Berlusconi nel Paese delle Meraviglie…

Berlusconi nel Paese delle Meraviglie

La politica del raggiro da destra a sinistra

 

Berlusconi nel Paese delle Meraviglie
La politica del raggiro da destra a sinistra

 Il leader di un partito che si candida a governare il Paese deve sapere in quale direzione intende condurlo, quali sono i provvedimenti che intende prendere, qual è, insomma, il suo programma di governo. La politica ha la sua morale, che non coincide necessariamente con quella che regola i rapporti interpersonali, una morale che non si fonda su principi assoluti e non è fine a sé stessa: è una morale che Kant avrebbe chiamato eteronoma, fondata più sull’utile che sul Bene; ma che ha le sue regole, che devono essere rispettate. La prima è quella di non raccontare balle e di non fare promesse che non possono essere mantenute. Non voglio parlare del parolaio di Rignano perché la parte politica che l’ha espresso origina da una menzogna fondamentale, quella della sinistra, cricca di borghesi che usano e ingannano il proletariato per i propri interessi. Anzi, faccio di più, fingo che la sinistra non esista e non sia mai esistita e mi riferisco in astratto alla politica e ai partiti come interpreti di interessi interni alla società civile o della Nazione nel suo complesso. Negli Stati Uniti, per esempio, c’è chi sostiene il potenziamento dell’assistenza sanitaria pubblica e chi, al contrario, vorrebbe favorire l’accesso di un maggior numero di persone all’assistenza privata. I repubblicani sostengono la bontà questa seconda strada, i democratici della prima e quando vanno al governo entrambi si comportano di conseguenza. In Italia i politici non vogliono scontentare nessuno e di fronte a un dilemma come quello direbbero di voler percorrere tutte e due le strade, salvo poi, per equità, non muovere un passo in nessuna delle due direzioni.


Il 20 marzo del 2010 in una piazza San Giovanni gremita di gente ansiosa di veder premiato il proprio entusiasmo con un programma di governo serio, il Cavaliere, esaltato dal consenso e in preda a un delirio di onnipotenza, promise che avrebbe debellato il cancro. Fuori del contesto c’era da prenderlo a sberleffi ma nel clima di quella giornata ci poteva stare anche una sparata estemporanea. Più grave l’impegno formale a ridurre la pressione fiscale e, sapendo di non poterlo fare – aggiungo io fortunatamente – a introdurre un’unica aliquota. Promettere una cosa che si sa irrealizzabile significa raggirare gli elettori. Ed è anche un raggiro ventilare l’ipotesi, allo stato campata per aria, di restituire al Paese la sovranità monetaria. Anche la donna delle pulizie sa che la Banca d’Italia aveva un senso come banca di emissione e che il debito pubblico, entro certi limiti, si controlla immettendo moneta; ma sa anche che un vaso rotto non sempre può essere aggiustato e non tornerà comunque mai ad essere quello di prima.

Ora però, in questo anticipo di campagna elettorale, Berlusconi si è superato e, referendum e polemica sulla leadership a parte, rischia di fare molto male alla destra. Col tasso di disoccupazione attuale e con una buona metà degli occupati che non arrivano a fine mese, con una retribuzione media che, calcolata ottimisticamente, per il 95% non raggiunge i 1450 euro al mese, viene fuori con la proposta indecente di uno “stipendio” di 1000 euro al mese per, dice lui, le nostre mamme, il cui oscuro lavoro di casalinghe non viene riconosciuto. Osservo solo che il lavoro della casalinga, e del casalingo no?, attiene alla sfera privata e hegelianamente non riguarda la società civile e che lo strumento per sostenere il lavoratore, o la lavoratrice, con familiari a carico esiste e basta adoperarlo nel modo giusto. Questa uscita, che fa il paio con l’idea di portare a 1000 euro le pensioni sociali, è uno schiaffo in faccia ai lavoratori, non solo commessi o camerieri ma anche giovani medici, che campano con 800 o 900 euro, mentre i dottorandi, più fortunati (!), sforano quota 1000, s’intende euro al mese lavorando in ospedale fino a 60, dico sessanta, ore la settimana, domenica compresa. Ma dove vive il Cavaliere?


