Commento al 20° Mottetto [da “Le Occasioni”] di Eugenio Montale

…ma così sia. Un suono di cornetta
dialoga con gli sciami del querceto.
Nella valva che il vespero riflette
un vulcano dipinto fuma lieto.

La moneta incassata nella lava
brilla anch’essa sul tavolo e trattiene
pochi fogli. La vita che sembrava
vasta è più breve del tuo fazzoletto.

“…ma così sia”. Ovvero 20° Mottetto che idealmente, nonché per struttura paratattica e grammaticale (puntini di sospensione e inizio della frase con lettera minuscola) è il prosieguo del 19°.

Forse la più evidente dichiarazione di continuità tra i Mottetti che per la loro comune radice ispirativa, a ragione costituiscono il cuore delle “Occasioni”. Le occasioni suscitate da Irma e che nello stesso tempo la (re)suscitano (ovviamente nel senso del ricordo, dell’immagine, della presenza sentimentale). In un cortocircuito.
Non dimentichiamo che il “romanzetto sentimentale”, come con una certa sufficienza al fine di evitare ogni immodestia lo definirà il poeta, è costituito da frammenti minimali.
Il messaggio é: Irma-Clizia è così importante, che non serve accada niente di straordinario perché si faccia largo tra tutti gli altri pensieri.
Basta un suono, un gesto. O magari uno “sbaglio” che alla Natura maldestramente sfugge o che benignamente si lascia sfuggire.
“…ma così sia”.
Poi ancora 7 versi e mezzo di endecasillabi regolari, piani, e il “romanzetto” si conclude.

La poesia, in quanto categoria artistica, non ha cambiato niente: la poesia nella percezione montaliana non cambia il mondo, né i vari microcosmi che possono cercare di rappresentarlo.
Serve a poco. Forse soltanto a condividere la solitudine, e non si sa bene con chi.
La distanza di Montale da D’Annunzio da cui, comunque, tanto ha assorbito, qui è abissale.

Nella rimica, si hanno rime regolari solo tra il 2° e 4° verso della prima strofa e tra il 1° e 3° della seconda, ma è degno di nota il tipico escamotage di Montale fatto di consonanze, assonanze e allitterazioni a interconnettere con richiami fonici e formali un contenuto solidale, irrorato dallo stesso sentimento; sicchè vedremo, per esempio, scorrendo la parola in clausola di verso ordinatamente dall’alto in basso, succedersi le terminazioni etta, eto, ette, eto, ene, etto.
“Lava” e “sembrava”, escluse dall’elenco, sono relate però in parziale anagramma con “valva”, termine interno del 3° verso, che contiene appunto tutte le lettere di “lava”.
Dopodiché, ripetendo lo schema del 19° Mottetto e di vari altri ad esso precedenti, la chiusa apoftegmatica. 
E siccome chi fa più e meglio ironia su D’Annunzio è Guido Gozzano, ecco che questo Mottetto di Montale si serve, come si palesa dal lessico semplice, di oggetti altrettanto semplici, di cui alcuni anche gozzanianamente kitsch.
Di nuovo, come nella lirica precedente, dei flashes; e di nuovo tre:

– La cornetta di un grammofono il cui suono a tratti prevale e a tratti pacificamente soccombe superato dal contemporaneo ronzio degli sciami di uccelli presso il querceto.

– Il dipinto in miniatura del Vesuvio nella valva (termine non a caso presente nella celeberrima lista delle buone cose di pessimo gusto del salotto di nonna Speranza).

– Un fermacarte di lava che testimonia di un’attività “intesa alla moneta…” sicché continuano anche nella seconda strofa i debiti col poeta torinese, dopo che nella prima il suono di “cornetta” rispetto a “tromba”, ovvero al lemma esatto per indicare la parte del grammofono volta ad amplificare ed espandere il suono, riesce a mantenere basso il tono, e anche a farne una sorta di bri-à-brac, come è tipico appunto di Gozzano, rendendo possibile la caricatura naif, siccome in questo Mottetto è concettualmente quanto mai appropriata la rappresentazione del “formidabil monte / sterminator Vesevo” ridotto, in tutti i sensi, a fumare lieto e innocente, e inconsapevole del suo enorme potere distruttivo, in un marino souvenir che riesce a riflettere la luce del tramonto.

