Assi pigliatutto
C’è un proverbio cinese, attribuito a Confucio (ossia quando la Cina era l’opposto della deriva in cui è scivolata, trascinando con sé il mondo intero), che recita: “Dai a un uomo un pesce e mangerà per un giorno; dagli una canna da pesca e mangerà per tutta la vita”.
Un detto che calza alla perfezione con la mentalità americana, alla Trump, del self made man: con intraprendenza e buona volontà, chiunque può emergere nella società e distinguersi dalla massa.
Non sempre i vecchi adagi mantengono la loro validità al mutare degli scenari economici. Eppure, questa ottica individualista è ancora ben radicata in coloro che arrivano ai posti di comando e diventano i nostri reggitori. Probabilmente perché la via indicata dal proverbio è proprio quella che ha permesso loro di arrivare dove sono. Ma le loro prediche suonano altrettanto vuote quanto i consigli matrimoniali dei preti, celibi per voto.
Infatti, siamo ancora al mito delle start up, giovani dalla mente brillante che si inventano un lavoro e hanno successo; tanto da venire raggiunti da entusiasti intervistatori TV ai quali spiegano come s’è accesa la lampadina in testa e wow, hanno creato un team con altri coetanei e adesso guadagnano cifre a tre zeri. In realtà, solo un’esigua, per non dir misera, frazione di costoro parte e resta in sella, mentre la grande maggioranza, la quasi totalità, chiude i battenti nel giro di pochi mesi/un anno rimettendoci dei soldi (di papà). La realtà di tante partite Iva è sconsolatamente questa, e rende conto dell’assottigliarsi dei risparmi delle famiglie: la grande liquidità presente nei conti correnti è dovuta alla paura di investire i propri risparmi in attività sulle quali domina l’incertezza più acuta, dopo l’ingresso sulla scena di Mr Covid.
Basta parlare -e dovrebbero farlo i nostri ministri e il “grande saggio” Mario Draghi- con i commercialisti, i cui umori sono bene espressi da uno di loro, molto presente in rete, come Valerio Malvezzi. Sono loro che conoscono senza veli pietosi i reali conti delle aziende, specie medie, piccole e micro. Si imparerebbe che la situazione generale è fallimentare, con debiti che opprimono la stragrande maggioranza di “quelli con la canna in mano”: ma è la canna del gas.
C’è da chiedersi che funzione abbiano le banche in un contesto simile. Non concedono prestiti per le scarse probabilità di rimborso e la caduta nel buco nero delle “sofferenze”, ossia, viste dalla parte opposta, nella centrale rischi, che appioppa l’etichetta di cattivo pagatore e ti fa uscire dal circuito del credito. Chi ci casca non ha più accesso ai prestiti, alias al debito.
Draghi parla di “debito buono”, dimenticando che, partendo da zero, non esiste un debito buono: è già dura farcela anche con un’erogazione gratuita, come aire per partire, figurarsi se i soldi hanno la veste di prestito, da rendere con gli interessi.
E allora diciamola tutta: se i giovani che vogliono partire in proprio si accollassero altrettanti “debiti buoni” con le banche, come potrebbero ripagarli, con l’aggiunta degli interessi? Ormai sappiamo bene che le banche non scuciono un euro dai propri depositi o conti correnti quando erogano un prestito: sono soldi eterei, fiat money. Però vogliono indietro soldi buoni, ossia frutto di lavoro/servizi, quindi prelevati dai soldi in circolazione. In questo sbilancio, si crea deflazione, poiché ci saranno meno soldi disponibili per le normali transazioni. Per assurdo, l’ideale sarebbe che nessuno ripagasse i debiti, lasciando circolare i soldi del “debito cattivo”, e ci si barcamenerebbe tutti un po’ meglio, ma solo per una breve, illusoria stagione.
La situazione dei cattivi debitori rispecchia quella dello stesso Stato, anch’esso assoggettato, contro ogni logica economica, alla schiavitù del debito, e quindi prono ai comandi dei suoi creditori. Comandi che si traducono nell’assurdità delle privatizzazioni (leggi: lo Stato si spogli del suo patrimonio per soddisfare i creditori) e dei tagli feroci al welfare, conquistato nel trentennio post-bellico, le cui conseguenze sono balzate allo scoperto in campo sanitario con la botta del Covid. Uno Stato reso straccione dal “debito buono”, fatto ormai di interessi, accumulatisi dal 1981, anno in cui lo Stato cedette alle banche il monopolio della lira. Guardare i grafici per credere.
Tornando alle patetiche canne da pesca, oggi il proverbio mostra la sua inadeguatezza: non ci sono più pesci, poiché li pescano –o meglio li sterminano- con le reti a strascico e le bombe subacquee, le multinazionali del mare. Fuor di metafora, la canna da pesca non è neanche più proprietà del singolo, bensì di altre multinazionali; è invece, ad esempio, la bici del rider, ossia di quanto di più lontano ci sia dal singolo imprenditore o start up, che sfreccia nelle città per consegnare le pizze o i pacchi di Amazon, sterminator di un’infinità di pesciolini: le piccole attività commerciali rimaste senza clienti.
In sostanza il mondo si muove col contasecondi dei pescecani, mentre le banche stesse stanno chiudendo i propri “negozi” di strada, seguendo la stessa logica di Amazon e simili. Il tutto mentre il governo, retto da un banchiere, che vi si trova a suo agio, dopo decenni di “spirito bancario” che vi aleggia, scalpita per strapparci di mano il “denaro buono”, il contante, per sostituirlo con quello cattivo, digitale. E per convincerci ci alletta col cashback.
Già, siamo in una dittatura di nuovo stampo: non obbliga, convince, anzi asseconda. Non ti lascia più la proprietà fisica dei tuoi soldi, cosicché, quando vuole, gli basta un click per lasciartene privo, azzerarti e toglierti ogni diritto. In sostanza, può renderti totalmente privo di mezzi e senza possibilità di fuga. Lo sta facendo anche con i vaccini. Non sono obbligatori, solo consigliati, in nome di quella salute che fino a ieri contava zero, visti gli ospedali e gli ambulatori chiusi, mentre crescevano quelli privati. È in corso di stampa un tesserino sanitario: se non ce l’hai, ti sarà oltremodo difficile viaggiare, oggi in Europa, domani sarà la volta della tua Regione, o addirittura del tuo Comune. Sarà il tuo lasciapassare, o salvacondotto, come durante l’ultima guerra. Alla fine della quale, però, il piano ERP ci aiutò nella ricostruzione con soldi prestatici dagli USA, che poi rinunciarono al rimborso, e soprattutto merci e materie prime [VEDI], mentre il Recovery Fund eroga soldi in prestito, a rendere. Ma, scusa il candore, Mr Draghi, non avevi detto che era un “debito buono”? Credi che le prossime generazioni, chiamate a rimborsarlo, saranno d’accordo su questo eufemismo?
Marco Giacinto Pellifroni 2 maggio 2021