Cinema: LE BELVE
RUBRICA SETTIMANALE DI BIAGIO GIORDANO
In sala nella provincia di Savona
LE BELVE
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RUBRICA SETTIMANALE DI BIAGIO GIORDANO
In sala nella provincia di Savona
LE BELVE
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Regia: Oliver Stone
Titolo originale: Savages
Nazione e Anno: U.S.A., 2012
Genere: Drammatico, Thriller
Interpreti: Benicio Del Toro, Salma Hayek, John Travolta, Blake Lively, Aaron Johnson, Taylor Kitsch, Trevor Donovan, Emile Hirsch, Joel David Moore, Demián Bichir
Distribuzione: Universal Pictures Italia
Produzione: Ixtlan, Onda Entertainment, Relativity Media.
Durata: 113 minuti
Tratto dal libro “Le belve” di Don Winslow
Recensione di Biagio Giordano
In sala nella provincia di Savona
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Il film narra delle vicende di due giovani e coraggiosi impresari americani di Laguna Beach, nel sud della California, di nome Ben (Aaron Johnson), Chon (Taylor Kitsch), e della loro splendida amante bionda tenuta in comune: Ophelia ( Blake Lively). I tre, benestanti, vivono in una lussuosa villa a picco sul mare, si sono arricchiti coltivando in apposite serre, a ridosso della fastosa abitazione di residenza, diversi generi di stupefacenti, di indubbia qualità, alcuni provenienti originariamente anche dall’Afganistan. Ben è alla ricerca di un buddismo tagliato su misura per lui, una sorta di benevole e utile credenza che diventi compatibile con la tendenza del suo pensiero verso lo spiritualismo, qualcosa che nello stesso tempo sia conciliabile con i suoi desideri più affaristici e a volte oscuri. Ben con le donne cerca spesso l’amore, dolce e un po’ materno. Chon invece, il suo migliore amico, ex Navy Seal (forze speciali USA impiegate anche nella ultima guerra nel medio oriente), fa periodicamente affari con la droga in Afganistan e in America mostrando grinta e pistola, uccidendo, se è il caso, senza pietà. Con le donne ama fare soprattutto sesso, in una forma molto virile che sfocia inevitabilmente nel maschilismo. I tre attraversano un momento di grande soddisfazione professionale che alimenta puntualmente anche la loro gioia di vivere divenuta travolgente. Essi producono e vendono da tempo, per il mercato farmaceutico e per quello proibito, la migliore marijuana in circolazione. Un giorno Chon vede recapitata sul computer un email con link-video che mostra una esecuzione raccapricciante di persone, appena avvenuta: il pavimento di una stanza fatiscente appare ricoperto di teste umane decapitate. Dopo un attimo di perplessità l’uomo capisce che quel video è un avvertimento, probabilmente spedito da qualche importante concorrente, attivo sul mercato della droga; Chon sa che il video è finalizzato a ingenerare nei tre una forte paura. E infatti la costruzione di un’atmosfera minacciosa con quel video è pienamente riuscita, qualcosa di terribile che promette di arrivare a chiarimento da un momento all’altro sta per accadere. Si fa subito vivo il cartello dei trafficanti della Mexican Baja che decide di interferire nei progetti di vendita dei tre proponendo un accordo amichevole finalizzato alla spartizione di un mercato della droga che può diventare più ampio. I tre rifiutano ogni sorta di impegno con la Mexican Baja, la quale seccata per tutta risposta inizia una attività criminogena nei loro confronti rapendo la donna dei due: Ophelia. |
La perfida e bella Elena (Salma Hayek), capo assoluto del cartello, e Lado (Benicio Del Toro), il suo spietato braccio destro, pensano di poter avere la meglio sui tre concorrenti usando la forza del ricatto. Chon, Ben, Ophelia, non hanno per reagire che l’aiuto dell’agente della DEA Dennis (John Travolta) un tipo ambiguo e non proprio affidabile. La battaglia diventa furibonda, Ben e Chon giocano d’astuzia e di decisioni improvvise ma la loro impresa appare subito disperata. Riusciranno i due a recuperare viva la loro donna, Ophelia, e a riprendere la bella vita di prima dopo aver sconfitto il cartello messicano della droga? Il film è tratto dal libro omonimo del famoso scrittore Don Winslow, si presenta a sorpresa come un genere filmico del tipo thriller-ironico, ponendo le scene più cruente e spaventose in un meccanismo narrativo paradossalmente estetico, inedito per il cinema, una sorta di trappola letteraria che riesce a nascondere allo spettatore il vero genere del film fino quasi all’ultimo. |
