Una rubrica sulla bioetica a cura della Dr.ssa Bardi

BIOETICA 

CHERCHEZ LA FEMME

E' possibile scrivere all'Autrice di questa rubrica ed intervenire inviando una email a : collaborazioni@truciolisavonesi.it, oggetto: Bioetica

in calce all'articolo

la POSTA della RUBRICA


A leggere storia, sorprende come la donna, che siamo abituati a riconoscere nelle virtù della passività, quali la pazienza, la mansuetudine, il sacrificio, l’obbedienza, faccia breccia, al contrario, nei territori della disobbedienza, da Antigone alle eretiche e streghe medievali alle rivoluzionarie alle resistenti alle donne in nero.

A iniziare da Eva.  

Ora, la disobbedienza appare spesso come la rivendicazione del concreto contro l’astratto, che tende a presentarsi come “dogma”proprio in quanto intangibile, sottratto alla terra e al divenire, e ciò in tutte le figure ideologiche, politiche, economiche che esso viene assumendo. Tali soprattutto le istituzioni religiose, territorio privilegiato del dogma, del trascendente e, non a caso, dell’anti-femminile.

E quando la donna viene coinvolta nella dimensione religiosa, ciò avviene in maniera legata al corpo e, per ciò stesso, religiosamente spuria, ambigua: dalla dea terra ai baccanali dionisiaci ai culti oracolari, dove la donna si fa corpo alla voce del dio, al misticismo delle sante, di cui è nota la lettura in chiave erotica, alle allegorie erotiche del Cantico dei Cantici, alla madonna, in cui Dio prende corpo.

 

Astrazione, trascendenza e imposizione procedono di pari passo nel mondo progettato al maschile. L’assoluto, di tutto ciò parente, è generatore di obbedienza, di imperatività sia che si configuri come teologia, sia che si configuri come scientismo o imperativo tecnologico.   

Ribellarsi all’astratto coincide così con la pietà che passa attraverso la terra e il corpo, il desiderio e il dolore.

Grande, salutare e misconosciuta la sapienza del desiderio e dolore!     

Proprio per la sua familiarità col corporeo, la donna è distante da riferimenti assoluti: nulla è meno assoluto del corpo, per sua stessa natura natale e mortale.

E si tratta soprattutto della familiarità con i limiti che segnano la vicenda corporea: il nascere e il morire.

 

A chi appartiene questa familiarità se non alla donna?  

La donna da sempre si occupa dell’alimentazione, dell’igiene, dell’assistenza durante le malattie e la vecchiaia, della stessa cura del cadavere.

La donna è costretta a prendere contatto col proprio sangue mestruale.   

La donna, durante il rapporto sessuale, accoglie liquidi seminali e conosce il piacere in zone del profondo.

La donna vive nel proprio corpo la generazione. Allatta. Abbraccia. Accarezza

Il suo è il corpo dell’accoglienza, e non della contrapposizione.

La donna mutua dal proprio stesso calendario biologico una temporalità ciclica, che si affianca a quella lineare e verticale, tipicamente maschile.

L’uomo compensa in termini legali, e quindi culturali, primariamente tramite il cognome, la deprivazione fisica rispetto alla generazione.

La donna trova nel senso della vita una dimensione allargata del prossimo, capace di valicare le angustie dell’antropocentrismo.

L’uomo è nomos, laddove la donna è bios. E tali ruoli sono complementari, fintanto che non diventano antagonisti.

 

Il pensiero della differenza, subentrato al femminismo, ci porta a identificare un punto di vista di genere in tutte le dimensioni del conoscere e dell’agire: dall’economia alla scienza alla filosofia alla storiografia alla politica etc. E certo il punto di vista femminile non è stato quello attraverso cui il mondo si è ufficialmente pensato e ufficialmente si pensa.

