Baika. Un racconto di Cristina Ricci

Oggi sono finalmente diventato grande, però non so proprio se mi piace. Devo ancora capirlo.
Papà, nel pomeriggio, con aria seria seria, mi ha guardato fisso fisso negli occhi e mi ha detto “Hans, questa sera dobbiamo fare una cosa importante, conto su di te. Ormai sei grande e mi devi aiutare. Questa sera andremo dall’altra parte. Tu non devi avere paura. Qualsiasi cosa accada non devi piangere né gridare. Sarà buio, tanto, ma tu non avere paura. La corda ci terrà uniti, tu non ti perderai nel bosco ma, mi raccomando, non avere paura. I cani fiutano la paura e noi non vogliamo svegliare i cani”. Gli ho chiesto se poteva venire con noi anche Baika ma lui ha detto di no, lei deve restare qui a fare la guardia. Gli ho domandato se saremo tornati a prenderla e lui ha risposto “Vedremo figliolo, vedremo”, ma l’ha detto con una voce triste che si capiva che non sarebbe successo. Questo ha reso triste anche me perciò non so proprio se mi piace essere diventato grande.

Sto camminando qua al buio, attento a non inciampare e a non far rumore. Siamo tutti legati dalla corda, prima di me c’è la mamma, dietro il nonno. Marta è in braccio alla mamma, Karl invece è in spalluccia al nonno. Preferirei anch’io viaggiare così. Ho domandato se non potessi almeno tenere per mano la nonna ma lei ha detto che non poteva, avrà sulle spalle un fardello pesante e ormai sono grande. Anche per questo non so proprio se mi piace questa cosa. Mi sono sentito triste triste e il mento ha iniziato a voler andare su e giù proprio come quando da piccolo mi veniva da piangere. Papà allora ha smesso di affaccendarsi, si è seduto sulla panca e mi ha preso in braccio. Mi ha stretto forte forte e, accarezzandomi la testa, mi ha detto “Hans, non preoccuparti, di là sarà tutto migliore. Ti prometto che una volta arrivati mangerai tanta di quella cioccolata da farti venire il mal di pancia!”. 

Io non so che sapore ha la cioccolata, papà non è stato capace di spiegarmelo. Ha solo detto che è dolce come lo zucchero e che quando la mastichi in bocca senti una specie di crok crok e un buon sapore. Però la puoi anche lasciare sciogliere e allora il gusto cambia, invece, se la tieni in mano, si scalda, diventa appiccicosa e le dita diventano tutte marroni e quando le lecchi la cioccolata ha ancora un altro sapore. Io non ho mica capito che gusto avrà la cioccolata ma so cos’è un mal di pancia e proprio non vorrei averlo ancora.

Adesso cammino nella notte ed è buio buio, proprio come aveva detto papà. Io sono grande e non devo avere paura, né devo gridare, qualsiasi cosa accada. Stringo forte la corda che mi tiene legato alla mamma proprio come quel cordone ombelicone che lega il vitello alla vacca. Fossi piccolo piccolo potrei viaggiare anch’io nella pancia della mamma e, chissà perché, non avrei così paura come adesso.

Tutti dicono che dall’altra parte tutto sarà migliore, io so solo che in questa notte buia vorrei solo sdraiarmi sul fieno vicino a Baika a guardare le stelle.

Il 3 ottobre 1961 un gruppo di 55 persone fuggì dalla stessa borgata. L’esodo, preparato da mesi, fu guidato da un gruppo di giovani seguiti a distanza dal resto del villaggio. I bambini erano stati legati l’uno all’altro da una corda per evitare che si perdessero. Sul carro, trainato da cavalli con gli zoccoli fasciati da stracci, viaggiarono i bimbi più piccoli e gli anziani. Il gruppo era formato principalmente da contadini, 17 uomini, 15 donne e 23 bambini. Tra loro anche una donna di 85 anni. [1]

CRISTINA RICCI

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