CINEMA: Sicario

RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
Sicario
In sala nella provincia di Savona

RUBRICA DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO

Sicario

 

 Titolo Originale: SICARIO

Regia: Denis Villeneuve
Interpreti: Emily Blunt, Josh Brolin, Benicio del Toro, Daniel Kaluuya, Jon Bernthal, Maximiliano Hernández, Raoul Trujillo, Lora Martinez-Cunningham, Jeffrey Donovan, Victor Garber, Dylan Kenin, Sarah Minnich, Matthew Page, Kaelee Vigil
Durata: h 2.01
Nazionalità: USA 2015
Genere: drammatico
Al cinema nel Settembre 2015
Recensione di Biagio Giordano
Al cinema in provincia di Savona

  Premessa storico-sociologica costruita con l’ausilio di informazioni di rete attendibili

Ciudad Juárez teatro del film, abbreviato in Cd. Juárez o solamente Juárez, è una grande città situata nello stato messicano del Chihuahua. Nel 2005 contava  circa 1.400.000 abitanti. Ciudad Juárez quando è stata fondata si chiamava El Paso del Norte, si era nel 1659, e la città era stata inaugurata da ricercatori spagnoli, interessati  ad individuare un varco  attraverso le Montagne Rocciose che consentisse nuove vie di comunicazione tra  zone culturalmente e commercialmente significative del nuovo mondo. Il legname per la costruzione del ponte sul Rio Grande, che consentiva l’utilizzo dell’importante varco, fu trasportata da Santa Fe nel Settecento. L’importanza della città crebbe   col tempo, ed era data dal fatto che rappresentò per un lungo periodo il luogo di una via d’accesso divenuta per diversi motivi strategica. La città possedeva l’unico valico terrestre, grazie al ponte costruito sul fiume Rio Grande, che consentiva  l’accesso dal Messico al Texas.


 Secondo affidabili statistiche sociologiche di rete, Ciudad Juarez è considerata una delle città più pericolose al mondo, da collocare senz’altro davanti a Miami, Caracas e New Orleans.  Per dare un’idea del rischio per i residenti e i frequentatori  basta citare il fatto che  nel 2009 ci sono stati oltre 2.500 omicidi.

Difficile capire tutte le cause di questa violenza, tra le principali indubbiamente  c’è la questione del narcotraffico, molto esteso nella frontiera con gli Stati Uniti. Da alcuni dati recenti sembra che ci siano circa 950 pandillas (bande armate) che operano a Ciudad Juárez, composte da decine e decine di migliaia di membri criminosi. Di quest’ultimi sembra che circa 3.000 siano  capi carismatici (cabecillas) alla guida di cosche minori; essi hanno fatto del traffico di droga, con la conseguente sanguinosa guerra territoriale per il mantenimento di cospicue fette di  mercato, lo scopo principale della loro miserevole vita.

Un’altra probabile causa  della spaventosa violenza che si annida a Ciudad Juárez è dovuta alle centinaia di pandilleros (membri di comuni bande criminali) di origine messicana provenienti dagli Stati Uniti d’America,  dove sono stati catturati per reati vari e  processati, dopodiché  espatriati; una volta in Messico i pandilleros  si sono uniti a bande malavitose di vario genere tra le quali al primo posto sono da collocare quelle interessate al commercio di droga. I pandilleros hanno poi accettato servilmente la feroce gerarchia interna delle bande.


 

La guerra del narcotraffico, sempre da fonti attendibili web,  ha cominciato ad assumere aspetti esplosivi probabilmente a cominciare dal 2004, quando il Cartello di Sinaloa,  l’organizzazione criminale tra le più potenti del Messico, dopo aver vinto la guerra di conquista di Tijuana, la città principale dello Stato messicano della bassa California con più di un milione di abitanti, ed aver imposto il proprio controllo  su buona parte del confine con gli Stati Uniti, ha mostrato interesse per la città di Juárez,  quest’ultima a quel tempo era saldamente nelle mani del Cartello di Juárez, o cartello di Vicente Carrillo Fuentes dal nome del capo. Inevitabile fu allora un sanguinoso e lungo scontro per la spartizione del mercato.

 Nel 2011, c’è stato un calo degli omicidi del 32% (da 3042 a 2086), cosa che ha portato il coefficiente di assassinio dal 229 al 171 (ogni 100.000 abitanti). Nella classifica delle città con più omicidi al mondo, Ciudad Juárez sembrava  aver perso il primato dopo 3 anni consecutivi, a discapito della città honduregna di San Pedro Sula, fino a quando non si è scoperto che i dati statistici non erano veri, in quanto essi non tenevano conto del fatto che  nel frattempo i residenti a Juarez erano calati di   112.000 unità, probabilmente per le difficoltà a vivere in una città  permeata da continue violenze (in 4 anni di guerra della droga la città ha perso 212.000 abitanti, circa il 18% della popolazione).