 

Per quanto concerne la medicina e la sua storia, non è un caso che sia stata proprio una donna a pensare alla “terapia del dolore”, a “disobbedire” al dolore, rendendo chiara la differenza che corre tra cura e guarigione, portando la medicina oltre i confini del suo fallimento: anche del morire ci si può prendere cura, non esistono malattie incurabili anche se vi sono malattie inguaribili. In lingua inglese, a differenza di quanto accade in italiano, vi sono due termini distinti per indicare l’assistenza verso il malato: cure (terapia bio-medica) e care (assistenza umanizzata).    

Anche l’affettività come tratto primariamente femminile, deve poter giocare un ruolo fondamentale nella medicina,  sapere che si esercita all’interno di un rapporto empatico medico-paziente e che richiede la capacità di “incarnare” in quest’ “uomo qui” le previsioni scientifiche, aperti alla possibilità di ricevere una risposta non codificata. La validazione scientifica in medicina umana e animale non è mai, infatti, del 100%, in quanto deve sempre tener conto dell’imponderabile legato alla differenza individuale.

La repulsione femminile per l’astratto appare quanto mai rispondente alla necessità di un recupero umanistico dell’arte medica, capace di collocare la malattia all’interno di un contesto biografico e narrativo, individuale e culturale, in prospettiva “olistica”(capace di guardare all’uomo nella sua totalità),che rappresenti una possibilità di recupero rispetto alla tendenza specialistica che procede anatomizzando e  spersonalizzando e all’imperativo tecnologico che affida la diagnosi alle macchine e prescinde dal contatto fisico.

 

C’è da sperare che le donne che la esercitano sappiano valorizzare la femminilità del loro approccio e astenersi dal ricalcare gli schemi semplicemente appresi dai maestri.

C’è da sperare che gli uomini sappiano porsi in posizione di apprendimento rispetto alla sapienza del femminile. 

 

La donna, per quanto detto, è inoltre particolarmente incline a interpretare le esigenze di convivenza proprie della nostra società multiculturale, che solo nell’attenuazione dell’universalismo normativo, frutto dell’astrazione, a favore di un maggiore senso della complessità, di un maggiore senso di realtà, di un profondo senso della differenza, della capacità di gestire rapporti di fratellanza, che il punto di vista assolutizzante, da sé solo, non è in grado di fare.  La capacità di cogliere il mondo al plurale, di dar ragione di un’uguaglianza pensata non come  uniformità ma come uguale diritto alla differenza; dove la natura stessa possa essere pensata al plurale se al plurale si presenta: ed è il caso, ad esempio, del riconoscimento dell’omosessualità.

 

La donna può rappresentare un volano di cambiamento in tutti i settori ma ciò sarà difficile che possa avvenire fintanto che il fatidico “tetto di cristallo” la renderà molto presente alla base ma molto assente ai vertici, dove si decide, dove si stabiliscono le regole del mondo: molte le donne medico ma pochissimi i primari e questo vale per tutte le professioni. E questo vale per il terreno d’eccellenza del decidere collettivo: la politica.

Fintanto che avremo un Parlamento maschile al 90%, si tratterrà di un Parlamento in difetto di rappresentanza, come troppe leggi “sulla pelle delle donne” dimostrano.  

La politica capace di farsi permeare dall’intelligenza femminile  può e deve divenire non il terreno della spada, della colpa, dell’afflizione e della negazione ma della convivenza tra diverse dignità: il terreno dell’armonizzazione dei desideri, della massimazione del tasso complessivo di soddisfazione, della riduzione del tasso complessivo di sofferenza: dell’attivazione solidale delle reciproche responsabilità.   

Politica permeata dal principio di maternità.

 


la posta della rubrica di bioetica

30 maggio 2005

Le invio una lettera spedita al giornalino per ragazzi "il messaggero di Sant'Antonio", cui avevo abbonato le mie figlie.La lettera e' una critica ad un articolo, firmato Fra Simplicio, apparso sul "messaggero" contro la clonazione.La redazione del giornalino ebbe l'onesta' di pubblicarla.

