Educazione civica o manipolazione delle coscienze?

Educazione civica o
manipolazione delle coscienze?

Quando si scambia la formazione con l’indottrinamento

Educazione civica o manipolazione delle coscienze?

Quando si scambia la formazione con l’indottrinamento

 Lo statuto disciplinare dell’educazione civica, introdotta nel 1958 come complemento della storia, morta dopo qualche anno di  agonia e inutilmente tolta dal sarcofago in diverse occasioni,  è sempre rimasto nel limbo, sospeso fra retorica interessata di educazione alla democrazia e nozioni decontestualizzate di diritto o del codice della strada.  Il legislatore, nel momento in cui si appresta a reintrodurla, dovrebbe chiarirsi le idee riguardo le motivazioni, i contenuti, gli obbiettivi, tanto più che la disciplina, a differenza del passato, avrà una propria autonomia, una sua collocazione rigida nel quadro orario e sarà oggetto di valutazione; insomma, una materia come le altre. 


Vengo direttamente al punto. Questa disciplina avrà una connotazione educativa o informativa? In altri termini: deve istruire o indottrinare? Non mi si dica che sono la stessa cosa. Al di là della comune finalità culturale ogni disciplina ha un fine in se stessa: si studia il latino per imparare il latino, si studia la fisica per imparare la fisica e così via. Non si studiano il latino o la fisica per diventare persone migliori, per diventare più buoni. Semplicemente si diventa più istruiti per quello che riguarda il latino, la fisica e le altre discipline che si studiano a scuola. Un tempo si diceva che studiandole si “apriva la mente”, si diventava più intelligenti. Era e rimane una sciocchezza: le persone più istruite, più scolarizzate, possono aver fatto il liceo a Eton e essersi laureate a Yale ma se il loro patrimonio genetico è scadente lo studio servirà solo a rendere più evidente la loro sprovvedutezza: hanno avuto per le mani degli strumenti senza essere in grado di adoperarli. D’altro canto che questo possa accadere è inevitabile: riservare l’istruzione a quelli che ne trarranno un vero giovamento per sé e per la comunità non sarebbe possibile. 

Che fra gli strumenti che il sistema dell’istruzione deve fornire ci siano anche quelli necessari per muoversi consapevolmente all’interno della macchina amministrativa o della politica è indubitabile. Un cittadino che non sa che l’Italia è una repubblica parlamentare, che il governo si regge sulla fiducia del parlamento, che il capo dello stato è cosa diversa dal capo del governo, che le forze armate dipendono dal governo mentre la magistratura  è indipendente, non è in grado di esercitare  i propri diritti, non ne conosce la portata e i limiti.  Né è in grado di cogliere le aporie del sistema, quelle che consentono al potere politico di forzare la mano ai giudici e ai giudici di invadere il campo della politica o quelle, visto che si parla di scuola, che impongono al docente contenuti – i programmi – e metodi di insegnamento – frequenza e modalità di verifiche e valutazioni, collidendo col principio pedagogico fondamentale, socratico prima che costituzionale, della libertà di insegnamento.


Aggiungo che per la formazione del cittadino, come piace dire ai compagni, non è solo importante la conoscenza della costituzione da acquisire nell’ambito dell’educazione civica ma è forse anche più importante, per i suoi risvolti pratici, la conoscenza dei meccanismi che regolano la finanza, l’economia, i rapporti di lavoro; non ci si può accontentare di interventi estemporanei come la giornata del risparmio. Cerchiamo di non dare ragione a quanti sostengono che le cose che contano si imparano fuori della scuola.

Viviamo in una comunità organizzata e chi ne fa parte  deve essere consapevole delle norme che la governano, radicate nella storia, nella cultura, nella tradizione e nei valori etici di cui è depositaria. Con questa consapevolezza si è  cittadini, al di là della attestazione anagrafica e nonostante la follia di quanti per servilismo o per interesse sostengono una cittadinanza universale in forza della quale chi sbarca in Italia contravvenendo a tutte le leggi che regolano l’ingresso nel Paese, passaporto, visto d’ingresso, permesso di soggiorno, non è un soggetto perseguibile ma ha più diritti di uno straniero in perfetta regola: è un cittadino con gli stessi diritti di qualunque cittadino italiano senza però i doveri e gli oneri che pesano sulle spalle del cittadino italiano. 

Se la scuola rende consapevoli le nuove generazioni del sentimento di appartenenza e della identità nazionale, del “sacro dovere della difesa della Patria” (art.52 della Costituzione) e, di conseguenza, dell’impegno alla difesa dei confini e del patrimonio culturale, artistico, paesaggistico e alla tutela della lingua; se la scuola trasmette  l’orgoglio di essere italiani e si introduce una specifica disciplina finalizzata a questo scopo non c’è che da esserne lieti. 

 Ma  è una consapevolezza che va acquisita attraverso la conoscenza, tramite nozioni, non esortazioni. Queste lasciamole ai regimi totalitari, lasciamole alle scuole clericali che a modo loro sventolano il libretto rosso e ripetono in coro ciò che è giusto dire, fare, pensare.  Quindi che l’educazione civica sia una disciplina informativa, come tutte le altre, non educativa, con la connotazione che il termine assume nell’uso corrente.

