CINEMA: Paura e desiderio

RUBRICA SETTIMANALE DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO
Paura e desiderio

 RUBRICA SETTIMANALE DI CINEMA A CURA DI BIAGIO GIORDANO

Paura e desiderio

(Fear and desire)
Regia, fotografia, montaggio: Stanley Kubrick
Sceneggiatura: Howard O. Sackler, Stanley Kubrick
Soggetto: Howard O.Sackler
Musica: Gerald Fried
Interpreti: Frank Silvera (Mac), Kenneth Harp (Corby), Virginia Leith (la ragazza), Paul Mazursky (Sidney), Steve Coit (Fletcher), David Allen (narratore)
Produttore: (per la Stanley Kubrick Productions) Stanley Kubrick e Martin Perveler
Distribuzione: Joseph Burstyni
Produzione: USA 1953
Durata: 68’
Pellicola: B.N.
Recensione di Biagio Giordano
 
 

Per un errore di calcolo del tenente Corby (Kenneth Harp) un aereo con quattro soldati a bordo, appartenenti a  un esercito non identificabile, viene abbattuto dalla contraerea avversaria, i militari  si ritrovano paracadutati e vicini al fronte nemico in un località imprecisabile  dove scorre un fiume che attraversa il fronte nemico.

Per ritornare nelle loro  unità militari,  i quattro  decidono di utilizzare  la corrente del corso d’acqua, servendosi di una zattera costruita  con tronchi ricavati dagli  alberi della foresta. Mentre si accingono a preparare il mezzo per fuggire scoprono  con il binocolo un casolare sperduto con due soldati nemici dentro, attirati dai fucili presenti nella loro rastrelliera i quattro li assaltano all’improvviso uscendone vittoriosi.


 

Mentre si affrettano a ritornare sul punto di lavoro   scorgono a una certa distanza una bella ragazza che ritorna dal fiume dove  ha appena pescato in compagnia di altre donne,   i militari si nascondono tra i cespugli ma la donna insospettita dal rumore di un ramo spezzato li scopre, i quattro  sono costretti a legarla ad un albero con delle cinghie militari per  impedirle  ogni contatto col nemico.

  Uno dei quattro, Sydney (Paul Mazursky) viene messo a guardia di lei ma il militare teme che i suoi compagni non ritornino più,  la paura di essere abbandonato quindi lo invade con  terrore,  fino al punto da essere dominato da un delirio euforizzante che lo porta a vedere in quella  donna la madre, l’amica ideale, la possibile amante occasionale. La prigioniera (Virginia Leith)  nel suo immaginario diventa il tutto della creazione, ventre protettivo di una impossibile rinascita.

Con il delirio d’amore l’uomo  dimentica la difficile situazione in cui si trova, che non  gli permette  assolutamente passi falsi, e quindi Sydney  nel vano tentativo di trovare corrispondenza  fisica ai propri desideri  dà  da bere alla donna e la slega.

La donna appena liberata cerca di fuggire,  Sydney dopo averle urlato di fermarsi le spara uccidendola, dopodiché  inorridito per il tragico gesto  impazzisce del tutto e vaga senza meta per il fiume: divenuto ai suoi occhi di un colore rosso sangue.

In seguito il sergente Mac (Frank Silvera)  confessando le proprie frustrazioni patite nella  vita extramilitare  convince il tenente Corby  a elaborare un piano per  uccidere un generale il cui comando è stato localizzato nei paraggi; l’impresa se portata a buon fine non sarebbe passata inosservata dai superiori che avrebbero conferito loro onori e prestigio.

Il piano prevede che Mac arrivi con la zattera fin dietro le  spalle avversarie  e inizi poi a sparare in aria  insultando  i soldati nemici posti a difesa del generale,  così provocati essi si sarebbero riversati lungo il fiume consentendo a Corby e Fletcher (Steve Coit) di trovare il tempo necessario  per uccidere il generale e il suo aiutante.

 Tutto procede come previsto ma prima di sparare i due si accorgono, guardando con il binocolo, che il generale e il suo aiutante hanno i loro medesimi volti, un doppio voluto da Kubrick probabilmente per sottolineare l’unanimità della ferocia che caratterizza le guerre.


 

L’impresa seppur  a caro prezzo riesce, i due impadronitisi di un aereo a due posti fermo sulla pista della zona nemica  riescono a ritornare sani e salvi tra le loro fila, successivamente aspetteranno  sulla riva del fiume l’arrivo, drammatico, della zattera con sopra Mac ferito a morte e Sydney delirante.

Fear and desire è il primo lungometraggio di Kubrick che dopo 3 cortometraggi, “Day of the Fight”( Il giorno del combattimento, 1949), “Flyng Padre” ( Il padre volante, 1951), “The Seafarers” ( I marinai, 1952), gira un film antimilitarista di 68’ i cui temi, con varianti sempre molto personalizzate e originali lontane  da quanto visto al cinema fino ad allora e dalla letteratura scritta,  verranno  poi ripresi da Kubrick con una certa frequenza.

