Celle Ligure: Gli Spotorno “i Gambadüa”

GLI ‘SPOTORNO’ DI CELLE
Sono numerosi i Cellesi che portano il cognome ‘Spotorno’, discendenti da diramazioni varie. Famiglie anche numerose, da nonni a nipoti, delle quali si sa poco o niente, non essendo note ricerche degli ascendenti.
Ve ne sono però due di notevole portata e di ambiti totalmente diversi.
Una, quella degli Spotorno-Richetti di Pecorile che ha forti segni nella Storia, in particolare del Papato, di Sisto IV, e risale al 1500: capostipite Spotorno Geronimo Antonio con cinque figli e discendenze che giungono fino ai nostri giorni. Di essa si può leggere nel libro di Michele Manzi, appunto di mamma Spotorno, ‘La Savona dei Papi’ (Erga edizioni Genova), di recentissima pubblicazione di cui, in seguito, offriremo stralci.
L’altra, gli Spotorno, vulgo ‘i Gambadüa’ ( ‘u’ francese o ‘ü’ tedesca ), raccolta da Guglielmo ‘Gugi’ Spotorno, nipote del capostipite, ricalcante le tante storie di uomini tosti e straordinari, che hanno solcato i mari in modi impervi, e cavalcato il nuovo mondo: tentando di lasciar- si alle spalle la disperazione dei tempi allora correnti, mettendoci braccia e pelle, e pure ossa… agli immediati discendenti, i più coraggiosi, e pure temerari, ma certamente dotati, per aver raggiunto livelli di elevate eccellenze. Di alcuni di essi, abbiamo già scritto su queste pagine…

GLI SPOTORNO ‘I GAMBADÜA’

Domenico Spotorno

Prima parte
Capostipite Domenico Spotorno (1.10.1856 – 31.8. 1929) sei figli
Una famiglia di troppe femmine: tre vanno spose a Dio, suore dell’Ordine delle Gianelline, forse per proseguire l’apostolato dello zio Lonardo, sacerdote, morto giovanissimo (1865-1888): Ene (1894-1968), Maria (1897-1937) e Angiolina (1898-1945), e Ester (1909-2019), “sposata ai due fratelli”, Francesco (1901-1991) e Giovanni (1905-1991)”. Tutti nati da Giulia Mordeglia (1865-1945) “Nonna Giulia, moglie ‘du Gambadùa’” – a lei intestata la villa del Lavadore, dove il nipote Guglielmo’Gugi’ Spotorno, che mi racconta (suo lo scritto in corsivo), risiede, vive e lavora – “ricordata a Celle come ‘santa donna’, con troppi figli, e che quando nonno Domenico morì le lasciò la povertà e solo il tempo di una benedizione…”.
E prende di piglio.
Ho scritto e scrivo del mare. Non a caso, se ha ragione Anassimandro quando scrive che gli uomini derivano dai pesci. Ed io, un po’ mi ci ritrovo, proprio partendo da nonno Domenico, che a dodici anni si imbarcò a Cardiff il 23 maggio 1874, su un tre alberi che di ‘Fortuna’ aveva solo il nome. Nei mari dell’Inghilterra è caduto da un albero dove era corso ad arrampicarsi per sbrogliare una vela. Gli hanno ‘sistemato’ una gamba di legno. Tornato a Celle i paesani lo chiamarono ‘Gamba-dura’.
Fisicamente era resistente e scabro come un ulivo, capelli e barba rossa, due occhi azzurri intensi e con tanta forza nelle braccia da affrontare chi aveva il coltello.
Non era un filosofo, ma un ligure tosto. Non sapeva scrivere, ma era un ‘guru’ del mare. Così finisce che io, filosofo e uomo di mare, mi trovo di mezzo. E lo vorrei qui, il nonno, seduto davanti a me… a raccontarmi il perché, il come e il quando di Capo Horn, che nei suoi viaggi sul brigantino “Fortuna” incontrò più volte…
L’altro nonno, da parte di mia madre, è Guglielmo. Non l’ho conosciuto anche se porto il suo nome”

Il brigantino “Fortuna”

Poi precisa
“Nella famiglia in cui sono nato – riporto alcune righe da un libro di mio fratello Giandomenico ‘Gianni’ sulle ‘Burocrazie del battesimo’ – c’era una tradizione: dare i nomi ai nascituri secondo una scala gerarchica ben precisa e prestabilita. Al primogenito (o primogenita) il nome del padre di lui o madre di lei, poi viceversa. Erano ammessi piccoli aggiustamenti se il nome era stato già usato da qualche fratello dei genitori (ad esempio Franco al posto di Francesco, Giandomenico al posto di Domenico) per non incorrere in una totale confusione. È certo che allora non esiste- va il pericolo del nome ‘datato’ o d’origine televisiva. Poi, una volta abbinato, il nonno, commosso e orgoglioso, si preparava ad avere un occhio di predilezione per questo nipote piangente e indifferente a tanta scelta. Ma quasi mai le vicende della vita lo permettevano…”.
Altri tempi.
CONTINUA

da A Civetta

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