Commento al 4° Mottetto [da “Le Occasioni”] di Eugenio Montale

Lontano, ero con te quando tuo padre
entrò nell’ombra e ti lasciò il suo addio.
Che seppi fino allora? Il logorìo
di prima mi salvò solo per questo:

che t’ignoravo e non dovevo: ai colpi
d’oggi lo so, se di laggiù s’inflette
un’ora e mi riporta Cumerlotti
o Anghébeni – tra scoppi di spolette
e i lamenti e l’accorrer delle squadre.

Il primo verso va idealmente letto così:
“[Ero] lontano, [e tuttavia è come se fossi stato] con te quando tuo padre /…”
Questo mottetto assume un’importanza particolare perché segna l’inizio del blocco di poesie dedicate in modo univoco e inequivoco a Irma Brandeis, che vanno appunto dalla 4^ alla 20^, con l’eccezione della 17^, ovvero della descrizione densa di rimandi di uno squarcio di ambiente agreste nel suo aspetto vegetale e animale.
Se non ci facciamo ingannare dalla prima parola che sùbito potrebbe essere vista come un sostantivo, e la individuiamo invece correttamente come un aggettivo, il senso dei due primi versi in incipit è chiaro: esprimono il cordoglio del poeta per Irma, il suo rammarico di non aver potuto starle accanto nel momento della morte del padre di lei.
Fisicamente non gli è stato possibile. Un oceano si frapponeva. Ma vuole farle sapere che col cuore e con l’animo le era vicino. A consolarla, a sorreggerla. Anche se per paradosso, visto il lutto che deve affrontare, Irma comincia proprio da questo momento a rappresentare il visitor angel per l’autore, cioè ad essere lei a dare speranza, a tenere aperta la porta ad una possibilità di riscatto, e insomma a diventare vieppiù Clizia.

“Che seppi fino allora?”. E’ il momento della consapevolezza, della scoperta, del crudo stupore.
La morte del padre dell’amata induce l’io lirico a collocarla in una nuova luce e nello stesso tempo dà a sé nuova luce.
E’ uno scossone che lo costringe ad un bilancio della sua vita. Uno spartiacque, sottolineato con il carattere corsivo con il quale il poeta scrive che c’è un prima e c’è un dopo.
Il prima è costituito da un continuo logorìo che un vivere senza senso, senza significato, fatto di tanti frantumi e condiviso con nessuno, inevitabilmente produce.
Il dopo, dal valutare tale logorìo necessario al realizzarsi di un destino che smuove l’animo alla partecipazione, alla com-passione e, in definitiva, all’amore.
Il logorìo come medaglia; e in quanto tale, bifronte: con una faccia data dal vuoto, e con l’altra faccia data dalla condizione per riconoscere meglio chi ha le qualità per riempirlo, e perciò il terreno su cui far germogliare una vita sostanziata da nuova linfa.
Prima “t’ignoravo e non dovevo”. E cioè prima ti ignoravo, ma non era quello il volere del destino. “Salvò” possiamo qui intenderlo come sinonimo di “servì”.
Il destino, dunque, si serve del nulla, e tramite il nulla salva il poeta affinché poi riesca a distinguere per contrasto l’essere, la consistenza, l’effetto palpabile che la presenza (anche soltanto pensata) di Clizia apporta dando conforto. Egli ne è certo.
A provarlo l’affermazione “ai colpi / d’oggi lo so”. Ai colpi, s’intende, che lo hanno come svegliato dalla sua narcosi.
Essi sono le percosse patite nella sua storia privata congiunte a quelle più generali assestate dalla Storia (il fascismo in primis, e tutto quanto ad esso connesso).
E’ così che il poeta pensa, alla luce dei colpi inferti dalla vita al suo presente, che se il ricordo “s’inflette”, cioè si piega dal suo corso normale, egli dovrà riconsiderare sotto un’altra luce anche gli insidiosi colpi di ieri provocati dalle bombe (spolette), da cui si è salvato mentre, soldato di stanza tra i boschi della Valmorbia punteggiati qua e là da gruppi di poche case (lui ricorda in sineddoche i paesini di Cumerlotti e Anghébeni), durante il primo conflitto mondiale ebbe a vivere tra “[…] i lamenti e l’accorrer delle squadre”.

FULVIO BALDOINO

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One thought on “Commento al 4° Mottetto [da “Le Occasioni”] di Eugenio Montale”

  1. Prima considerazione: nei nove endecasillabi suddivisi in due strofe asimmetriche, dato il numero dispari dei versi di questo IV mottetto delle “Occasioni”, abbiamo la rappresentazione sintetica di una sorta di conversione laica dove, al posto dell’azione divina della grazia, agisce l’amore umano quale strumento del destino che salva dall’inconsistenza e dal nulla il poeta che “prima” si era smarrito e “oggi” ha ritrovato se stesso riconsiderando il suo passato “logorio” alla luce della partecipazione emotiva e spirituale al lutto che ha colpito l’amata lontana fisicamente ma vicina spiritualmente quando il padre “entrò nell’ombra e ti lasciò il suo addio”,. Il poeta ha vissuto il lutto della donna amata, il suo dolore come proprio, tanto da smuovergli “l’animo alla partecipazione, alla com-passione e, in definitiva, all’amore”, scrive giustamente nella sua analisi il prof. Baldoino.
    Seconda considerazione: non sarà sfuggita all’attento lettore, anche sulla scorta dell’interpretazione baldoiniana di questo pregnante testo, la valenza eticoa, storica ed esistenziale che caratterizza ancor più degli altri il IV mottetto, in cui Montale menziona, oltre al logorio vuoto del passato, anche i “colpi / d’oggi”. A quali colpi allude il poeta? “Essi sono le percosse patite nella sua storia privata congiunte a quelle più generali assestate dalla storia (il fascismo in primis , e tutto quanto ad esso connesso)”, chiosa Baldoino. A significare che nel dramma dell’uomo Eugenio Montale si riflette il dramma dell’umanità uscita da una guerra spaventosa per entrare in ‘altre guerra ancora più spaventosa. Chissà che cosa scriverebbe oggi il poeta della “Burera e altro”!

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