Rousseau sicuramente peccava di ottimismo quando sosteneva che l’uomo è naturalmente buono. L’uomo è probabilmente un legno storto ma nessuno può arrogarsi il diritto di addrizzarlo. L’educazione eterodiretta è solo indottrinamento, furto della coscienza, plagio. L’educazione è crescita interiore, della quale la società e la scuola possono e forse debbono fornire le condizioni ma senza interventi diretti. Gli atteggiamenti, il sistema generale di attribuzione di senso, la scala di valori segnano le tappe di quella crescita e costituiscono un itinerario libero e squisitamente personale.

Già ho registrato con una certa preoccupazione il rinnovato interesse della sinistra per l’insegnamento della storia, contestuale agli allarmi per il “rigurgito” neofascista. La vicenda dell’incolpevole Farné, dimissionato per aver esercitato il suo servizio di cronista da Predappio pestando i piedi all’Anpi che impone la scotomizzazione non solo di ogni tentativo di  revisione del Verbo Resistenziale ma anche di qualsiasi accenno al ventennio e a Mussolini che non sia di scherno, riprovazione, disgusto, è lì a metterci in guardia. Insegnare la storia, magari col supporto dell’educazione civica, per scongiurare il rischio che i ragazzi si lascino sedurre dalle sirene della nostalgia, insegnare la storia per introiettare i valori dell’antifascismo e per riconoscere il Nemico quando si ripresenta nella società e nell’agone politico può risultare normale  ai fautori dell’integralismo e dello Stato etico  ma è incompatibile  con i principi di uno Stato liberale. 


Sentiamo le isteriche vestali del sacro fuoco della Resistenza: “Il servizio del Tgr Emilia – Romagna sulla commemorazione di Benito Mussolini a Predappio è vergognoso e gravemente lesivo del dettato antifascista della Costituzione repubblicana. Sono stati ripresi atti e parole di difesa pubblica del fascismo, di riverenza e di fedeltà ad un criminale, saluti romani: 2 lunghi minuti di oltraggio all’Italia. Tutto questo non può essere tollerato. E non bastano l’indignazione, lo sconcerto, le dissociazioni, occorrono gesti concreti. I vertici RAI assumano provvedimenti disciplinari e dichiarino pubblicamente che quel servizio è stato profondamente offensivo del sentimento antifascista delle cittadine e dei cittadini, della lotta partigiana – fondativa del nostro sistema democratico – delle tantissime vittime del regime sanguinario fascista”.  Vestali che godono di buone entrature nella sede regionale della Rai, dalla quale esce un altro sdegnato comunicato “Il CdR della redazione Tgr Rai Emilia-Romagna si dissocia dai contenuti dai servizi sulle celebrazioni di Predappio. La Rai servizio pubblico  trova il suo fondamento nel Contratto di servizio, che è strettamente ancorato alla Costituzione italiana, antifascista e antirazzista. Pertanto non è ammissibile qualunque servizio che esca da questa cornice o – peggio – una assurda presunta par condicio tra neofascismo e antifascismo”.

 Che si liquidi un periodo cruciale della nostra storia come un’orrenda parentesi demoniaca e, alla faccia delle centinaia di migliaia di pagine scritte su di lui in tutte le lingue, si riduca  il Duce a un criminale e delinquente comune, si può tollerare all’interno di un circolo dove si alza troppo spesso il gomito. Ma i suoi frequentatori si tengano alla larga dalle aule scolastiche.  Nel loro hortus conclusus le Vestali si esercitino pure a “Capire, interagire, saper partecipare a queste nuove sfide (scovare i nuovi fascismi) sono i compiti che spettano ai Resistenti, rinnovando quel patto che va oltre le frontiere – politiche e linguistiche – così come fu nella lotta che portò alla caduta dei regimi totalitari nel 1945”. Patria Indipendente, 28 febbraio 2009. Questo dieci anni fa. Figuriamoci ora come sono in agitazione, fra Salvini, Orbán e la Vox spagnola. Ma fin che si agitano nel loro recinto, facciano pure. Ma non tocchino la scuola, la Storia e il suo insegnamento.


Il termine greco istorìa ha tre significati fondamentali, che un docente dovrebbe imprimersi bene nella mente: scienza, ricerca, esposizione e il primo domina sugli altri due. Curiosità, voglia di sapere e piacere della scoperta sono il pungolo dello storico, che fruga negli archivi, raccoglie testimonianze, compone e scompone le tessere del passato per farne un racconto coerente e sensato. E il risultato del suo lavoro non è mai definitivo ma rimane sempre suscettibile di ritocchi, di aggiunte e di stravolgimenti. Il revisionismo che i nostri vertici istituzionali aborriscono è il sale della ricerca.

