FOGLI MOBILI

La rubrica di Gloria Bardi

Trilogia in “D”
(Dounia, Donna, Dio).

 

 

 

 

 

La scorsa settimana un amico mi ha scritto il seguente messaggio: “Hai letto di Dounia, la ragazza marocchina minacciata da due delinquenti perché aveva difeso Hina, la ragazza pakistana uccisa dai famigliari? Bella e coraggiosa. Mi piacerebbe che ci scrivessi su un truciolo».

Ovviamente ho captato un certo senso di sfida intellettuale rispetto alle mie professioni di interculturalità. Insomma, dato il mio ritornare sul fondamentalismo cattolico, mi si chiedeva di vedermela con altri e più cruenti fondamentalismi.

Premetto, allo scopo di inquadrare il tipo di sfida, che chi mi attirava su questo sentiero non è un “difensor fidei” ma piuttosto un paladino dell’onestà intellettuale.

Dal punto di vista metodologico, sento il bisogno di distinguere preliminarmente una simile posizione da quella mirante a difendere un tipo di fondamentalismo puntando il dito su un altro: non ritengo siano buone argomentazioni quelle che invece di esibire le proprie ragioni, facciano leva sul torto degli altri.

Sembra una considerazione banale e invece siamo immersi in un simile brodo di cattiva dialettica, dai massimi ai minimi sistemi.

Nessun torto altrui, credo, potrà valere a propria ragione e la dimostrazione che ci sono “difetti” simili o peggiori del proprio non farà sì che il proprio non sia un difetto, da cui, per coerenza, è necessario intraprendere un percorso critico esemplare, evitando di limitarsi a coltivarlo. Insomma:dal prossimo al remoto.

Vi sono poi alcuni che, negli aspetti di reciprocità,  si piegano semplicisticamente alle prassi altrui, invocando una sorta di diritto di rappresaglia che non può appartenere ad una ragione morale evoluta e presente a se stessa, capace di pensarsi ASIMMETRICA.

Mi riferisco, ad esempio, a chi giustifica l’intolleranza verso la realizzazione di luoghi di culto dei musulmani con la ragione che loro sono, nelle loro terre, intolleranti verso l’edificazione dei nostri, senza avvedersi che così facendo abdica all’autodeterminazione.

Si agisce come si ritiene si debba agire e non come si ritiene o si sa che agirebbero altri.

Detto questo, non ignoro di certo la violenza contro le donne presente in certe tradizioni. Personalmente ho sempre riscontrato una certa diversificazione tra le costumanze presenti nel nostro stesso paese, come dimostra il rigore vigente in diverse parti d’Italia, soprattutto nella provincia  meriodionale, verso l’illibatezza della  sposa.

So bene che la donna non è libera, anzi!, in molti paesi islamici, ma non mi illudo che la mercificazione e l’involgarimento del corpo femminile presente ovunque da noi sia poi così radicalmente peggiore della riduzione in un burqa: due lati di un’identica medaglia. In entrambi i casi si tratta di negazione e quindi affrontiamo pure il problema delle magagne altrui, con cui comunque ci dobbiamo confrontare per ragioni di convivenza e per chiarire il concetto stesso di “diritti universali dell’uomo”, ma non dimentichiamo il nostro trave, pure ammesso che vogliamo considerarlo pagliuzza. Consideriamoci almeno cattivi maestri.

Ma fermiamoci sulle regole di convivenza, ovvero la questione del rapporto tra i diritti universali dell’uomo, frutto di una cultura storicamente propria dell’occidente, cui si rifanno tutte le legislazioni dei nostri paesi, e il rispetto delle specifiche tradizioni delle diverse etnie: è evidente che qui da noi non si possa pensare di rendere leciti comportamenti profondamente contrari al comune sentire morale (nb: non ho parlato di un particolare credo religioso) e alle norme giuridiche che lo riflettono.

Pratiche come mutilazioni genitali femminili o discriminazioni di genere vanno rigorosamente vietate ma non va commesso l’errore di decontestualizzare e non va commesso proprio a beneficio di quelle donne che si vuole difendere. La violenza non sta solo nella mutilazione infatti, ma sta nel destino cui va incontro una donna che non l’abbia subita. La protezione deve andare ben oltre il “no” a una pratica pseudochirurgica repellente, deve farsi carico delle conseguenze di quel no, altrimenti è narcisismo morale.

Non si può, tanto per intenderci, scagliarsi contro le mutilazioni e approvare la Bossi-Fini che rende precaria la permanenza qui da noi.

La discriminazione della donna non va affrontata solo negativamente ma anche positivamente, fornendo strumenti di uguaglianza, dal punto di vista delle risorse economiche, della stabilità, dell’accesso alla cultura.