Saluti. Franco Tadiotto Genova

in conclusione: reputo la difesa del darwinismo, dell'evoluzione, della clonazione, della ricerca, ecc. contro l'ignoranza, una battaglia di retroguardia.

Caro Fra Simplicio intervengo circa una risposta sulla clonazione pubblicata sulla tua rubrica.

Devi sapere che ogni cellula vivente contiene, nel suo nucleo, tutte le informazioni per essere la totalita' dell'individuo. Per esempio, la cellula muscolare contiene le informazioni per essere cellula epatica, renale, ossea...ecc.

Solo che in qualche modo, queste parti del DNA non vengono lette e la cellula muscolare resta e si duplica come cellula muscolare; cosi' per le cellule del tessuto nervoso, osseo ecc.

Ci sono forme cancerogene in cui le cellule di un tessuto, nervoso per esempio, cominciano a riprodursi o a deformarsi in cellule di tessuto diverso.

Ritornando alla clonazione, cioe' alla riproduzione di un individuo animale (in ambito vegetale questo e' gia' alla portata di tutti gli agricoltori) a partire da una cellula, si puo' affermare che la conoscenza di questi fenomeni potra' tornare utile anche per la comprensione e la cura del cancro e dunque non e' vero che gli scienziati perdono tempo dedicandosi a queste ricerche. Una volta capito come fanno le singole cellule a leggere solo l'informazione genetica per il tessuto in cui sono inserite, potremmo impedire che le cellule sane si trasformino in cancerogene ecc.

Portando alle estreme conseguenze questo discorso, e' pensabile arrivare anche alla clonazione del singolo organo, cuore, fegato, rene, senza passare per l'individuo completo, cosi' come potrebbe essere possibile coltivare i prosciutti, i quarti di bue ecc., eliminando la macellazione.

Si dice che la scienza non e' cattiva; puo' essere cattivo l'uso che se fa.

"E tutto porta alla rivelazione."

Genova 9/12/93

Franco Tadiotto

 

Nella mia precedente e-mail, con il testo della lettera inviata al "Messaggero dei Ragazzi", dove elenco i vantaggi, ancora solo teorici, che l'ingegneria genetica portera' all'uomo, lettera che, con molta onesta', i frati di Padova hanno pubblicato sul loro giornale (a pagina 4 del ME.RA n° 8 del 2 aprile 1994),

concludo
 
auspicando una strategia contro l'ignoranza del "volgo".
 
La scuola ha fallito.
 
Jules Verne, nel suo libretto "Parigi nel XX secolo), afferma che aver alfabetizzato la totalita' della gente, non ha promosso la lettura e il piacere dello studio.
Testualmente nella prima pagina, capitolo "Societa' Generale di Credito Istruzionale" scrive:
"A furia di moltiplicare le succursali dell'Universita', i licei, i collegi, le scuole elementari, i convitti cristiani, i corsi preparatori, i seminari, le conferenze, gli asili, gli orfanotrofi, una istruzione sia pur minima aveva permeato fin negli ultimi strati l'ordine sociale. Se nessuno leggeva piu', almeno tutti sapevano leggere, e addirittura scrivere: non c'era figlio d'artigiano ambizioso o contadino declassato che non aspirasse ad un posto nell'amministrazione; il funzionarismo si sviluppava sotto tutte le forme possibili; piu' tardi vedremo quale legione di impiegati il governo guidasse al passo, e militarmente..."
Saluti. Franco Tadiotto Genova

 

La ringrazio per i contributi di riflessione che ci ha fornito e la ricambio con una citazione che ho appena letto e mi sembra rispondente sia alle sue considerazioni generali che al tema che in questi giorni ci riguarda più da vicino
"Credo che Dio stia guardando con pazienza alla nostra confusione. Ci manca la forza creativa di ripensare il mondo anche da un punto di vista morale, come già avevamo fatto molte volte nel corso della storia. Cambiare non vuol dire perdere il filo, vuol dire allargare lo sguardo. Sarebbe terribile essere prigionieri dei capricci di una scienza incontrollata. Ma per padroneggiare la scienza e portarla al passo di quel che consideriamo buono e civile occorre conoscere e capire. Potrà essere una cosa così tremenda la scienza quando fa nascere un bambino, sia pure lungo percorsi ignoti?". (Ellen Goodman,  in  Chiara Valentini - La fecondazione proibita - Feltrinelli ).