La pietra lavica dunque fa da fermacarte. L’arte, la poesia, è ridotta a quattro fogli tenuti fermi affinché non si disperdano sotto una pietra delle tante, si voleva far pensare in qualche chiosco di souvenir, che sommersero Pompei.
Forse come la moneta sopravvissuta (e la ginestra), Montale ci vuol dire che potrebbero, non si sa mai, sopravvivere alcuni versi alla distruzione. 
E’ tutto quello che concede a noi, e tutto quello che il Tempo concede a lui.
Per il resto è come se ci ricordasse, allo stesso modo del sonetto proemiale del “Canzoniere”, “che quanto piace al mondo è breve sogno”.
Una pietra che è un gadget. Cioè meno di un ricordo: un ricordo seriale. Una delle tante pietre più o meno  uguali con moneta artigianalmente inserita.
Tutto si è miniaturizzato, s’è fatto piccolo col passare dei giorni. Le speranze, gli obiettivi, gli orizzonti, si sono ridimensionati  secondo un metro, il fazzoletto, che neppure è dell’io lirico, ma di Irma, perché tutto è determinato sempre dalla sua presenza-assenza. Che ora egli si è rassegnato ad accettare:
“…ma così sia”.

FULVIO BALDOINO

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2 thoughts on “Commento al 20° Mottetto [da “Le Occasioni”] di Eugenio Montale”

  1. E così siamo arrivati al commento del ventesimo e ultimo Mottetto…. “ma così sia”. Due strofe di endecasillabi piani sono poste a sigillo di questa sezione de “Le occasioni” poetiche montaliane. sezione sulla quale pare che il poeta metta metaforicamente una pietra sopra:” La moneta incassata nella lava” che “brilla anch’essa,” come l’atro souvenir partenopeo: la valva nella quale “il vespero riflette / un vulcano dipinto ” che “Fuma lieto” Che a tutto può far pensare meno che allo “sterminator Vesevo” della leopardiana Ginestra, come molto opportunamente osserva il prof. Baldoino, a rimarcare la tonalità in minore (trattandosi di mottetti il termine musicale non stona!) che caratterizza tutta questa sezione de “Le occasioni”; e infatti la “cornetta” evocata nel primo verso non dialoga con i violini e nemmeno con i corni inglesi, ma con gli sciami di insetti o di volatili che animano il “querceto”. La pietra lavica con moneta incorporate e e la conchiglia dipinta che cosa ci stanno a fare sul tavolo del poeta? Intanto ci ricordano le gozzaniane “buone cose di pessimo Gusto” del salotto di Nonna Speranza; e poi, anzi, soprattutto , per quanto riguarda la moneta nella pietra, fungono da fermacarte: “la moneta incassata nella lava” (anche qui ormai inoffensiva come il fumo dipinto nella valva,) “trattiene/ pochi fogli”, quelli, appunto, immaginiamo, contenenti i Mottetti. E qui avvertiamo l’eco di un altro passo gozzaniano: “Pochi giochi di sillabe e di rima: / questo rimane dell’età fugace? / E’ tutta qui la giovinezza prima? (da “i colloqui”). Tramontati i sogni di gloria, che cosa resta? Un fazzoletto, sia pure appartenuto a Clizia, e tanto basta a Montale come sarebbe bastato a Guido Gozzano..

  2. Hai fatto bene a parlare di “sciami di insetti o di volatili”, perché basandosi solo sul testo della poesia potrebbero essere entrambi, ma più propriamente i primi (infatti inizialmente nell’articolo avevo scritto “api”).
    Poi, scartabellando un po’, ho trovato un chiarimento dello stesso Montale il quale invece indica esplicitamente gli uccelli. Così sono andato a colpo sicuro.
    Assai opportuna l’ultima citazione gozzaniana (ero stato tentato anch’io…)

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