Dalla legge Scelba alla legge Mancino

Dalla legge Scelba alla legge Mancino

L’uso politico dei reati di opinione

 Dalla legge Scelba alla legge Mancino

L’uso politico dei reati di opinione

 “Per un mondo più pulito torna in vita zio Benito”. Non so se ci sia da ridere o da piangere di fronte ad una sentenza che ha condannato il buontempone, per altro recidivo, che ha affisso a Rimini manifesti con questa battuta, che ne riecheggia altre analoghe ripetute nei bar, e non solo, dal dopoguerra ad oggi, dal cauto “si stava meglio quando si stava peggio” all’esplicito e duro “aridatece er puzzone!”. Per coerenza il giudice che ha emesso quella sentenza, applicando un po’ legnosamente leggi assurde che non ha inventato lui, dovrebbe ordinare una retata in tutto il Paese.          

Una vicenda che fa il paio col vespaio sollevato dalla cerimonia funebre per il giurista Todini, esponente della destra sassarese. Ho sott’occhio il video: un gruppo uomini di età diverse rende omaggio alla bara scattando sugli attenti quando viene pronunciato il nome del camerata defunto per poi assumere la posizione di riposo e accomiatarsi dopo essersi abbracciati, aver toccato la bara come estremo segno di saluto e aver tracciato alcuni di loro la croce cristiana sul proprio corpo. Un mix militaresco, dannunziano e cristiano che viene etichettato come fascista. 


Un regime che ha paura di cose del genere è paranoico, tirannico e liberticida, oltre che privo del minimo senso di umorismo. La sinistra e il suo non-pensiero danno in queste circostanze il peggio di sé: si scatenano le anime belle (si fa per dire: in realtà brutte, bruttissime), circoli Arci, Cgil, Anpi, collettivi studenteschi e centri sociali. Attacco alla costituzione! Violazione della legge Scelba, della legge Mancino, della Costituzione! Crucifige! Crucifige! Una storia che di tanto in tanto si ripete: era già successo per il cenotafio e una lapide in memoria di  Graziani, per non dire del braccio romanamente teso di un giocatore di pallone..

Il fatto è che nel nostro ordinamento giuridico ci sono molte cose obsolete, alcune stupide e, ahimè, anche qualche vergogna. La peggiore è la legge cosiddetta Mancino, dal nome del ministro che ne fu promotore.

Un mix in cui si tengono insieme Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, la solenne Convenzione internazionale sulla eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale e norme transitorie della nostra costituzione, tanto transitorie che a distanza di settanta anni sono ancora lì; prima si vola alto poi si precipita a terra, si confondono obiettivi sacrosanti come la condanna dell’apartheid (praticata per decenni in Sudafrica e negli States, mai da noi) con le miserie nostrane e c’è soprattutto il chiodo fisso del Pci di tenere a bada una destra in grado di minacciare il  suo monopolio nelle borgate  e nelle fabbriche. Il rogo dei fratelli Mattei docet. 


Cerimonia funebre per il giurista Todini

Un’arma pericolosa e sempre carica che oggi può essere rispolverata, oleata e messa nelle mani di magistrati amici. E, a proposito di magistrati, in un Paese in cui l’università, con la lodevole eccezione di poche sedi e poche facoltà, è screditata e i concorsi, tutti, sono un porto delle nebbie, non si capisce perché mentre si riconosce tranquillamente che come inevitabile conseguenza, vengono fuori tanti professori incapaci, tanti dirigenti non solo incapaci ma corrotti, tanti ingegneri e architetti che non fanno danni solo perché non trovano lavoro, i laureati in legge che superano il concorso in magistratura dovrebbero invece essere tutti degli stinchi di santo. Capisco che attaccare la magistratura sia autolesionistico come il gesto del marito che si evira per punire la moglie infedele ma qui non si tratta di attaccare un principio o l’ordine giudiziario in quanto tale ma singoli individui palesemente incapaci e faziosi e un sistema di selezione e monitoraggio che non riesce a impedirne l’accesso, a espellerli una volta che siano entrati o quanto meno a tenerli a bada è un sistema che va drasticamente riformato.

