Calimero 5 Stelle
Calimero a 5 stelle
Avevo promesso di finirla coi sassolini, ma mi è rimasto in saccoccia ancora un po’ di vittimismo e autocompatimento.
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Calimero a 5 stelle |
Avevo promesso di finirla coi sassolini, ma mi è rimasto in saccoccia ancora un po’ di vittimismo e autocompatimento.
Così viene definito infatti, da avversari ma ancora più da falsi amici, qualsiasi tentativo di protestare contro la valanga di scorrettezza, insulti, calunnie, realtà deformata, piccole e grandi insinuazioni che ci viene gettata addosso costantemente, a 360°, da che abbiamo iniziato a essere un evidente pericolo per tanti comodi interessi, rendite di posizione, affari incrociati. Difendersi è difficile, in questo stillicidio: negare, protestare a volte significa attirare l’attenzione su qualche invenzione assurda che altrimenti passerebbe inosservata, o dare l’impressione di avere elementi da scusare o da nascondere. Ignorare può dare l’impressione che allora ci sia qualcosa di vero, che non possiamo contestare. In ogni caso, la mole e la provenienza degli attacchi è tale e tanta che è umanamente impossibile contrastarla. Prima delle politiche aveva funzionato benissimo il non andare in tv e affidarsi a Grillo dal palco. Ma raggiunto il massimo risultato possibile in quelle condizioni, veniva il difficile. Molti ci avevano votato nell’ingenua convinzione che sarebbe cambiato tutto, di botto, in un giorno.
Venne il periodo della pietosa lagna “alleanza con Bersani”, cosa del tutto impossibile, neanche voluta dal Bersani stesso. Ora i fatti ci danno ragione: chi, nato con premesse simili alle nostre (senza avere il pregio/difetto/peculiarità del primo motore e garante Grillo) come Syriza o Podemos, tenta accordi con altre forze tradizionali, non ne ottiene una più facile e rapida scalata al potere, bensì il declino, perché l’idea stessa di rinnovamento viene meno e rapida è la disillusione. Difficile però farlo capire allora, come difficile, quasi impossibile da credere, che il boicottaggio e l’ostracismo nei nostri confronti fossero così vasti e altolocati, partendo dalla più alta e ahimè riconfermata carica dello Stato. Niente, se non riuscivamo a influire “con tutti quei parlamentari” era senz’altro colpa nostra. Molta gente, disse un giorno Grillo sottovoce in un momento di sfiducia, ci ha votato per sbaglio, senza avere realmente l’intenzione di influire e di cambiare, senza abbracciare la nostra idea di impegno e attivismo. E venne il tempo dei dissidenti, lo “scandalo” delle espulsioni peraltro sacrosante.
Il fatto che quella nostra percentuale di votanti si sia mantenuta sostanzialmente stabile, con alti e bassi, fra 20 e 25% su scala nazionale, fino a poco tempo fa, può indurre qualcuno in errore, pensare a un MoVimento solido ma fermo che ha già raggiunto il massimo possibile e può solo calare. Tutto il contrario, credo: una parte dei votanti delle politiche ce li siamo giocati in quell’equivoco iniziale. Abbiamo dovuto faticosamente conquistare altri consensi o riconquistare quelli perduti. Un fermento, un viavai. Venne la grande disillusione delle europee. Si credeva che il Paese fosse maturo per il cambiamento, soprattutto trattandosi di elezioni per influire sui grandi schemi, sulle decisioni internazionali, dove una forza giovane, entusiasta e innovativa poteva fare la differenza, senza le cautele che si rivolgono per una amministrazione diretta, dove l’immaturità e l’inesperienza possono costare cari. Era l’occasione buona per metterci alla prova senza rischiare troppo, insomma, e speravamo fosse accolta.
Ma era stato commesso un errore di fondo: il sistema, accorgendosi che l’impopolarità di Letta seguiva a ruota quella di Monti, e che ci si spalancavano praterie, aveva giocato in anticipo la carta Renzi, che teneva in serbo da un po’. Noi non ci rendemmo conto che occorreva cambiare strategia. Tutte le denunce, le proteste, le proposte con cui combattevamo i famigerati governi di unità nazionale, non valevano per Renzi, che godeva di un marketing differente, che si presentava come il nuovo (pur non cambiando nulla nella sostanza, se non la maggiore spregiudicatezza nell’agire, nel rispolverare un Berlusconi ormai estromesso e nello scegliersi gli alleati più discutibili, favorito da una opposizione interna a dir poco imbelle). Così ci fu quel tragico 40%, così clamoroso da preoccupare lo stesso PD. Ma ci fu un altro dato percepito come disturbante: che a dispetto di questo uragano, non ci mantenessimo comunque sul 20%.