In Fear and desire il lavoro del regista inglese  si fa onore soprattutto nella fotografia,  sia per quanto riguarda le composizioni sia per  gli effetti di luce e ombra sui volti dei personaggi e sulle cose che conferiscono all’ambiente modulazioni espressive di rara intensità e variabilità.

Una fotografia decisamente espressionista che ricorda i grandi film tedeschi degli anni’20 e che Kubrick gradualmente nei film successivi abbandona, prediligendo messe a fuoco lunghe, profondità di campo illimitate, esasperate, contrasti sui volti meglio definiti, chiarezza espressiva in ogni particolare quasi sempre ai vertici di una maniacalità geniale che lo caratterizzerà per tutta la vita creandoli anche grossi problemi professionali con attori di grande valore..


Nonostante le numerose critiche e stroncature su questo suo primo film, accusato da più fronti di pretenziosità filosofica, verbosità e sceneggiatura approssimativa, accuse da Kubrick  stesso approvate  con una spietatezza verso di sé che rasenta il masochismo, Paura e desiderio  è un buon film.

Il talento di Kubrick è già leggibile in più punti, con una certa chiarezza, basti pensare al modo di riprendere della telecamera,  presa in affitto e priva del sonoro, che è in tutto il film sempre curatissimo; mai infatti la vita visiva  di una scena importante è ripresa da un solo angolo o da due con il campo e controcampo, ma sempre da innumerevoli e svariati punti di vista che ne moltiplicano le tonalità  eloquenti dando  allo spettatore la sensazione di essere in mezzo alle scene e di spostarsi magicamente tra di esse insieme ai movimenti della  telecamera.

Due le sequenze fotografiche da antologia, la prima riguarda lo scorrere della zattera sul fiume con sopra il sergente Mac che si accinge a mettere in pratica il piano per assassinare il generale, l’uomo in piedi e con un grosso remo d’albero tra le mani sa quanto rischiosa è l’ azione che sta intraprendendo e trova  il tempo  per pensare al senso esistenziale del suo gesto, delirando grandezze epiche, ignorando la  logica  nevrotica della sua impresa in cui  l’impasto pulsionale vita e morte arriva  a una sintesi che gli consente l’eroicità di un gesto. Un’impresa trasgressiva, svincolata da ogni disciplina militare,  mossa dall’impellente necessità di  affermare se stessi  giocandosi tutto in pochi minuti, un’azione che a un certo punto diviene cieca, immemore di tutto,  comparabile a un orgasmo  a lungo vagheggiato da un desiderio irrefrenabile.


E’un’ inquadratura fotografica  sbalorditiva perché condensa mirabilmente ciò che sta per accadere: il mistero esistenziale della morte, la grande emozione del rischio, l’esaltazione di Mac per il potere di fare storia attraverso un omicidio importante,   tutti elementi che si riflettono  magicamente sul volto di Mac, attraverso il gioco luci-ombre espressionista, con delle pieghe muscolari-facciali diverse da tutte quelle viste in altre circostanze sceniche del film che testimoniano la riuscita messa in campo di un linguaggio ricco a lungo ricercato.

E le luci incerte dell’imbrunire sembrano preannunciare un delitto inutile, altamente drammatico,   un’atmosfera  potenziata  dal movimento della macchina da presa su Sydney dal basso verso l’alto che  aumenta l’incanto e lo stupore visivo per il personaggio.

La seconda scena capolavoro che mette definitivamente in luce il grandissimo talento visivo del venticinquenne  Kubrick, ha per oggetto l’arrivo della zattera tra le fila  del proprio esercito, con Mac ferito gravemente e Sydney che canta su un bordo una melodia delirante.  

Corby e Fletcher li aspettano sulla sponda del fiume, ansiosi della loro sorte.

La zattera esce all’improvviso da una fitta nebbia, il corpo di Mac è riverso supino tra gli assi di legno, imponente, svenuto, e Sydney su un angolo della zattera proferisce frasi senza senso con lo sguardo rivolto verso le acque del fiume; la sensazione che  la scena trasmette è di un impresa riuscita, giunta a termine con un sacrificio immane, sproporzionato, pure capriccio nei personaggi di pulsioni di morte nate e cresciute  nel contesto  violento e feroce della vita militare in guerra.

L’antimilitarismo di Kubrick è leggibile tra le righe delle principali  scene, precisamente in alcuni  loro punti di alta tensione,  soprattutto nella scena dell’uccisione del generale, che dopo i primi spari, rimasto ferito ma in vita invoca agli assassini l’accettazione della propria resa, ma verrà barbaramente ucciso. Un atto criminale verso il nemico che testimonia la disumanità senza speranza della  guerra.

L’omicidio della donna è l’elemento più sconvolgente del film, fa pensare per allegoria e metafora alla eliminazione della madre, a un matricidio ben strutturato nell’inconscio di Sydney che alla prima occasione regressiva si manifesta in tutta la sua potenza prendendo il sopravvento sull’Io del soldato e invadendo tutta la sua sfera cosciente.

La sua è in certo senso l’uccisione  della madre guerra, il cui padre, vero responsabile dei conflitti, rimane un milite ignoto, lontano da tutti, mascherato, pura forza oggettiva da cui tracima quell’odio impersonale che forse è più antico dell’amore.

BIAGIO GIORDANO

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