propria novità: la sicura sconfitta delle posizioni di “mezzo” del cosiddetto “liberalismo temperato”.

Ricercando le radici della drammatica situazione che stiamo vivendo ci accorgiamo che gli elementi di contrapposizione che possiamo portare avanti appartengono, tutti, al bagaglio più o meno classico, della sinistra occidentale: rappresentanza politica in luogo di governabilità; welfare state universalistico; intervento pubblico in economia; programmazione economica; welfare state universalistico; rifiuto delle privatizzazioni; ruolo del sistema autonomistico in una dimensione ben diversa da un federalismo nato da idee separatiste nutrite da sentimenti di “esclusione”; compiti dello Stato in direzione della creazione di un’Europa politica; deglobalizzazione “mirata”; nuovi modelli di sviluppo compatibile con la realtà della conservazione del Pianeta.

 Accanto a questi punti, che possono ben essere considerati di riferimento complessivo, emergono alcune novità di fondo, sulle quali abbiamo già avuto occasione di soffermarci e che riportiamo di nuovo in questa sede, tentando un minimo di aggiornamento nella riflessione.

1) Emerge una radicalità “forte” nelle giovani generazioni: tra le ragazze e i ragazzi che si trovano tra i 18 e i 25 anni. Si tratta di un dato abbastanza comune all’interno delle situazioni che abbiamo elencato poco sopra. Qualcuno spiega il fenomeno con il fallimento delle guerre anti-terrorismo in Iraq e Afghanistan che hanno fornito l’occasione per uno sviluppo di confronto culturale non legato al “pensiero unico” come era avvenuto per le generazioni precedenti. Non sappiamo se questa può essere considerata la chiave di lettura e, in ogni caso, le cose stanno sicuramente in maniera più complessa. Fatto sta che il dato appare emergente (anche leggendo in profondità, per quel che riguarda l’Italia, i dati sul referendum del 12 Giugno) e prefigurare una richiesta di vero e proprio “salto generazionale”. Lo stesso fenomeno emerge a livello mondiale, anche per effetto di una reazione immediata e spontanea ai soffocanti meccanismi della crisi.

2) Proprio l’acuirsi della crisi e il presentarsi dei suoi aspetti più drammatici al riguardo delle condizioni materiali di vita della gente, richiede alla sinistra di fissare un obiettivo politico prioritario a dimensione e a livello della gravità dello stato di cose in atto. Insistiamo nel definire questo obiettivo individuandolo nella battaglia per una “Europa politica“. Sarebbe lungo e probabilmente inutile, in questo frangente, ripercorrere le tappe del fallimento di questa ipotesi, che ha ceduto il campo ad un’Europa liberista dei banchieri. Pur tuttavia è necessario ripercorrere questa storia e riprendere questo obiettivo, nell’ambito di un soggetto sovranazionale. Un progetto di nuova soggettività della sinistra, come è necessario elaborare come vedremo meglio in seguito, non avrà forza e pertinenza se non a livello europeo e non è contraddittorio, in questo momento lottare a livello nazionale e a livello europeo;

3) Deve essere costruito, a tutti i livelli e tra tutte le forze che aspirano al cambiamento in una precisa direzione di trasformazione sociale e non di semplice alternanza al potere, un programma comune. Sono, però, mutate le condizioni per costruire questo programma e sono sopravvenute anche nuove contraddizioni, anche oltre a quelle post-materialiste individuate fin dagli anni’90 in allargamento dello schema classico dei quattro “cleavages” di Rokkan e Lipset.

Prima di tutto, però, è necessario approfondire un mutamento fondamentale nell’idea dell’agire politico: quello che prevedeva l’elaborazione di un programma da parte dei soggetti politici, la sua proposizione all’esterno e la sua applicazione da parte delle istituzioni (dalla “politics alla policy”, si direbbe applicando la terminologia della scienza politica). Adesso (e lo dimostrano, assieme, la qualità delle rivendicazioni politiche dei giovani spagnoli e di quelli tunisini ed egiziani, ma anche l’esito delle elezioni amministrative e del referendum in Italia) si tende a rovesciare questo concetto (come è stato, del resto, in buona parte della tradizione anglosassone), passando dalla “policy alla politics”, affrontando cioè i problemi emergenti ciascuno per sé, ispirandosi ad un sistema di valori definito, e in quel modo, ponendo il tema della risoluzione delle questioni in quanto tali, definendo un’ipotesi di progetto generale di trasformazione.

Oggi le questioni dei privilegi dell’oligarchia, la crescente venalità delle classi dirigenti, i regali fatti alle banche, il libero scambio o l’erosione dei salari col pretesto della concorrenza internazionale, non debbono essere più affrontati in termini di “antipolitica” o di “populismo”, ma con l’idea di costruire, attraverso la loro risoluzione, un progetto di cambiamento che prefigura un diverso ruolo delle relazioni internazionali, dello Stato, del ruolo dello Stato stesso in economia, di un modello di nuovo compromesso sociale. Attorno ai punti di riferimento che ci siamo permessi di elencare in premessa, vanno costruite delle “nuove politiche” in diretto concorso con le istanze di fondo espressa dai movimenti della società, traducendoli appunto in scelte di “policy” concrete, praticabili, condivisibili;

4) La concretezza di un nuovo modo di “agire la politica” deve, nello specifico della situazione italiana, collegare tutti questi elementi e presentare una proposta politica nuova. La sinistra è divisa e ciaschedun progetto appare insufficiente. Neppure, del resto, servirà mescolare le carte attorno all’idea di improvvisate leadership. Occorre un processo di fondo che eviti le scorciatoie presidenzialistiche-personalistiche la cui tentazione, a sinistra, ancora molto forte; ponga il tema della legge elettorale proporzionale come collante forte ed importante proprio perché prefigurante un ritorno alla Costituzione, respingendo l’idea di “Costituzione Materiale”, che già avrebbe superato quella formalmente in vigore, in particolare sotto l’aspetto del funzionamento “parlamentare” delle istituzioni.

Torniamo allora a ripetere ostinatamente una nostra proposta, che ci pare possa star dentro anche alle preoccupazioni e alle istanze presenti nella citata intervista a Bertinotti, nel tentativo di mettere in collegamento “etica della responsabilità” ed “etica della convinzione”, facendo in modo che la sinistra torni ad acquisire, dopo molti anni, una propria autonomia progettuale e organizzativa: a quel punto allora, stabiliti oggettivamente i riferimenti sociali di fondo, potrà essere possibile pensare, senza pregiudizi alcuni, al sistema di alleanze politiche necessarie per sconfiggere tutte le destre (quella populistica, dai toni di “fine impero” attualmente al governo; e quella “tecnocratica” confindustriale che si sta affacciando all’orizzonte).

Se, dopo aver cercato di scavare nelle novità emergenti, non ci fosse il rischio di cadere in un linguaggio abusato, una proposta possibile potrebbe essere quella di una “Costituente per l’alternativa” per un “programma comune”.

Di meglio, comunque, come indicazione di sintesi non siamo riusciti a trovare e saremmo grati a chi volesse interloquire sul tema, fornendo spunti sicuramente più avanzati e praticabili.

Savona, 7 ottobre 2011       Franco Astengo

 

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