Dal 1993 la città messicana è diventata tristemente famosa per le 4.500 donne scomparse e gli oltre 400 omicidi perpetrati ai danni di giovani donne, generalmente di umile estrazione sociale, per lo più impiegate nelle numerose maquiladoras; esse furono stuprate, torturate, mutilate, sequestrate, soprattutto per interessi schiavisti finalizzati a ogni genere di sfruttamento, ciò  in stretta relazione con un maschilismo divenuto, a causa della scomparsa di numerose vecchie tradizioni del luogo, del tutto patologico; la maggioranza di queste donne lavorava a basso costo in fabbriche in cui si producono tuttora  beni di esportazione assemblati, su fornitura di componenti di base statunitensi, il tutto esente da tasse, beni destinati a tutto il mondo occidentale. In queste fabbriche le condizioni delle lavoratrici erano e sono precarie. L’assenza di un regime fiscale e di un diritto del lavoro  in quelle fasce territoriali, è stato sancito con un accordo  tra il governo messicano e quello degli Stati Uniti che penalizzava il Messico. L’intesa tra i due governi, i cui contenuti dovevano essere provvisori, sembra che non sia stata più modificata.

In questa città è stato girato un film di denuncia sul femminicidio con Jennifer Lopez e Antonio Banderas intitolato Bordertown (2006), sostenuto dalla campagna di Amnesty International contro i delitti della città messicana.

 Un altro film che tratta aspetti della drammatica realtà di Ciudad Juárez, come l’immigrazione clandestina attraverso la frontiera di El Paso e i suoi aspetti collegati alla malavita locale, è Frontiera (1982), con Jack Nicholson e Elpidia Carrillo.

 Sono stati scritti molti libri sull’argomento, tra i quali “Huesos en el desierto” (“Ossa nel deserto”) di Sergio González Rodríguez.  

Inoltre l’artista  visiva   Elina  Chauvet  ha ideato il progetto d’arte “Zapatos Rojos”, realizzato per  la prima  volta a Ciudad  Juárez nel  2009  e portato in Italia nel 2012  dalla curatrice d’arte Francesca Guerisoli. In pratica il progetto  consiste nel disporre lungo un percorso urbano, sopra lunghi lenzuoli distesi sull’asfalto, ordinatamente, numerose paia di scarpe  rosse  da donna.  Ogni  paio  di scarpe rappresenta una donna e l’impronta di una violenza subita. Le scarpe rosse femminili sono  raccolte attraverso il passaparola e i social network, il messaggio racchiuso nel progetto reclama giustizia per le vittime di Juárez ed è diventato un simbolo importante, assai condiviso in Italia da quelle istituzioni, associazioni e cittadini che si ritrovano con una sensibilità comune uniti nella lotta contro la violenza di genere.


Una delle principali associazioni in difesa delle donne di Juárez è “Nuestras Hijas de Regreso a Casa“, che ha come fondatrici Marisela Ortiz Rivera (maestra di Lilia Alejandra Andrade) e Norma Andrade (mamma di Lilia Alejandra) che dal 2001 si battono contro il femminicidio di Ciudad Juárez.

Roberto Bolano, nel romanzo 2666 (edizioni Adelphi 2008) e precisamente ne La parte dei delitti, racconta il dramma delle morti seriali di donne nella città messicana di Ciudad Juárez. Nel romanzo la città messicana si chiama “Santa Teresa”.

Anche se dal 2012 il numero degli omicidi è diminuito, Juárez rimane una delle città più rischiose del mondo anche per i giornalisti e gli osservatori indipendenti.

I sopralluoghi fatti per questo film, Sicario, sono sembrati,  secondo alcuni recensori del web, addirittura una missione militare. Pare che un gruppo di federales sotto copertura, con mitra al seguito, ha fatto da scorta allo staff, che ha potuto trattenersi solo sei ore; il produttore Basil Iwanyk ha detto: “Viaggiavamo a bordo di un SUV bianco, perché solo la gente del cartello guida SUV neri e se ne guidi uno puoi diventare un obiettivo. Durante sei dure ore, il gruppo dei sopralluoghi è potuto scendere dalla macchina solo due volte … la cosa che colpisce di più di Juárez è che la vita continua: ci sono i bambini che giocano a pallone in strada, la gente che sbriga i propri affari quotidiani, ma nello stesso tempo incombe un velo di tenebre e criminalità”. Ai  federales  è stato chiesto: “Qual è  un  quartiere sicuro della città?”. La lororisposta è stata: “Il quartiere sicuro è dove non stanno uccidendo nessuno e quello pericoloso è dove stanno uccidendo qualcuno”.

Sembra anche da quanto appare nel web che la produzione non abbia filmato le strade di Juárez, ma abbia girato dall’alto e il paesaggio che vediamo è quello della vera Ciudad Juárez. La maggior parte delle riprese si sono inoltre svolte ad  Albuquerque, New Mexico; El Paso, Texas; Veracruz, Messico.


 Trama e commento del film

2014. Nel film la linea di confine tra Stati Uniti e Messico appare  densa di eventi criminosi, si combatte una guerra priva di ogni regola. Prevalentemente lo scontro è tra le diverse forze dell’ordine nordamericane, considerate più affidabili di quelle messicane,  e i cartelli del narcotraffico messicano succedutisi con la forza a quelli  colombiani.

