Crescete e moltiplicatevi
CRESCETE E MOLTIPLICATEVI
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CRESCETE E MOLTIPLICATEVI
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Questa biblica esortazione aveva un senso subito dopo la creazione dell’uomo; e ha continuato ad averne fintanto che le risorse della Terra erano sufficienti a nutrirlo. Oggi sappiamo che, con uno stile di vita sobrio, la Terra potrebbe ospitare, in equilibrio ecologico, circa 1,5 miliardo di umani; circa, poiché dipende da cosa s’intende per sobrio.
L’Africa ci sommergerà? Le proiezioni demografiche dicono di sì
Da un paio d’anni, tuttavia, abbiamo allegramente superati i 7 miliardi. E gli effetti di questa vistosa trasgressione sono ormai visibili e patibili ovunque. Trasgressione che sembra non preoccupare minimamente i fautori dell’umanitarismo a oltranza: una disposizione d’animo che non fa che acuire, in scala esponenziale, il problema. Appurato che è eticamente da escludere un mirato sterminio di massa, si dovrebbe perlomeno tentare di bloccare la crescita di quelle popolazioni che, con spirito animalesco, continuano a fare figli 7-8 figli per donna, senza preoccuparsi del loro –e nostro- futuro.
7-8 figli per donna. Senza selezione naturale equivale a crescita esponenziale
L’uomo “civilizzato” è contraddistinto da una peculiarità: non ha predatori. In un habitat equilibrato il numero di animali ivi presenti oscilla intorno ad un optimum, regolato dal numero di predatori in rapporto alle prede e dalla quantità di cibo disponibile per queste ultime. Queste sono leggi di natura; e cercare di piegarle ai nostri voleri crea più problemi di quelli che si intende risolvere. Dunque, come siamo riusciti a nutrire via via sempre più umani, a partire dal fatidico miliardo (per l’esattezza, del 1815)? Semplicemente svincolandoci dal legame col Sole nella produzione di cibo ed energia: dapprima col carbone, poi col petrolio e infine persino con quell’assurdità termodinamica che è l’energia nucleare. Siamo raddoppiati nel 1930, per poi galoppare velocemente verso gli attuali 7 miliardi, pronti a lanciarci verso un’ulteriore crescita nei prossimi decenni, specialmente in Africa e, al suo interno, in Nigeria. Il mondo futuro vedrà pochissimi “bianchi”, sopraffatti dal numero di “neri”. [VEDI]
Il re della foresta è senza predatori?
Come dicevo, l’uomo è privo di predatori, che avrebbero ferocemente ridimensionato i suoi sogni gloria, mantenendone il numero intorno ai valori permessi dall’ecologia. Per la verità, un agente di sfoltimento sarebbero le malattie, specie epidemiche: si pensi alle decimazioni prodotte dalla peste, dalla “spagnola” ed altre pandemie, dalla mortalità infantile, dalla carestia, con drastici tagli al numero di abitanti. Ma l’uomo è riuscito a sconfiggere tutto ciò con il progresso: a) della medicina, tenendo in vita una crescente quantità di persone, malate o semplicemente vecchie, che avrebbero dovuto morire, per selezione naturale (mi torna in mente il film “Ombre lunghe”, dove la vecchia, divenuta solo un peso per la comunità, si allontana nella tormenta verso morte certa); b) dell’agricoltura. Dobbiamo prendere atto di un principio: la natura non è indulgente quando le sue regole vengono trasgredite.
Persino il leone ha chi riesce a vincerlo
Ricordo le fanfare sulla “rivoluzione verde” di cui si fantasticava negli anni ’50, nell’euforia post-bellica. E’ dalla constatazione del breve respiro di questo “radioso sol dell’avvenire” che, di lì ad una dozzina d’anni, nasceva la consapevolezza ecologica da parte di una ristretta cerchia di studiosi, mentre nelle piazze si inneggiava al “grande balzo in avanti” (big leap forward) della rivoluzione maoista. La fine di Mao non significò, peraltro, la fine della messa in atto della rivoluzione industriale delle campagne. Tutt’altro: scesero in campo in grande stile i colossi della chimica in un’avanzata che sembrava trionfale, sulle ceneri dell’agricoltura tradizionale, costringendo i contadini all’uso di semi estranei, diserbanti e anticrittogamici, con ciò asservendoli alle multinazionali agro-chimiche. Il prezzo che abbiamo pagato sull’altare di questa rivoluzione è stato altissimo: deforestazione colossale, uso massiccio di pesticidi e diserbanti, industrializzazione dell’agricoltura e dell’allevamento del bestiame, scindendo l’uno dall’altra, anziché considerarli una filiera unica; e infine, introducendo senza misura l’uso della carne nelle nostre diete. Si aggiunga lo spopolamento delle campagne industrializzate, il conseguente fenomeno dell’inurbamento, e arriviamo alla scellerata situazione attuale, con lo sfruttamento/sfinimento del terreno per ingigantire la produzione, col risultato di una parallela crescita del numero di umani. Se almeno limitassimo l’uso della carne, i terreni agricoli attuali potrebbero persino bastare per la popolazione odierna.