La pellicola è firmata da Oliver Stone, un autore dai toni politicamente neutrali ma finemente progressista nelle opinioni che più frequentemente esprime. Un regista non più giovane ma che riesce a dare nei suoi film, tra mille difficoltà tecniche, uno spessore comunicativo e artistico di grande valore cinematografico. Un uomo di larga inventiva letteraria che ama oltre alla forma anche i contenuti a cui dà spesso veicoli di trasporto tecnico innovativi, non privi di grande suggestione, caratterizzati sovente da una incidenza cronachistica e investigativa di tutto rispetto che diventa una sorta di denuncia con il cinema dei maggiori mali sociali e incoerenze etiche della società, dei costumi e delle istituzioni in cui viviamo: un orizzonte tematico vasto riferito a una realtà di cui lui è sempre un attento e sensibilissimo testimone oculare e intellettuale ( vedi i più noti Gli intrighi del potere, JFK Un caso ancora aperto, Nato il 4 Luglio, Platoon, Salvador, etc.). Numerosi in questo film i meccanismi letterari e i modi di narrare nuovi per il cinema, dovuti in parte al libro e in parte alla creatività instancabile del regista. Come quando la narratrice del film, Ophelia, direttamente interessata alle vicende, si presenta all’inizio del film introducendo la propria storia in modo inedito. Essa mette in guardia lo spettatore dall’avere la certezza di credere che lei in quel momento sia ancora in vita: quel che racconta potrebbe essere in un video, e quindi lei forse è già morta oppure reclusa da qualche parte per dei reati commessi? Non ci sarebbe niente di strano se ciò accadesse nel cinema con una certa frequenza ma in realtà in quella forma e contesto da thriller storicamente proprio non risulta. Questo piccolo congegno letterario alimenta la fantasia da aspettativa dello spettatore togliendoli ogni certezza, facendolo precipitare in un difficile labirinto di percorsi letterari molteplici di cui per lui è molto difficile individuare o indovinare, intuire l’unica uscita, cioè la fine del film. Per lo spettatore questo comporta il rischio di dover ammettere a se stesso l’impossibilità di prevedere il finale, di dichiararsi perciò non più vincente nel gioco estetico del precorrere, anticipare fino alla fine il senso del filo conduttore narrativo, di prevedere il modo con cui verrà sciolto il nodo principale messo su dalla sceneggiatura. A un certo punto quindi il possibile effetto per lo spettatore è di dover subire tutta l’autorevolezza fascinosa del film, di dover giacere immobilizzato sulla poltrona in completa balia dei personaggi. Una sorta di sconfitta apparente, in questo modo ritrova, inaspettatamente, il gusto pieno dell’attesa dello scioglimento dei nodi, di vedere cioè, come se fosse nei panni di un privilegiato signore invitato in sala, il destino finale dei personaggi, di godere esteticamente del contrasto tra soluzione dell’enigma e aggrovigliamento dei fatti appena osservati e in un certo modo vissuti con ansia. Un altro elemento innovativo del film d’azione Le belve è il finale a ventaglio, composto da diverse sequenze finali separate l’una dall’altra, di cui non si sa quale sarà quella vera, perlomeno finché non si esauriscono gli ultimi metri della pellicola. Lo spettatore, non vedendo la pellicola scorrere o il disco digitale solcato dal laser, non si rende conto di quanto tempo rimanga alla fine e quindi può essere sorpreso a pochi secondi della fine da una ennesima sequenza finale: quella vera. Nel libro invece questo meccanismo estetico non può funzionare perché le pagine scorrono tra le dita fino ad arrivare all’ultima. Le diverse possibilità di chiudere un film sono legate un po’ ai vari gusti per il finale che può avere lo spettatore, appositamente sondate: dalla vittoria della giustizia alla punizione più estrema per chi commette reati gravi, dal trionfo dell’amore pur se trasgressivo al trionfo della coerenza etica a dispetto di ogni sentimento passionale individualista. Il film sta avendo un buon andamento negli incassi, a testimonianza del fatto che un buon film d’azione, con pensieri esistenziali qua e là validi, e modi di essere dei personaggi finalmente presentati al pubblico con una certa profondità, può avere successo, andando quindi contro la tendenza di oggi a fare film con profili scarni dei protagonisti finalizzati a mettere sempre al centro del film gli effetti speciali più eclatanti, sensazionali, indubbiamente spesso pregevoli ma privi di spirito. Il cinema con questo film sembra voler lanciare un grido di allarme correttivo, più ci si allontana verbalmente dai modi teatrali di rappresentare i rapporti tra i personaggi, più c’è il rischio di essere in qualche modo privati di una identificazione spirituale con gli attori del film, rimanendo prigionieri dell’estetica dell’azione altamente tecnologizzata che soddisfa solo una parte delle complesse esigenze dello spettatore. |
BIAGIO GIORDANO |