Il sistema aveva giocato l’asso, per far saltare il banco, ma aveva solo vinto una mano. Una mano importante, ma non quella decisiva. Anzi: affrettare i tempi, azzardare troppo senza schiantare l’avversario comporta effetti boomerang a lungo termine. E ora iniziamo a vederli. Da noi ci furono assestamenti, cambiamenti anche dolorosi, revisioni di strategia, come l’andare in tv o accettare i personalismi. Qualche purista della prima ora (io fra tanti) storse il naso. Ma questa è un’altra storia. Ci furono tentativi di andare a parlare ad altri settori dell’elettorato, tentativi a volte anche discutibili nella semplificazione, e che diedero fiato alle trombe dei detrattori e dei cantori dell’accusa di populismo. Senza rendersi conto che qualsiasi forza politica, di destra centro sinistra sopra sotto, quando va in cerca di maggior ascolto e consenso e non si rinchiude in una torre di avorio pseudo intellettuale, DEVE per forza semplificare e diversificare il proprio messaggio. Ma niente, gli snob in malafede inorridiscono sempre, tutti contenti magari dei loro piccoli recinti supponenti che non hanno mai influito una cippa sul corso degli eventi. Il sistema contrattaccò con l’onnipresente personaggio Salvini, il babau buono per tutte le stagioni, l’opposizione dura a parole e a volte becera, ma perfettamente inciuciante. Come a dire: contrapponiamo un populismo a un altro. Operazione riuscita solo in parte. Per noi vennero il direttorio, il passo di lato di Grillo, fino alla triste dipartita di Casaleggio. Si pensava questo rappresentasse un colpo decisivo, che fossimo disorganizzati, confusi, dilaniati da lotte intestine, scambiando le bizze periodiche (come dico sempre, a orologeria) di Pizzarotti per divisione interna. Neanche per sogno: le amministrative hanno invece segnato un importante traguardo. Chi ci giudica a partire da pregiudizi, e non da dati di fatto obiettivi, è destinato a trarre conclusioni sbagliate. Noi NON lo siamo, confusi e disorganizzati, ma proseguiamo sereni nelle nostre indipendenze. La nostra non-organizzazione e quei quattro principi ferrei su cui ci basiamo tracciano la rotta, senza bisogno di alcuna ipotetica “Spectre” alle nostre spalle.
Chi ci aveva dato tante volte per spacciati, per avviati sulla china discendente, un fenomeno meteora del panorama italiano, era ed è destinato a essere smentito. Questo è un fatto. Perché non solo i nostri principi, ma anche le nostre idee sono solide e costruite nel tempo. Altro che populismo: un nuovo modello di sviluppo, tecnologico, sostenibile, corretto, che offra speranze e alternative per il mondo che verrà. Post ideologico è diverso da qualunquista, populista, privo di ideologie: vuol dire costruire idee adeguate alla situazione in cui siamo e all’evoluzione futura, dove vecchie distinzioni mostrano la corda, sono superate dall’evolversi della scienza e della società. E sapete che succede? Avete presente la frase di Gandhi: prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono, poi vinci? Ecco, quando ignorare e deridere non basta più, quando si è allo stadio tre del combattere, il rischio aumenta: se non si è perfettamente efficienti nell’annientare, si attira l’attenzione sull’avversario, facendolo conoscere a più persone, facendoli interessare (ma chi sono questi di cui parlano tutti così male? Andiamo a vedere cosa fanno di terribile…) e ottenere effetti controproducenti, non appena le persone cercano fonti diverse, fra i conoscenti o in rete. E più si intensifica il cannoneggiamento, a livelli mai visti, di attacco personale, di livore, furore, calunnia, alzando il tiro ogni giorno, fino al parossismo, e più si ottiene l’indesiderato effetto opposto. E’ accaduto per la Raggi a Roma: sui social, ho visto sempre più persone prevenute e ostili ai 5 stelle cambiare lentamente idea, di tanto era plateale la persecuzione. Ora il momento è interessante: a Renzi non basta avere dalla sua praticamente la totalità dell’informazione italiana, ossequiosa e celebrante. Il personaggio inizia a mostrare la corda, a rivelarsi di corto respiro, ingombrante nella sua spavalderia e nullo nella sua spregiudicata inconsistenza. Gli effetti nefasti del prosieguo delle politiche liberiste, strangolatrici e filobancarie si sentono a tutti i livelli. I referendum incombono. Le favolette dei 5 stelle solo protesta iniziano a essere smentite. Qualcuno ci prende sul serio, anche fuori dall’Italia, nonostante la disinformazione continui imperterrita. Le crisi nazionali e internazionali si acuiscono. E’ una grande sfida: crescere, smentire finalmente nei fatti tutte le falsità e i boicottaggi nei nostri confronti, col buon senso, la pacatezza e il buon governo, semplicemente, oppure venire travolti. Sono fiduciosa: ormai siamo abituati alle tempeste. In ogni caso, poter mantenere la testa alta e il sorriso comunque, è una gran cosa.