Un’arma pericolosa in mano a magistrati con un passato di militanti nel partito della rifondazione comunista o vicini negli anni della loro formazione, come tanti illustri accademici di mia conoscenza, a gruppi eversivi prima durante e dopo gli anni di piombo. Il Pci grazie alle toghe e alla strategia della tensione neutralizzò il Movimento sociale impedendogli di penetrare nel suo territorio. Ora quel territorio è stato saldamente occupato dalla Lega, che, almeno fino all’era di Bossi, non poteva essere accusata di fascismo. Ma ora?


Già da qualche mese la stampa internazionale ha bollato il fronte gialloverde come l’ultraderecha, ultra-right, ultradroite. Ma ora La lega per il País e la maggior parte della stampa di lingua spagnola, francese, tedesca e inglese è un partito neofascista o semplicemente “fascist”, “faschist”, “fascista”. Un ballon d’essaiper i democratici – e i magistrati democratici – nostrani, tanto più che all’etichetta di fascismo si aggiunge puntualmente anche il razzismo.

La norma, che, per la parte in cui ricalca i principi sanciti nella Convenzione internazionale, recita che è  vietata “ogni organizzazione, associazione, movimento o  gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione per motivi  religiosi”, se applicata dovrebbe colpire immediatamente i musulmani, imporre la chiusura dei loro luoghi di culto e qualsiasi manifestazione del loro credo, che non solo discrimina fra il muslime l’infedele ma considera quest’ultimo, quando lo tollera, un minus habensnei confronti della comunità dei fedeli. Dico i musulmani perché, non solo nei confronti degli infedeli e in particolare i “crociati”, ma anche al loro interno incitano scopertamente all’odio e alla violenza per motivi religiosi; ma a ben vedere tutte le religioni, in quanto identificano una comunità di giusti respingono il mondo esterno come ingiusto, cattivo e colpevole.


La stessa Corte costituzionale, mentre ne ha stabilito la compatibilità con l’art. 21 della costituzione, ha messo in guardia contro interpretazioni decontestualizzate e distorte della legge. Il problema è che, così come è formulata, e, aggiungo io, per lo spirito e le intenzioni che ne hanno informato la stesura, quelle interpretazioni “decontestualizzate” (vale a dire prive del necessario riferimento all’ipotesi di ricostituzione del Pnf o del Pfr) sono la regola, non l’eccezione. Tant’è che qualcuno difende la legge col singolare argomento che “tanto non viene praticamente mai applicata”. Se fosse vero sarebbe un altro buon motivo per abrogarla. Purtroppo non solo non è vero ma rimane comunque una spada di Damocle sulla testa dei liberi pensatori, un’arma in più nelle mani di magistrati che intendono il loro servizio come un potere che li pone al di sopra dei comuni cittadini. Proviamo a immaginare cosa sarebbe del Paese se altre categorie, dico a caso i militari, incaricate di servire lo Stato usassero gli strumenti del loro servizio a loro vantaggio. 


I reati di opinione sono un’aberrazione etica e giuridica, sono l’eredità di secoli bui, riportano alla memoria l’immagine di Giordano Bruno avvolto dalle fiamme, i processi e la condanna di Galileo, le apprensioni di Cartesio, di Kant, di De Sade. Cosa sarebbe oggi di Voltaire che ipotizzava all’origine della razza negra il connubio di un uomo e una scimmia? E Nietzsche potrebbe sostenere impunemente che i preti sono predicatori di morte? Il problema è che noi stiamo pagando la sfrenata libertà in ambito sessuale, nel quale si è istituzionalizzato qualcosa che a scriverlo o dirlo un tempo non lontano sarebbe scattata l’offesa alla morale pubblica, si è sdoganato il linguaggio postribolare, si è, non so con quale vantaggio, derisa e cancellata qualsiasi manifestazione di pudore, ma in compenso si sono creati  nuovi e assai più pericolosi tabù. Già una ventina d’anni fa, richiesto di collaborare a un testo scolastico, scoprii che non si poteva dire cieco: bisognava scrivere non vedente;  in più mi vidi censurato il riferimento a un classico della psicologia sperimentale: “missionari e cannibali”. Da allora i divieti si sono moltiplicati. Ricordo una canzonetta del giovane Sordi: Nonnetta, nonnetta tu sei paraliticama ricordo anche la bonaria ironia con cui Tognazzi rievocava il Ventennio. La luce della ragione è anche ironia, è anche trasgressione e rifiuto dell’omologazione; è il dominio del bastian contrario. La canzoncina di Sordi poteva essere di cattivo gusto come il dileggio rivolto ai lavoratori dal “vitellone” da lui interpretato ma era soprattutto un modo liberatorio non per épater les bourgeoisma per impedire al giovinastro che è in noi di incarognire. Un vecchio adagio suona “scherza coi fanti e lascia stare i santi”. Personalmente credo in un mondo dove si possa scherzare su fanti e santi; in quest’epoca trista e bigotta semplicemente non si può scherzare. Si può insultare, irridere, demonizzare secondo le linee guida del pensiero corretto ma non si può scherzare. Il pensiero unico non lo sopporta.