 Si dirà: ma in Italia si spendono più di 35 euro al giorno per ogni richiedente asilo, perché mi scandalizzano 1000 euro per le casalinghe o le pensioni di chi non ha mai versato un centesimo di contributi? Tutti debbono vivere e con meno di 1000 euro sopravvivere diventa un problema. Questo argomento andrebbe rovesciato o, meglio, dovrebbe essere usato come un grimaldello per scardinare il sistema dello squinternato Stato sociale e insieme quello della fiscalità, della politica retributiva, dei sindacati, della contrattazione, del mercato del lavoro. Questi governanti felloni riconoscono implicitamente che il mantenimento di un minore costa 85 euro al giorno, che si sommano ai 35 dell’adulto, quando si tratta di africani e clandestini. Cifre che inevitabilmente, come e più dei mille euro berlusconiani, rimbalzano sul reale dell’operaio o dell’impiegato che con meno di 1500 euro deve mantenere moglie e due figli. Cifre che, se hanno una loro ragion d’essere, dovrebbero anche essere la base per la definizione dei salari minimi, altrimenti si riconosce che il lavoro non vale niente e sai con che entusiasmo il lavoratore italiano si appresta a timbrare il cartellino. Un paradosso che si somma al paradosso tutto italiano delle case popolari, identiche a quelle dei quartieri residenziali con i quali spesso confinano e dalle quali si distinguono solo per una targa apposta sui portoni. Così un impiegato d’ordine o un operaio si dissanguano per pagare il mutuo di una catapecchia mentre l’evasore, il finto povero o anche il povero vero e, prima di tutti, l’immigrato con un affitto simbolico, e spesso nemmeno quello, occupano case signorili costruite con i soldi della comunità senza doversi preoccupare nemmeno della manutenzione dell’ascensore.

Se Berlusconi non vuole continuare a nuocerci, come ha fatto lasciandoci in eredità Alfano e Verdini, elargendo i superstipendi ai superburocrati, usando i voti degli elettori di destra per le prove di große Koalition con la sinistra, farebbe bene a insistere sul suo programma minimalista di abolizione di due tasse inique come il bollo auto e il canone Rai. E su quest’ultimo sarebbe il caso che si impegnassero anche Lega e Cinque stelle perché è veramente assurdo che una televisione di Stato sia così elefantiaca, proponga programmi di intrattenimento che stonano in un servizio pubblico e sia così spudoratamente sdraiata sul Pd e la sinistra. Ora Berlusconi dichiara di voler introdurre il vincolo di mandato, e lo fa con la stessa enfasi di quando annunciava la sconfitta del cancro. Non sarà anche questa una sparata?


Con l’approvazione del Rosatellum la coalizione di centrodestra dovrebbe essere data per scontata. Non credo, non voglio credere, che dalle parti di Arcore si sia architettato il disegno diabolico di appoggiare una legge elettorale su misura per le coalizioni per poi all’ultimo momento sganciarsi dalla Lega e dare via libera ad un’unica coalizione, quella delle sinistre, che dopo aver finto uno spacchettamento si sono ricompattate con l’aggiunta degli alfaniani, di Ala e, con la benedizione del Cavaliere, di un pezzo di Forza Italia, lasciando Toti e qualche altro col cerino in mano. E se, a quel punto, qualche Fico cascasse dall’albero di Grillo per entrare nella cesta della Speranza si aprirebbe la prospettiva spaventosa di una nuova legislatura in mano a compagni. Uno scenario fantasioso, addirittura onirico, brutta copia del listone del 1924; nel quale però è anche presente quella che in ogni democrazia rimane l’alternativa alle urne, quando le urne sono un imbroglio. Ma, per carità, questa è solo un’ipotesi maligna e malevola

Quindi ci saranno due coalizioni e per i Cinque stelle il cammino sarà in salita, soprattutto se non si decideranno a farsi interpreti degli umori e dei bisogni reali del Paese, se non sapranno essere fino in fondo populisti, a cominciare dall’invasione, per non dire dello ius soli. Su questo terreno, sul quale prima o poi bisognerà che i due movimenti si incontrino, la Lega dovrà compensare lo scivolone del referendum, che può anche averla rafforzata dove era già forte ma ha in buona parte vanificato il buon lavoro fatto da Salvini nel resto del Paese. A maggior ragione il centrodestra ha assoluta necessità di chiarezza sia per ciò che riguarda il programma sia per la leadership.