Le foreste: da vive temperano l’effetto serra. Ma da morte fanno crescere il Pil
Ma non è solo una questione di cibo, perché “non si vive di solo pane”; ed è connaturato all’uomo moderno, intendendo con ciò post-illuminista, l’idea di progresso, che poi si traduce in crescita dei bisogni indotti e relativi consumi e della sfera di disturbo reciproco, ossia disordine, materiale e sociale: i problemi di sicurezza crescono al crescere del numero di persone costrette a convivere in promiscuità. L’imperativo odierno, sotto qualunque bandiera politica, è l’aumento del PIL. Chi opta per la sua riduzione è sommerso dalle critiche, è considerato blasfemo. Ciò che si vuole in ogni modo evitare è il calo delle nascite e, di pari passo, dei consumi; che sarebbe invece l’unica soluzione valida per la sopravvivenza. Ormai è chiaro che il concetto di crescita è connaturato all’uomo moderno, lineare, di contrapposto all’uomo tradizionale, ciclico. Quindi, non sarà l’homo faber a decidere la strada della decrescita; lascerà che a farlo sia quella natura di cui ha infranto le regole troppo a lungo e troppo massicciamente, ogni generazione pensando solo al soddisfacimento di bisogni o capricci propri, ignorando quelli delle generazioni a venire. In tal modo, si continuerà a deforestare, ad avvelenare i campi, col risultato di sempre più umani, proveniente da culture a noi lontanissime, tutti comunque sempre più bisognosi di medicinali, in un ambiente malsano.
Spargimento massivo di pesticidi per via aerea
Del resto, la mia non è una previsione, bensì solo una constatazione della realtà, in marcia spedita e compatta verso il suicidio collettivo. Lo so, questi ragionamenti non piacciono alla gente, sono da “gufi”; ma se c’è qualcuno che pensa che le risorse della Terra siano inesauribili, che la sua capacità di assorbire e rigenerare i rifiuti non abbia limiti, alzi la mano. Credo che non l’alzerà nessuno; perché nessuno è così idiota da pensare che l’infinito esista concretamente e non solo in matematica. Ma allora bisogna ammettere che siamo tutti consapevoli –e testimoni quotidiani- che stiamo marciando verso il disastro. Ce lo dice il buon senso, ma continuiamo a vivere ed operare secondo i soliti schemi, nella certezza che nessuna politica, nessuna legge avrà mai la forza di invertire la marcia. Anzi, si paventa la mancata crescita del numero di italiani e si punta agli sbarchi incontrollati di africani per poter pagare le pensioni, anche d’oro e vitalizi (!), a una massa crescente di vecchi. Con ciò esacerbando, se mai ve ne fosse bisogno, le tensioni sociali e l’odio razziale.
La scriteriata politica dei passati governi ha barattato con qualche tolleranza dell’UE sui conti pubblici una migrazione di massa che soffocherà. fisicamente e culturalmente, non solo noi, ma l’intera, miope Europa
Tanti anni fa tenevo capre e pecore; e non dimenticherò mai l’episodio di una pecora che partorì due agnellini. Conscia del fatto che, forse per l’età avanzata, non aveva latte a sufficienza per due, scelse l’agnello che doveva sopravvivere, negando il latte al secondo, in una sua spietata condanna. La natura avrebbe decretato la sua morte, se non fossi intervenuto io, nutrendo con latte altrui il “condannato”. Sono stato pietoso, oggi diremmo “buonista”; ma ho infranto la dura legge della selezione naturale. Come abbiamo fatto a livello globale, salvando tutti e moltiplicando a dismisura le bocche da sfamare, secondo nostri principi etici e religiosi. Ma l’etica nostra fa a pugni con quella della Natura, che per agire non attende il placet di politici, giornalisti, tribunali. Appurata la nostra incapacità di invertire la rotta, l’inversione avverrà comunque, ma non sarà soft. La nostra democrazia è incardinata sul voto: ma piante e animali, mari e fiumi non votano. Se potessero farlo, le nostre politiche sarebbero abissalmente diverse. Marco Giacinto Pellifroni 8 luglio 2018
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