Cinema: Verso la vita

RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
Verso la vita
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RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO

Verso la vita

 

Titolo Originale: LES BAS-FONDS
Regia: Jean Renoir
Interpreti: Jean Gabin, Louis Jouvet, Suzy Prim
Durata: h 1.35
Nazionalità: Francia 1936
Genere: drammatico
Al cinema nell’Agosto 1936
Recensione di Biagio Giordano
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 Film ispirato al romanzo di Massimo Gorkij uscito nel 1902 dal titolo: Bassifondi.

Russia. Città e data imprecisate, forse inizio ‘900, il barone (L. Jouvet), in crisi di identità mette in campo tutti i suoi averi per vincere al  gioco d’azzardo, ma finirà per perderli.

Un giorno scopre nella sua ricca dimora un ladro, Pepel (Jean Gabin), che gli punta la  pistola addosso, il barone per niente intimorito, gli fa presente che tutto quello che ha è impegnato, niente gli appartiene più, e lo invita a cenare con lui in tutta tranquillità promettendogli alla fine di lasciargli scegliere un pezzo pregiato tra le cose che ha, cosa che ha il sapore di una beffa nei confronti degli imminenti sequestratori dei suoi beni.

Pepel, molto povero, amante dei cavalli, sceglierà una scultura piccola con due cavalli in bronzo che si incrociano. Tra i due nasce una amicizia vera che salverà il barone da un tipo di depressione prossima al suicido. In seguito il barone, rinsavito, decide di trasferirsi nel dormitorio fatiscente frequentato da Pepel.

 

Il gestore del dormitorio è un anziano usuraio incattivito dalle insicurezze della vita, (V.Sokolov), la cui moglie (Prim)  è l’amante di Pepel, il rapporto sentimentale tra i due sta per finire, anche perché Pepel si innamora della cognata del gestore (Junie Astor), la quale però è indecisa sul da farsi in quanto in cuor suo cerca un uomo che le possa dare una sistemazione più sicura.

Un giorno si presenta in casa del gestore (Sokolov) del dormitorio, un losco e impresentabile amministratore di stato, ambiguo e corruttibile, che gli fa presente che per motivi di uso superiore del territorio, tutto il complesso dato in affitto verrà demolito. L’anziano gestore, che paga regolarmente l’affitto, si sente perduto, e manifesta verso il burocrate tutto il suo dolore e disappunto, al che il furbo amministratore gli prospetta una via d’uscita al problema. Se lui, uomo di stato, riuscirà a sposare la bella cognata del gestore (Astor), il complesso di case comprendenti il dormitorio sarà salvo.

La cognata del gestore (Astor) durante una festa all’aperto, ubriacatasi premeditatamente, cede all’amministratore lasciandosi strappare una promessa di matrimonio, ma Pepel geloso interviene alla festa proprio durante il massimo di euforia della coppia, e colpisce con un pugno l’amministratore fuggendo poi con la donna.

La donna a sorpresa apprezza il gesto virile di Pepel, inteso come prova d’amore, e gli promette di stare per sempre con lui.

 

Il vecchio gestore (Sokolov) venuto a sapere dei fatti, si sente nuovamente perduto, e all’arrivo della cognata la picchia duramente sperando inutilmente di farle cambiare idea. Durante lo scontro si fa vivo Pepel, che inorridito per quanto sta accadendo, colpisce con un pugno sotto il mento l’anziano gestore che nella caduta batte la testa su una vecchia incudine perdendo la vita.

Difeso da quasi tutto il villaggio,  che è stato chiaro testimone di come Pepel non volesse uccidere l’anziano uomo ma solo punirlo, Pepel sconta una breve condanna e poi si trasferisce con la donna amata, che nel frattempo lo aveva pazientemente aspettato, verso nuovi avventurosi lidi, fiducioso di poter  iniziare con lei una vita migliore.

Questo film di Renoir, è da apprezzare soprattutto per la riuscita combinazione tra realismo poetico e sociale, un sociale privo di pudori estetici, che non fa sconti sulle immagini raffiguranti la povertà estrema, con tutte le sue brutture umane più aberranti e rivoltanti. Una forma di verismo ossessivo lontano da ogni stemperatura edulcorante eseguibile come quello storico italiano con la letteratura stessa. La poesia in Renoir nasce, nei suoi più  forti contrasti sociali, da un vero illimitato, inizialmente distante da ogni possibile speranza, ma che proprio grazie all’amore dell’altro in un continuum evolutivo di relazioni sociali drammatiche trova vie materiali fatte di immagini di nuova vita.


La donna in questo film è la pulsione che muove tutto, è la forza che consente di vivere in ogni realtà ingiusta, corrotta, miserevole, sentendosi parte di una energia vitale, pronta a lottare, a cui si ha diritto per nascita. Anche l’artista solitario che perde il suo nome, si ritrova a cantare il bene adiacente al male, quello che resiste ad ogni cancellazione, perché l’amore si insinua come acqua di falda in ogni minuta piega  del sociale roccioso più drammatico.

Renoir nei suoi film rinuncia quasi sempre allo spettacolo, perché trova spesso qualcosa di più urgente da dire, e che va detto, se si vuol far corrispondere l’emozione del film col vero della cosa osservata e intesa, in tutto il suo nudo essere. 

 

  Biagio Giordano   

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