L’agente Fbi Kate Macer (Emily Blunt), bella e dai modi compatti molto concentrati), addetta alla squadra antisequestri, appare motivata e desiderosa di far bene, la donna crede ancora nelle istituzioni.

Forse la donna è tra le più energiche e intelligenti del gruppo, ma agisce sempre in stretta coordinazione con gli altri, non vuole mettersi in evidenza rischiando di andare, per una fugace soddisfazione istintuale,  a discapito del gioco di squadra. Kate Macer  rispetta, per amore della professione, i compagni e le gerarchie.


 Un giorno la squadra fa  un’irruzione in un nascondiglio di criminali e dopo un violentissimo scontro a fuoco vengono scoperte, tra false pareti e avvolti nel nailon, numerose persone, sequestrate, torturate, uccise senza pietà. L’impatto per lo spettatore è molto duro, ma calcolato, esso in un certo senso prepara e introduce a una sceneggiatura che sarà via via sempre più caratterizzata da una violenza giustizialista.

Dopo questo blitz , condotto con grande maestria professionale, a Kate viene proposto di partecipare a un’operazione molto pericolosa e importante, tanto delicata da essere coperta da segretezza. La proposta arriva dall’agente speciale Matt Graver (Josh Brolin), con cui collabora il caratteriale e fosco Alejandro (Benicio Del Toro), figura ambigua con compiti nella missione non sempre molto chiari. Alejandro dà a volte l’impressione di avere in mente un piano di giustizia a livello del fai da te, fuori cioè da ogni procedura regolamentata. L’uomo è di origini messicane, e ha conosciuto sulla propria pelle, nonché per  osservazione indiretta, tutta una serie di orrori, e ripugnanze di ogni genere, che l’hanno profondamente trasformato, portandolo ad una freddezza nell’azione esecutoria fuori dal comune.

Alejandro nutre una misteriosa simpatia per Kate, ma non si lascia distogliere più di tanto da un interesse che considera effimero se non addirittura controproducente. Alejandro appare ossessionato dal desiderio di compiere un atto di vendetta eclatante, sulla base di un lucido piano  che qualcosa sembra dirgli che è fattibile.


 La lotta tra il bene e il male nel film sembra dunque necessariamente destinata a uscire dai classici statuti etici dettati dalle Costituzioni vigenti, spingendo le istituzioni poliziesche, verso una zona dove le regole sembrano essere divenute, rispetto agli obiettivi da raggiungere, un inutile inciampo.

 Ma l’agente Macer Kate, ancora troppo idealista per via delle poche esperienze acquisite sul campo,  non accetta questa realtà, in quanto quest’ultima non le appare ancora come inevitabile, e rimane quindi inorridita ogni qualvolta nelle azioni in cui partecipa viene meno il rispetto delle regole pattuite con le istituzioni e interiorizzate nella sua formazione professionale.

 Il suo capo la tranquillizza e la abilita ad agire in piena libertà d’azione, come se il fine, giunti ad punto di non ritorno per la propria vita, giustificasse i mezzi. Se si raggiungeranno gli obiettivi le istituzioni avranno la forza di coprire ogni illecito compiuto e di premiare la missione.


Ma Kate rimane perplessa anche se la situazione obbliga a scelte precise. La cosa principale da fare per andare avanti non lascia dubbi: mettere le mani sul responsabile massimo della carneficina a Jaurez, obiettivo che con le regole apprese a scuola difficilmente si riuscirebbe a centrare.

Occorre prelevare un criminale chiave, proteggerlo da assassinio da parte di terzi  e interrogarlo con libera licenza di agire, anche brutalmente, per ottenere nomi e luoghi che consentano di giungere al responsabile massimo dei delitti a Juarez; operazione complessa che porta l’azione fuori dal confine messicano, al di là dalla propria giurisdizione.

Sicario è un film girato in modo magistrale, e proprio per questo ancora più sconvolgente, fa provare intense emozioni, particolari, che un certo pudore impedisce che si tramutino in un piacere spettacolare. Alla fine si rimane presi dal film soprattutto per quel che ha mostrato di più significativo, e cioè l’altra faccia del benessere statunitense, quella che con una smorfia di dolore immane denuncia i falsi valori e denuda tutta l’ipocrisia del sistema liberale economico, in cui ciò che appare apprezzabile in termini di comodità e ricchezza raggiunte, e di diritti, ha sempre un alto costo per altre classi rese miserande  o altri luoghi funzionali al sistema.

Sono costi di vite umane perse, di sfruttamento selvaggio, di illeciti di ogni genere, di emarginazione, di povertà estrema, un costo pagato spesso anche dai paesi più deboli confinanti. Il film fa venire in mente che il benessere statunitense riguarda pochi,  e che spesso quando essi si guardano intorno non possono non sentirsi colpevoli.

  Biagio Giordano 

    
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