Savona 25 maggio

Proseguendo un discorso iniziato con Gloria durante un suo intervento in un dibattito sui referendum, mi piacerebbe approfondire la relazione che si potrebbe creare tra ricerca staminale e obiezione di coscienza alla ricerca con utilizzo di animali.
Ciao
Giorgio Barisone

Giorgio  in quell’ occasione mi aveva espresso le sue perplessità di animalista nei confronti di una battaglia fatta in nome della libertà di ricerca.
E’ un argomento su cui ritorno volentieri, perché io stessa condivido tali preoccupazioni e ritengo fondamentale l’impegno nel trovare modi alternativi di ricerca rispetto all’utilizzo degli animali.

Ora, la possibilità di ricerca in materia di clonazione terapeutica, a partire dalle cellule staminali, va proprio nella direzione da noi auspicata, perché la possibilità di riprodurre organi o tessuti consentirà una sperimentazione dei farmaci più sostenibile dal punto di vista etico, perché effettuata senza i gravi costi della sofferenza animale, e dal punto di vista scientifico, perché mirato sull’uomo e sul suo tipo di reattività, spesso diversissimo da quella animale, come i figli del talidomite hanno tragicamente dimostrato.
Non mi riferisco allo stato attuale della ricerca, che fa ampio uso di animali (in Italia esclusivo) ma alla prospettiva che verrebbe aperta.

Inoltre,  al di là degli spettri agitati dai soliti “apocalittici” che accompagnano tutte le scoperte scientifiche e conseguenti introduzioni tecnologiche a iniziare dalla locomotiva a vapore, la possibilità di una riserva personale di “organi di ricambio”consentirebbe di trovare un’alternativa, incomparabilmente migliore sul piano clinico, agli xenotrapianti (trapianti da altra specie) e alla produzione di animali allo scopo ingegnerizzati.

Quanto all’obiezione di coscienza concessa agli studenti di medicina rispetto alla sperimentazione su animali, si tratta della più sconosciuta e disattesa tra le possibilità di dissociazione etica, la terza in ordine di tempo dopo quella militare e quella antiaborista, cui si aggiunge oggi quella nei confronti della fecondazione assistita.

Il fatto che ci si possa rifiutare di partecipare a sperimentazioni su animali, senza pregiudizio professionale, sta ad indicare che è possibile una ricerca che utilizzi vie alternative; e infatti la stessa norma che prevede l’obiezione obbliga le strutture universitarie a dotarsi di strategie alternative.

La terza obiezione risulta però la più sconosciuta, anche perché non ha nessuna Chiesa a sostenerla e diffonderne la valenza etica.  

I gesuiti sono insorti dinanzi all’introduzione dei “diritti animali” nella Costituzione; ma accanto a questa parte del mondo cattolico (che è poi la stessa che cerca un’ autorità capace di sbarrare la strada al desiderio di maternità, paternità e salute, al desiderio delle persone di esprimere la propria aspirazione sessuale condivisa), esiste anche un filone animalista ed ecologista, rappresentato soprattutto dal francescanesimo, che non a caso sosteneva una religiosità di gioiosa comunione con la natura, e non di affittiva venerazione della propria impietosa e autoritaria “sacralità”.

