CUPIO DISSOLVI
CUPIO DISSOLVI
Un mio commento sull’autoaffondamento del centrosinistra
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CUPIO DISSOLVI
Un mio commento sull’autoaffondamento del centrosinistra
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Alla caduta dell’ultimo governo Berlusconi, travolto dallo spread e dal discredito internazionale, sono stato tra i pochi a non brindare; avrei festeggiato se, con lui, fosse caduto anche il berlusconismo, ma era evidente che non sarebbe bastata una manovra di Palazzo, sia pure messa in atto con le migliori (?) intenzioni, per cambiare, con un governo calato dall’alto del Colle e della Bce (e con la benedizione del Vaticano), non tanto il “costume degli italiani” – impresa storica di lunghissima durata – |
quanto una classe politica dimostratasi tragicamente inadeguata, oltre che inquinata trasversalmente dal malaffare e dai troppi parlamentari e amminstratori inquisiti per peculato, associazione per delinquere e truffa aggravata ai danni della Stato (anche se in proporzioni diseguali ma sufficienti per squalificare, agli occhi di un’opinione pubblica sempre più indignata ed esasperata dall’aggravarsi della crisi economico-finanziaria, l’intero Parlamento). Quando poi è apparso chiaro che il cosiddetto “governo tecnico” altro non era che la prosecuzione del berlusconismo con altri mezzi e che stava facendo quel lavoro sporco contro i lavoratori e gli impiegati a reddito fisso che il governo Pdl-Lega non sarebbe stato in grado di fare, la vaga sensazione di essere caduti dalla padella nella brace è diventata una certezza. Ma bisognava salvare l’Italia dal baratro, ci è stato detto, agitando lo spauracchio della Grecia (povera Ellade sognata dai poeti!); e poi l’Europa ci chiedeva di puntare al pareggio del bilancio, controllando la spesa e riformando il mercato del lavoro. Sì, certo, ma a spese di chi? Il governo “tecnico” ha lasciato intatti i privilegi delle varie caste e lobbies della Penisola, e la famosa equità nella distribuzione dei “sacrifici” promessa da Monti all’inizio del suo mandato si è rivelata una promessa da marinaio. Colpa della crisi, certo; ma di chi è la colpa della crisi? Di tutti e di nessuno? Eh no! Se la crisi è una crisi di sistema, anche il sistema dovrà pure essere chiamato a risponderne! Ma da chi? Ormai il sistema è globale, e sembra impossibile uscirne; ma sembrare non vuol dire essere, e quello che sembra impossibile oggi potrebbe essere possibile domani, a meno di non considerare fatale la catasrofe ecologica ed economico-finanziaria prossima ventura. “Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito è un folle, oppure un economista ”, ha detto Kenneth Boulding, l’economista-poeta e mistico, inventore del capitale psichico, e gli economisti più avvertiti e lungimiranti come Amartya Sen, Jeremy Rifkin, Serge Latouche e Maurizio Pallante da tempo parlano non di crescita ma di decrescita (se felice o infelice è un altro discorso, sicuramente nefasto è il mito del benessere basato su una crescita continua ed esponenziale). Secondo il filosofo Cornelius Castoriadis accettare l’attuale sistema economico significa accettare “non soltanto la dilapidazione irreversibile dell’ambiente e delle risorse non rinnovabili; c’è anche la distruzione antropologica degli esseri umani trasformati in bestie produttrici e consumatrici e in abbrutiti zapping-dipendenti” (e ora possiamo aggiungere anche in coatti web-dipendenti).
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Nel contesto di questa crisi globale la crisi italiana spicca per la sua sindrome schizofrenica e degenerativa: si direbbe che la classe politica e dirigente del nostro Paese – definito in un tempo che appare sempre più lontano “‘l giardin dello ‘mperio” – sia caduta in preda a un irresistibile cupio dissolvi, quasi fosse prigioniera di un incantesimo simile a quello che ha colpito i personaggi del film L’angelo sterminatore di Luis Bunuel.
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Non è che siano mancate o che manchino voci profetiche o anche semplicemente limpidr e oneste che denunciavano e denunciano il profondo ed esteso degrado etico-politico in cui è precipitata la societas italiana; ma ha dell’incredibile la colpevole sordità di una parte e addirittura l’avversione dichiarata di un’altra parte dello schieramento politico con i suoi scherani mediatici, nei confronti di queste voci, le uniche in grado di tener viva, con il senso della decenza, la speranza di un riscatto, anzi, di una liberazione nazionale dalla corruttela dilagante e dai tanti profittatori e faccendieri che antepongono i loro miserabili interessi privati a quello che è, o meglio, che dovrebbere essere il fine dell’agire politico: il bene comune. Mi riferisco, in particolare, alla brutta pagina di storia scritta dalla parte maggioritaria della sinistra italiana nell’inspiegabile vicenda dell’elezioine, anzi, rielezione del Presidente della Repubblica. Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, che non faceva mistero di considerare le elezioni come un’ultima formalità, se non proprio come il disbrigo di una pratica burocratica necessaria al suo insediamento a palazzo Chigi, è riuscito nell’impresa quasi impossibile di azzerare il notevole vantaggio acquistato dopo le primarie, conducendo una campagna elettorale scialba e sciatta, spaventando comunque l’elettorato “moderato” in materia di tassazione – tanto da indurlo a rifugiarsi, ad ogni buon conto, sotto le grandi ali protettrici dell’accorto e occhiuto Cavaliere – , lasciando uno spazio enorme (una “prateria” come usa dire adesso) al comico rivoluzionario Grillo e rischiando addirittura di perdere le elezioni, superando di un soffio il Pdl e ottenendo
la maggioranza assoluta solo alla Camera grazie alla legge-porcata del leghista Calderoli. Di fronte a questa “non vittoria” (“non abbiamo vinto ma neanche perso”) Bersani, invece di rassegnare le sue dimissioni, ha preteso da Napolitano il pre-incarico per la formazione del nuovo governo. E’ nota la triste cronaca di questo tentativo: per scongiurare l’abbraccio mortale di Berlusconi, il segretario del Pd ha corteggiato (invero alquanto maldestramente) Grillo e i grillini per più di un mese, malgrado il loro atteggiamento di chiusura; nel momento in cui Grillo si è aperto a una possibile alleanza di governo, previa convergenza del Pd sulla candidatura di Stefano Rodotà alla presidenza della Repubblica, Bersani, inopinatamente, si è accordato di notte con Berlusconi sul nome di Franco Marini, scatenando la rivolta della base e di molti grandi elettori; di fronte a questa sollevazione il povero Bersani ha virato su Romano Prodi, il fondatore dell’Ulivo e padre nobile dello stesso Pd, e oltretutto non inviso ai grillini che lo avevano proposto tra gli altri nelle loro“quirinarie” online. Acclamazione apparentemente unanime per Prodi, ma rivolta del Pdl, i grillini fermi su Rodotà e defezione di centouno franchi tiratori del Pd in aula. Disastro completo del centrosinistra, esultanza di Berlusconi e conseguenti dimissioni di Bersani. Il resto è noto. Rimangono ignote invece le vere motivazioni del rifiuto di Bersani e della maggioranza del Pd di convergere su Stefano Rodotà, una di quelle voci profetiche che avrebbe potuto ridare fiducia, unità e speranza non solo alla sinistra ma a tutti gli italiani onesti… FULVIO SGUERSO IL MIO NUOVO LIBRO
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