L’idea che uno non possa sostenere che la comunità alla quale appartiene è per qualche aspetto o per ogni aspetto superiore alle altre è delirante. Ci mancherebbe che non si potesse essere fieri della civiltà grecoromana o che non si potesse sostenere che la civiltà grecoromana ha realizzato come nessun’altra il potenziale spirituale dell’umanità. Padroni il cinese, l’indiano o il giapponese di non essere d’accordo o di rivendicare  a loro volta la propria specificità, che sempre sottintende la superiorità. Altra cosa è  la prevaricazione, il ricorso ad una superiorità vera o presunta per giustificare lo sfruttamento, la sottomissione, la marginalizzazione. 

Lasciamo perdere l’idea surreale di rubricare il genocidio come reato. Il genocidio, quando è veramente tale e non un’accusa politica mossa dai vincitori ai vinti, è qualcosa di più e di diverso rispetto a un reato contestabile a singoli individui; è un crimine collettivo del quale sono responsabili popoli e stati, non singoli individui. Il razzismo, così come viene condannato dalla Convenzione internazionale, i cui estensori avevano in mente la shoah, è stato successivamente un pretesto da usare ora contro Saddam Hussein ora contro Milosevic ma, al di là delle loro intenzioni, richiama immediatamente la pretesa di giustificare con la superiorità della razza bianca la sottomissione delle popolazioni dell’Asia e dell’Africa perpetrata da inglesi, belgi, francesi. Prima di loro i coloni americani ci avevano aggiunto giustificazioni morali e religiose e si erano così sgravati la coscienza per aver ripulito il nuovo continente dai nativi. Quello è stato vero razzismo e vero genocidio. 


Riconoscerlo implica anche prendere atto che l’unica teoria esplicita che giustifichi la superiorità di una razza – non cultura – sulle altre è il darwinismo e la sua espressone più definita è l’opera di Gobineau, della quale Hitler è stato solo un epigono. Con questa roba il fascismo, il futurismo, il nazionalismo dannunziano non hanno assolutamente nulla a che vedere e chi sostiene in contrario è un ignorante e un imbecille. La stessa rivista, “La difesa della razza”, alla quale collaborarono fattivamente tanti futuri personaggi di spicco della cultura e della politica postbelliche, dal democristiano Fanfani a Guido Piovene e Vitaliano Brancati, il quale ultimo quanto meno si astenne poi dal fare l’”utile idiota” del Pci, discende direttamente dal cosiddetto manifesto della razza, esplicitamente destinato a fare da contrappeso alle farneticazioni hitleriane e naziste. Manifesto che al primo punto afferma perentoriamente: Dire che esistono le razze umane non vuol dire che esistono razze umane superiori o inferiori, ma soltanto che esistono razze umane differenti. Un’ovvietà. 

Leggi che falsano la storia, che usano i fantasmi del passato per colpire nel presente, che suggeriscono una parentela fra lo sciagurato antisemitismo di ieri – per il quale l’Europa intera dovrebbe recitare il mea culpa– con la sacrosanta lotta all’invasione dall’Africa non meritano cittadinanza nel Paese che può vantare la più solida e antica civiltà giuridica.

   Pier Franco Lisorini

   Pier Franco Lisorini è un docente di filosofia in pensione

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