Alla lunga ci ripagherà di tante amarezze immeritate, di tante accuse assurde riproposte a pappagallo che ci hanno avvelenato la vita. E’ dura, quando sei una persona corretta, disinteressata, piena di buona volontà, inghiottire sempre tanta ingiustizia plateale, esibita, sbeffeggiante. Grillo e Casapound. Due battute ironiche scambiate su una piazza di Roma, in coda per un adempimento elettorale, diventano apertura, ammiccamento, alleanza. E niente, quel filmato è riproposto, e riproposto, e riproposto…. mentre passano inosservate tutte le aperture, quelle sì, reali, del PD, a Casapound, per esempio. Grillo e Farage. Apriti cielo! La semplice necessità di costituire un gruppo per poter influire al parlamento europeo senza essere semplici osservatori, ed essersi andati a cercare chi garantiva indipendenza e voti separati, anziché accettare l’abbraccio mortale dei Verdi inseriti nel sistema, ci ha fatto diventare di colpo nazifascisti pericolosi. Tirandoci dentro a ogni costo la Le Pen buon peso, pur se abbiamo sempre rifiutato decisamente qualsiasi accostamento o apparentamento con quella destra francese, e Grillo ha sempre rifiutato di incontrarla. Quando basta guardare bene l’accozzaglia dei principali gruppi parlamentari europei, per trovarci alleanze e inserimenti altrettanto discutibili, tipo gli ungheresi di Orban con la Merkel, o vari nazionalismi.
Ora poi con Brexit figurarsi… si va a nozze. Fino al voto sul no all’uscita immediata della Gran Bretagna. Ecco, strillano i media: grillini con le destre, con Farage, con la Le Pen. Dimenticandosi, in questo come in altri casi, di indicare chi altri aveva votato nello stesso modo all’europarlamento. Per esempio, in questo caso, la Barbara Spinelli eletta con Tzipras e il gruppo di sinistra Gue. Ma il particolare, il particolare fa la differenza… Che la Raggi giustamente nel suo gravoso compito riceva consigli e aiuti dal direttorio e da parlamentari, è “commissariamento”. Che Renzi nella duplice veste di Presidente del Consiglio e di Segretario del PD faccia e disfi a suo piacimento, fino a cacciare persone che non la pensano come lui, a sostituirli nelle commissioni se non votano come piace a lui, a dettare legge e candidati e programmi, è normale politica di partito. Andiamo avanti così. Ormai l’overdose di insulti ci passa sopra, ci ingrassa. All’ase giastemou ghe luxe u pei. Ecco, così ho dato sfoggio di dialetto, di vera savonesità, visto che su questi fondamentali temi si è giocata sui media la campagna delle comunali, sulla conoscenza del dialetto dei candidati, penalizzando il nostro Diaspro che vive a Savona da più di vent’anni ed è sposato con una savonese, per esaltare due candidate che neanche si ricordano i quartieri, una di Varazze e l’altra che vive a Genova da tempo.