 Il tempo del voto per fede, per appartenenza, per tradizione familiare è finito. Non a caso, mentre perdura, per stupidità e ignoranza, l’epiteto spregiativo di fascista, si insiste su quello fresco di stampa di populista, che si ritorce come boomerang su chi lo usa, si prova con xenofobo, poco intellegibile, o razzista, che ormai è per molti un complimento, ma non c’è più nessuno che dia del qualunquista a chi non va a votare o esprime apertamente il suo disprezzo per la politica e questa democrazia. Altro che siamo tutti Charlie o siamo tutti Anna Frank: la verità è che tutti si sentono l’omino schiacciato sotto la pressa ideato da Guglielmo Giannini. Oggi un agitatore potrebbe aizzare la folla contro qualunque cosa ma mi riesce difficile immaginare un trascinatore sorretto dall’entusiasmo popolare per qualcosa. C’è un diffuso sentimento di frustrazione, risentimento, rancorosa impotenza che non risparmia nessuno. Caduta la maschera, la politica si è mostrata in tutta la sua oscena nudità. L’inganno storico della sinistra ormai non irretisce più nessuno: lo strapotere del partito dei lavoratori e del sindacato rosso ci ha portato i salari più bassi fra i grandi Paesi industrializzati e in compenso le retribuzioni più alte di quadri e dirigenti, ci ha regalato i politici più numerosi e più costosi dell’universo mondo e ha bloccato ogni possibilità di ricambio sociale. Molti rimpiangono il crollo delle ideologie, che sono qualcosa di simile a fedi laiche; io non so che cosa ci sia da rimpiangere e semmai il mio rammarico è che ci sia voluto troppo tempo per aprire gli occhi. Quel sepolcro imbiancato che è il partito della sinistra, che cambiando nome e rinunciando al simbolo si illude di perpetuare l’antico inganno, continua a sfornare illusionisti, incantatori di serpenti, o, più prosaicamente, zecche e parassiti sul corpo martoriato del Paese. Ma gli altri che fanno? Non lascino Berlusconi a vaneggiare di stipendi alle casalinghe quando in commissione alla Camera zitti zitti i poco onorevoli rappresentanti del popolo cercano il modo di abolire le pensioni di reversibilità senza dare troppo nell’occhio: vorrà dire che alla morte del marito si farà un bel falò per la vedova. Del resto all’Inps vorrebbero sterminare i vecchi, che c’è da meravigliarsi?


 Non si vota più per fede, non si seguono saltimbanchi e giocolieri, gli elettori non sono sempliciotti al luna park o alla sagra paesana a bocca aperta davanti al prestigiatore che fa il gioco delle tre carte. L’elettore vuole risposte precise a domande precise. Da sinistra, è inutile ripeterlo, essi non si aspettano niente di buono: siamo al punto che più a sinistra si va più ci si allontana dal popolo minuto e dai suoi bisogni e più si è vicini ai salotti e alle lobby. I Cinque stelle sono una cambiale in bianco, non tanto perché, come dice Grillo, i suoi esponenti sono degli sprovveduti che devono imparare a muoversi nella politica quanto perché non si sa quale direzione prenderanno. L’unica occasione in cui hanno preso una posizione chiara e decisa è stata contro il Rosatellum perché temono il centrodestra unito. Ma perché non si sono mobilitati con la stessa determinazione per il vincolo di mandato? Per non scalfire il sacro testo costituzionale? Hanno, non solo loro, insistito sulle preferenze, che sono una buffonata, dal momento che i candidati sono comunque nella lista del partito, sono scelti dal partito e i voti che prendono sono voti del partito; e non vengano a dire che i loro candidati sono scelti dal popolo della rete perché chiunque di loro, preso a caso, è finito in parlamento o in Europa, aveva di suo due o trecento voti, con i quali non sarebbe entrato nemmeno nel consiglio di una bocciofila. In attesa che si possa votare la persona prima del partito, e che sia la persona a esporsi e a ricevere la fiducia dei suoi elettori, ora quello che votiamo è il partito e sta al partito presentarsi con un programma, perché la gente vuole votare un programma e non un partito, ed è il partito responsabile di quelli che inserisce nella sua lista. Un mio caro amico, vecchio militante repubblicano, già sodale di Ugo La Malfa, mi diceva l’altro giorno: non mi importa quale sia il partito, il mio voto lo darò a chi si impegna contro lo ius soli. E questo vale in generale per l’invasione, per le pensioni, per le case popolari, per la scuola, la sanità, il riassetto delle retribuzioni, la delocalizzazione, il sistema bancario, i costi della politica.

Se si mena il can per l’aia col federalismo, la flat tax e le uscite berlusconiane sulle pensioni minime – quelle di chi non ha mai lavorato – e sullo stipendio alle casalinghe non si andrà lontano. L’onestà alla lunga paga, anche in politica; e, a questo proposito, al di là dello stucchevole dibattito sulle preferenze, Salvini stia attento a chi mette in lista e tenga gli occhi aperti sui suoi alleati: Berlusconi dice di voler attingere alla società civile: speriamo che non ci propini palazzinari, giocatori di pallone o escort; e dai Fratelli d’Italia auguriamoci che non esca anche qualche fratellanza.

 Pier Franco Lisorini

 Pier Franco Lisorini è un docente di filosofia in pensione

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