Savona 24 maggio

Gent.ma Dr.ssa Bardi, mi permetto di intervenire in un dibattito che ritengo utilissimo in quanto fruttuosamente provocatorio per le coscienze;
nell'associarmi in toto alle osservazioni sulla falsa parità delle posizioni da tutelare, rispetto alle garanzie offerte agli embrioni, che sono oramai diventati oggetto inconsapevole di una vera e propria crociata intellettuale, volevo introdurre un elemento ancora più destabilizzante per le coscienze di coloro che presentano la posizione pro-embrione come una doverosa azione di tutela dei più deboli: perchè non assumere la stessa ferma posizione nei confronti dei veri deboli, che sono già in vita, e che, purtroppo per loro, sono destinati alla morte per fame e malattie, ogni giorno? Dei milioni di bambini ed adulti che ogni anno muoiono nell'indifferenza del mondo "sviluppato"cosa possiamo dire? Forse la sofferenza è considerata un viatico necessario, per un cristiano,  ma è lecito, allora, accettarla per soggetti senzienti, con stupefacente rassegnazione, e combattere strenuamente, invece, per risparmiarla al prodotto della fecondazione che persino in natura, il più delle volte, non riesce a superare i primi stadi dello sviluppo?
Giulio Magno

L’argomento che lei porta è fondamentale e ben presente sul tavolo della riflessione bioetica.E’ pur vero che il papa precedente ha testimoniato, almeno nella circostanza della guerra contro l’Iraq, i valori della pace, ma, dal momento che si arriva poi sempre a stabilire delle priorità tra i valori,  la Chiesa, almeno quella delle gerarchie,  tra la guerra, la povertà, la fame  e l’embrione sceglie l’embrione e lo fa quando accetta di far difendere i valori “teo-con” dalla spada insanguinata di Bush o dal neo-liberismo dei potentati occidentali, compresi quelli di casa nostra.
Alla distribuzione delle risorse sono riservati richiami interessanti, alla fecondazione veri e propri anatemi: c’è più presenza del demonio nella parola “eterologa” che in “guerra preventiva”.
Sembrano gravare più sensi di colpa e pubblici anatemi su una madre “assistita” che sui mercanti di morte e di sfruttamento in doppiopetto.  Invertiamo i termini della questione: partiamo dalla sofferenza e solo quando l’avremo sconfitta, o  significativamente ridotta,  concediamoci il lusso di dedicarci alla “sacralità”, se ancora riterremo che ne valga la pena.

Savona 24 maggio

 Gent.ma dott. Bardi,
leggo con interesse la sua rubrica ma sulla questione del voto ho ancora qualche dubbio su come votare; anche se lei tratta l’argomento dal punto di vista dell’etica vorrei porle una domanda di tipo medico.
E’ vero quello che affermano i fautori del no che la ricerca può essere effettuata anche su staminali ricavate da cellule mature e non da embrioni?
Non sono riuscita a trovare ancora una risposta convincente e mi rivolgo a lei nella speranza che possa chiarire il mio dubbio.
Grazie
Simona Gambetta

Le staminali embrionali hanno una caratteristica che non hanno le cellule adulte, ovvero l'essere totipotenti, vale a dire passibili di generare qualsiasi tipo di tessuto umano.
Le cellule adulte sono invece specializzate e, per questo, limitate nell'uso.Dal punto di vista della plasticità, quindi, staminali embrionali e staminali adulte non sono comparabili.
Di recente pare si sia intrapresa la via di despecializzare cellule del cordone ombelicale, rendendole multipotenti.
Ora, tenga conto che si è in fase di ricerca ed è necessario che la ricerca proceda parallelamente in più direzioni, sondando tutte le possibilità, soprattutto quando vi sono diverse caratteristiche e diversi livelli di plasticità, come in questo caso.
Proibendo l'utilizzo della staminali embrionali, si viene a proibire una delle direzioni più promettenti della ricerca, necessaria anche per condurre, con comparazione di risultati, quella sulle adulte.
Detto questo, sono pienamente d'accordo sul fatto che sia auspicabile cercare soluzioni che possano risultare meno controverse e accette al maggior numero di persone, ma fintanto che questo non dà risultati, occorre decidere se dare la priorità all'obbiettivo di guarire determinate malattie o alla tutela dell'embrione, anche solo per lasciarlo lentamente morire come quelli attualmente crioconservati.
Si va dalla scelta estrema inglese di produrre embrioni apposta per la ricerca, cosa assai discutibile, alla proibizione totale italiana.
Aggiungo un'altra constatazione: all'estero la ricerca sulle staminali embrionali è invece autorizzata; chiediamoci: se domani proprio da qui venissero le auspicate soluzioni di gravi malattie, noi italiani che cosa faremmo? Ci terremmo le malattie per non ricorrere ai frutti del demonio?
E lei che cosa farebbe?
La ringrazio per l'attenzione.
g.