E poi le notizie sul M5* e le nostre azioni in Consiglio Comunale minimizzate, nascoste. E poi il titolone “svarione di Diaspro” in un altro articolo basato su un fondamentale quiz di notizie savonesi, quando andando a leggere si scopriva che non c’era stato nessuno svarione, che se l’era cavata come gli altri se non meglio di alcuni. Particolari, come un altro nostro candidato definito nell’articolo “attacchino” perché andava di persona a incollare i manifesti sulle plance come tutti noi. Tutto per ridicolizzare, minimizzare, visto che è giovane. Voglio vedere se avrebbero etichettato così un qualsiasi boiardo del centro destra o centro sinistra. Tra l’altro il fatto che l’incollaggio fosse diventato una moda per gli altri, copiata malamente da noi come parti del programma (programma? Ma non si era detto che i 5 stelle non avevano un programma?) fino a una foto altamente improbabile di candidata ben vestita e sorridente con pennello in mano accanto alle plance… veniva assolutamente preso sul serio senza evidenziarne il grottesco. Per noi battutine, sorrisetti, epiteti, dubbio implicito di dilettantismo e improvvisazione. Per gli altri rispetto e considerazione a prescindere, anche di fronte alle cadute più eclatanti. Ogni genere di trucchetto, anche impercettibile, per ridimensionarci comunque, per eroderci un pochino alle fondamenta. Mica è cessato nel dopo elezioni. Nel mentre ci si profonde in ossequio per la nuova Sindaco, guardandosi bene dall’evidenziare la goffaggine e il commissariamento esterno della nuova abbozzata Giunta, nel mentre si osserva con curiosità da entusiasti entomologi l’agitarsi del Pd allo sbando, noi dobbiamo scomparire.
“L’eletta più giovane del Consiglio”. Quando abbiamo fatto notare che veramente il più giovane è il nostro Meles, la risposta è stata: sì, ma intendevamo la più giovane del centro destra. Imperterriti, l’allusione diventa un articolo a parte, con foto. Più giovane del centro destra è detto solo nel testo, mentre il titolo ribadisce la più giovane e basta. Persino un articolo su un sito locale che nomina gli eletti con le preferenze individuali, le mette corrette per tutti e a noi le sbaglia riducendole a un quarto. Semplice distrazione? Lo facciamo notare, dicono di aver corretto, non correggono. Anzi, un articolo successivo sullo stesso argomento ripete l’errore. Tutto, tutto per minimizzare e sminuire, far capire che non contiamo niente, farci cadere nell’oblio, scampato il pericolo elezioni. Ho citato solo alcuni minimi esempi, ce ne sarebbero molti altri, subliminali ma significativi, che abbiamo collezionato in questa campagna elettorale. Subliminali vuol dire che si spera raggiungano l’effetto condizionamento, come la pubblicità, senza che le persone si accorgano di esserne influenzate e senza che chi ne è danneggiato abbia elementi per protestare. Tecniche giornalistiche molto abili e consolidate per manipolare. Ma non crediate che funzioni per sempre. Non sapete quante persone ho incontrato, persone comuni, non necessariamente nostri elettori, che chiacchierando con me sui risultati mi hanno detto, costernate: però certi giornali e siti cittadini vi hanno trattato proprio male! Intendendo in particolare un giornale e un sito cittadini. Le persone hanno mangiato la foglia. Alla lunga il contrasto fra le nostre attività di piazza con tutti i tempi, l’impegno, i sorrisi, gli incontri, il parlare coi cittadini, spiegare, e le cose che abbiamo fatto e vogliamo fare, e l’immagine che vorrebbero dare di noi, è troppo stridente. Quelli del no. Solo protesta. Non hanno fatto niente. Sono scomparsi. Dilettanti. Incompetenti. Poco indipendenti. (Ma da chi? Forse da un Casaleggio celeste?) Si sono ridotti alle definizioni tranchant, apodittiche, perché argomentare diventa sempre più difficile. State tranquilli, per quanti sforzi facciate, potrete ingannare qualcuno per sempre, o tutti per un po’. Tutti per sempre, di sicuro, no. Come dicevano Lincoln e Kennedy, e da quelle parti i politici se ne intendono. Noi ci contiamo, e continuiamo fiduciosi, non inseguendo sterili polemiche, ma smentendo costantemente coi fatti. Prossima tappa: referendum.
Gutta cavat lapidem. E così per oggi sono a posto anche col latino.
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