Lo storico non è mai imparziale, non lo è nemmeno il semplice cronista, e il suo racconto declina i fatti in una direzione che corrisponde ai suoi atteggiamenti e ai suoi schemi mentali. Ma a guidarlo e correggerlo  è il bisogno di sapere, di fare luce, non la volontà di coprire o di confermare. Il grande Tacito non è imparziale ma fa parlare i fatti, non si sostituisce ai fatti o tantomeno li altera.  Se c’è pathos questo è interno al racconto non è sovrapposto al racconto. Per i compagni invece la storia è un racconto edificante, è un exemplum come nell’agiografia monastica, una composizione dei fatti all’interno della cornice dell’ideologia o più modestamente del proprio tornaconto. Da qui l’intolleranza, il fastidio, il linguaggio forcaiolo, l’oscillazione fra il sussiego e lo sdegno, l’indisponibilità al confronto, il ridicolo manicheismo, i contorcimenti verbali.

Qualche anno fa fu Baudo, nella sua veste di conduttore di una trasmissione sulla strage delle fosse ardeatine, rappresaglia tedesca all’agguato di via Rasella nel quale persero la vita 33 soldati altoatesini del Polizeiregiment Bozen (più sei civili italiani dei quali non si parla mai), si permise, molto sommessamente di sollevare qualche velata perplessità su quell’agguato – che violava un tacito accordo che metteva la Città Eterna al riparo da azioni militari – e riproporre cautamente la vexata quaestiodel perché i responsabili non avessero seguito l’esempio di Salvo D’Acquisto. Apriti cielo!


“Abbiamo appreso, con sdegno, quanto è stato detto – a proposito di via Rasella e delle Fosse Ardeatine – nel corso della trasmissione di lunedì 8 luglio su Rai 3, in prima serata, nel programma “Il viaggio”, condotto da Pippo Baudo; ed abbiamo apprezzato il pronto intervento dell’ANPI di Roma, con esatte puntualizzazioni. I tentativi del conduttore Pippo Baudo, pubblicati sulla stampa nazionale, di attenuare e chiarire sono stati, in un certo senso, peggiori del male, perché alla fine si è avallata ancora la tesi della responsabilità dei partigiani per quanto è avvenuto, a Roma, in quel tragico marzo del 1944, insistendo nella deformazione dei fatti e nella formulazione di giudizi oltraggiosi e sommari.”

Seguiva la minaccia: “L’ANPI ritiene indispensabili un preciso chiarimento e una reale precisazione dei fatti nel corso della stessa trasmissione o in qualsiasi altra forma pubblica, per ristabilire la verità. In caso contrario, l’ANPI si riserverà di esperire ogni necessaria azione a tutela dell’immagine e dell’onore dei partigiani, come espressamente richiesto e previsto dal suo Statuto. La Segreteria nazionale dell’Anpi risponde così alla mistificatoria ricostruzione dell’azione partigiana di via Rasella e alla successiva feroce rappresaglia nazi-fascista alle Fosse Ardeatine compiuto da Pippo Baudo nella sua trasmissione su Rai Tre”.

In questo caso una rilettura dei fatti, un cambio di prospettiva, non sono solo condannati in nome di valori inossidabili dei quali l’Anpi – e tutta la sinistra – è depositaria e custode ma sono proibiti con sentenza di un giudice. Le sentenze della Corte di Cassazione hanno preso il posto del Santo Uffizio.


Ricordo una biografia “politicamente corretta” di Gramsci, che era stato notoriamente interventista, nella quale gli anni dal 1914 al 1917 venivano saltati a piè pari e sostituiti con una digressione sulla rivoluzione russa dopodiché l’attenzione si spostava sulla sua partecipazione alle  vicende politiche seguite alla fine delle guerra. Quello che è incompatibile con la “narrazione” va rimosso, se non è possibile aggiustarlo.  Un caso clamoroso è la scotomizzazione di Nicola Bombacci, assassinato e esposto insieme al Duce al ludibrio di piazzale Loreto, già segretario del partito socialista, fondatore (lui, non Togliatti e nemmeno Gramsci) del partito comunista d’Italia, fautore dell’amicizia fra l’Urss e il regime fascista, direttore  nel 1936 della Verità. la Pravda italiana; cancellato perché la sua vicenda umana e politica sconvolgerebbe tutta la vulgata della sinistra antifascista. 

Lo ricordai in epigrafe ad un mio articolo per questi Trucioli il monito foscoliano: O Italiani, io vi esorto alle storie! Tornare alla storia, restituire allo studio della storia la sua centralità perché la storia, se non è la verità rivelata, è però ricerca della verità; e la storia non ha la pretesa di insegnare, non impartisce lezioni o moniti per il presente ma è sforzo di sapere e voglia di  far sapere e se è magistra vitae lo è nel senso che promuove un atteggiamento di umiltà, di comprensione, di distacco. “Una lotta illustre contro il tempo”, come recita l’anonimo manzoniano, che rimette sulla scena il passato e ce lo mostra depurato dalle passioni e dalle angustie di chi l’ha vissuto, non certo per rinfocolare le passioni o soffocarci nelle angustie del presente.

 Pier Franco Lisorini  docente di filosofia in pensione

 

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