Savona 24 maggio

Davvero attraente la sua rubrica di bioetica, il tema dei referendum è molto difficile e delicato ma non sembra coinvolgere molto i cittadini.
Sui giornali e alla televisione l’informazione sui quesiti referendari è inesistente, i partiti di sinistra sembrano avere una posizione ipocrita; solo su internet si fa vera informazione e allora perché non fa un quadro riassuntivo molto sintetico sui referendum, per dare a tutti i savonesi la possibilità di capire e magari di aprire un dibattito.
Ottimo il suo intervento sull’articolo 1, sarebbe importante abolirlo
perché in realtà con questo articolo si vuole colpire la legge 194.
Buon lavoro
Vittorio Toso

 La  sua richiesta  mi ha offerto lo spunto per la rubrica di questa settimana, consistente in un prospetto riassuntivo di orientamento  ai quesiti.

  Savona 8 maggio

Gent.ma redazione,

seguo con interesse, da qualche settimana, la rubrica sulla bioetica redatta a cura della dottoressa Gloria Bardi.
Indubbiamente sono stati trattati temi di grande rilievo, in una accezione, però, quasi completamente astratta, rivolta, cioè, al piano teoretico.
Ritengo che potrebbe risultare utile rivolgere alla dottoressa Bardi un invito, ad affrontare, ad esempio, alcuni temi in una logica, per così dire, maggiormente applicativa.
Svolgo un solo esempio, per farmi intendere e sollevare, al contempo una questione, sulla quale spero si potrà dialogare.
Noi abbiamo avuto, nel corso del Novecento una biopolitica selettiva ed autoritaria, basata sulla morte: sarà possibile, in futuro avere una biopolitica basata sulla libertà e sul valore intrinseco di ogni vita?
Mi spiego meglio, al limite delle mie modeste capacità culturali: il '900 è stato percorso da una serie di illusioni, insieme misericordiose e feroci.
La principale delle quali è stata quella di tentare il miglioramento della specie umana non attraverso la cultura, la politica, la tolleranza, la solidarietà, bensì affidandosi alle scoperte a all'applicazione di una nuova scienza, quella scoperta nel 1866 da Mendel: la trasmissione dei caratteri ereditari.
La nuova scienza, battezzata genetica dall'inglese Galton, incontrò l'ambiente culturale adatto e si diffuse molto rapidamente, alimentando l'idea della superiorità razziale.
Come è noto, in Germania, a partire dagli anni'20, si aggiunse l'aberrante parallelismo fra i metodi della medicina e quelli della politica. “La vita non riconosce né solidarietà, né parità di diritti fra le parti sane e quelle malate di un organismo: queste ultime bisogna reciderle, o tutto perisce”, aveva scritto Nietzsche.
Dalla contestazione di questo assunto sono nate le argomentazioni critiche verso ogni tipo di biopolitica, cioè verso un potere di vita e di morte esercitato dalla politica in nome di ideologie ed interessi.
Le affinità col nazismo di altre esperienza storiche sono state espresse, nel modo più esplicito, da Michel Foucault: “ Il nazismo ha solamente spinto fino al parossismo il gioco fa il diritto sovrano di uccidere e il meccanismo del bio – potere. Ma questo gioco è iscritto effettivamente nel funzionamento di tutti gli stati”.
Come sempre accade,guardare al passato ci dà anche motivi di riflessione sull'oggi.
Tramontata l'eugenetica selvaggia, che cosa ci aspettiamo ora dai progressi di una genetica perfezionata ed umanizzata?
In che forme si ripresenta, e come dobbiamo combatterla, l'idea di superiorità dopo il tramonto delle sue giustificazioni razziali? Ripeto, infine, la domanda di partenza:
Può avere fondamento, in luogo di una biopolitica selettiva ed autoritaria, imperniata sulla morte, cioè tanatologica, una biopolitica basata sul valore intrinseco di ogni vita, cioè non selettiva?
Saluti e grazie
L'interrogante