Mi permetto di rinviare, su queste tematiche, a considerazioni da me fatte su questa rubrica parecchio tempo fa, a cui rinvio al termine dell’articolo.

Ma desidero rilevare, nella mia qualità di sostenitrice di un “femminismo”  solo e sempre provvisorio (come provvisorie devono essere le quote rosa), che non esiste una cultura contro le donne e a favore degli uomini, se non a uno sguardo superficiale: quando una tradizione è antifemminile è antiumana e, se è vero che gli uomini sono apparentemente messi meglio, malgrado le molte prescrizioni che li inchiodano, certo non sono votati alla felicità.  

E ora vengo all’ultima questione, forse la più spinosa: la religione.

Se è vero che esistono interpretazioni distorte delle religioni, che ne travisano in senso fanatico gli insegnamenti, è altrettanto vero che solo a ridosso degli altari si consolidano tradizioni resistenti e in grado di conferire solidi e spesso spiazzanti sensi di appartenenza.

Difficilmente quagliano fanatismi distanti dalla religione, e quando dico “distanti” intendo escludere quelle forme marcatamente antireligiose (vd. rivoluzione francese o bolscevica) che comunque, pur per combatterla, alla religione si rifanno e in qualche modo la imitano nello slancio totalizzante.

Concordo però con chi considera  le religioni frutto di un’impostazione interpretativa eminentemente maschile, soprattutto quelle monoteiste, che non a caso pongono capo a una figura maschile di Dio, Padre o Signore che sia, a immagine e somiglianza delle gerarchie terrene.

Si esprimono attraverso la dimensione della NORMATIVITA’, essa stessa organica al ruolo maschile, consegnata, assieme con il Libro, a una casta sacerdotale fatta di uomini, aventi prerogative sacrali e metacorporee.

Tendono a tradursi in organismi gerarchici all’insegna della normatività, dimensionata in senso imperialistico.

Le religioni monoteiste, come tali, contengono lo stampo etico dell’intolleranza, molto meno rintracciabile in quelle politeiste o animiste, come considerava il grande Hume.

Vero o discutibile che tutto questo sia per chi mi sta leggendo, fatto sta che la donna ne risulta sempre particolarmente oppressa. Non che gli uomini non lo siano, ma le donne lo sono in modo molto maggiore, sia che si tratti di streghe da bruciare sui roghi o di bambine da mutilare o di peccatrici da lapidare o ancora di donne cui negare l’uso della pillola abortiva.

Gli antropologi ci dicono che proprietà privata, altari, riconoscimento della paternità e oppressione della donna sono nati assieme.

Sembra che vi sia stato nella storia e ancora permanga un accanimento particolare a moltiplicare insensatamente l’infelicità sulla terra in nome del Cielo, inventandosi trabocchetti degni del peggior Nerone, come se Dio, avendole create, si compiacesse di tormentare all’infinito le proprie creature.

Ho cercato di tradurre ironicamente quest’aspetto nel lavoro teatrale “Il figlio unico delle Venti madri”, soprattutto nelle due figure dell’Inquisitore e del Principe Straniero, sorta di Barbablù intento a uccidere le mogli da poco sposate, la cui non identificata religione si è inventata l’ennesima perfidia a danno delle donne, degli uomini, dell’umanità:

“Egli è seguace di una religione

che sol con donna vergine consente

a maschio la carnale congiunzione,

altrimenti è la pena eternamente.

Ragion per cui solo una volta giace

con la donzella tosto maritata,

ché la seconda, pure quando piace,

non vergine sarebbe ritrovata…”.

Il Dio delle donne, che è poi quello degli uomini, è, così la vedo, un Dio senza teologia e senza custodi. Ma sarebbe sufficiente, credo, vivere le appartenenze partendo dall’anello più largo:

sentirsi in primo luogo appartenente ai viventi

all’umanità

al genere femminile o maschile ecc.

al cristianesimo (islamismo, ebraismo, buddismo, materialismo ecc….)

al cattolicesimo (o corrispondenti…).

Dovremmo  ricordare sempre gli anelli più larghi e stare ben attenti che quello più stretto non ci strozzi, e con noi l’identificazione del nostro “prossimo” e il diametro del nostro senso di solidarietà.

E infine, questo sì dedicato al caso di Dounia, quando ci accorgeremo che, nella brevità della comune esistenza, quello che conta è vivere e far vivere più serenamente possibile.   

Ancora su questi temi:

...Cherchez la femme

...LE DONNE, IL CORPO, LA DISOBBEDIENZA

...QUOTE ROSA E FASCE TRICOLORI

...Quote rosa, asini e porci

...Infibulazione

 

E' USCITO IL  MIO NUOVO LIBRO :

...L' ESORDIENTE IL PROF E L' EDITORE MANNARO

LUIGI MAIO legge il mio libro

www.gloriabardi.blogspot.com