Gentile Signore, innanzitutto la ringrazio per l'attenzione attiva che dedica ai miei interventi il cui fondamentale obiettivo è non certo fornire soluzioni ma creare lo spazio del problema e mettere in moto il confronto.
La ringrazio quindi particolarmente per le sue osservazioni critiche, che risultano sempre più stimolanti del consenso incondizionato.

Touché: Il piano teoretico costituisce un po' un mio "peccato d'origine", provenendo io da studi filosofici. La prego però di considerare come il passaggio dalla filosofia a un tema che non può prescindere dal mettere mano al reale, come la bioetica, nasce proprio da uno sforzo di concretezza che però, come lei mi insegna, forse va migliorato.
In ogni caso la riflessione ha, per propria natura, alcuni margini di generalità che le impediscono di coincidere con la pura e semplice casistica.

Ma veniamo allo specifico.
Io ritengo che ciò da cui occorre fondamentalmente rifuggire siano proprio le astrazioni operate sulla storia, nel momento in cui si separano gli eventi dal contesto ideologico che li ha prodotti.
Sono convinta, come mi sembra di capire sia anche lei, che il problema non sta nella tecnologia ma dell'uso che di essa viene fatto; che sia aberrante rinunciare alle potenzialità positive che essa offre nella prospettiva che sola conta: aumentare il tasso complessivo e condiviso di felicità, foss'anche in senso epicureo di attenuazione del dolore.
E' pur vero che c'è stato Hitler e che c'è stato il dr. Mengele ma non dobbiamo farli prevalere fino al punto di rinunciare alle possibilità di bene che ci si aprono, fermo restando il postulato kantiano della possibilità di "universalizzare" il fine di ogni nostra azione.
La tentazione del piano inclinato di cui parla Jonas so che è forte ma so anche che come uomini non ce la possiamo permettere.

So anche che la scienza rischia di essere un monoteismo rovesciato, insofferente di qualsiasi interferenza, votata a se stessa e talvolta inebriata del risultato (basti pensare all'euforia di Fermi dinanzi ai lanci sperimentali dell'atomica).

Ma lei parlava di vita.

La complessità del nostro mondo, che la tecnologia squaderna, non va comunque repressa, non va proibita ma va certo va governata per sostituire alla logica afflittiva di una certa etica, che produce politicamente il sistema dei divieti, con un'etica della vita, il cui carattere primario è il desiderio. Credo che una biopolitica rispettosa della vita debba riproporsi l'armonizzazione dei desideri o, se preferisce, l'armonizzazione del benessere.
(Molto interessante in questo contesto la filosofia "utilitarista", a prescindere dall'equivoco che l'attributo può ingenerare).
E il desiderio armonizzato è il desiderio lungimirante, che sa che non vi è soddisfazione del singolo se non vi è soddisfazione nell'intero contesto ove egli vive. Desiderio responsabile, solidale.
So che siamo lontani anni luce ma le chiedo: è data all'uomo la possibilità di rimanere tale, rinunciando a questo obiettivo e affidandosi alle garanzie che vengono dai divieti?
non so se le ho risposto con sufficiente lucidità.
Nel caso, mi farà piacere tornare a dialogare con lei magari in un momento in cui possa essere "meno tiranneggiata" dal tempo di quanto mi è accaduto questa settimana.
Cordiali saluti
Gloria Bardi