FOGLI MOBILI 

La rubrica di Gloria Bardi

QUOTE ROSA, ASINI E PORCI.

Prendo spunto dall’articolo di Nando Dalla Chiesa, dove si rivela il clima di sberleffo di molti senatori della maggioranza verso le colleghe che parlavano in difesa delle quote rosa, per fare alcuni commenti, partendo dall’”uguaglianza”.

Oggi il concetto di uguaglianza non è più pensabile come “annullamento delle differenze”, appiattimento su un modello preso come “basico” o, peggio, elevazione a modello di uno degli elementi in gioco. Magari maschio. Magari occidentale. Magari bianco. Magari eterosessuale.

Oggi siamo abbastanza grandi per leggere “uguaglianza” come uguale diritto a esprimere la propria differenza, che è poi il proprio specifico, etnico culturale erotico ideologico. Ferma restando la compatibilità sociale del proprio comportamento: insomma, purchè non vi siano vittime.

In forma evoluta ciò si esprime come reciproco arricchimento, come valorizzazione e non semplice “tolleranza” delle differenze.

Ora, se la democrazia è la società della rappresentanza dei vari e se i vari sono anche i diversi, una vera democrazia rappresentativa dovrà tradurre le differenze in termini di rappresentanza.

E qui cascano gli asini delle “quote rosa”. O meglio del “no” alle quote, sberleffi compresi.

La DIFFERENZA DI GENERE si pone infatti come la madre di tutte le differenze, assolutamente trasversale a ogni altra, originaria, naturale.

Non è un caso se  proprio le lotte femministe hanno rappresentato il volano per la richiesta di rilievo sociale di tutte le altre minoranze discriminate.

Ma dicevo, gli asini: se noi in Italia non siamo in grado di garantire non la parità –come sarebbe giusto per quanto ora irrealizzabile- ma almeno la decenza dell’equilibrio dei rappresentanti questo vuol dire che davvero siamo il paese del fallimento.

Politico. Umano. Storico. Etico. Estetico.

Ho scritto “estetico” non per l’ameno pensiero che le donne arrecherebbero “grazia” ma perché ciò che è sproporzionato finisce per essere in primo luogo abnorme, brutto e generatore di disarmonia, che detto in altri termini significa “motore di generale infelicità”.

Come diversamente si può intendere un paese dove le ragioni di vita di una fetta consistente di cittadini non siano considerate da chi decide? Un paese dove si rinunci all’intelligenza femminile?

Si tratta di  un paese come quello dove vivo io (Finale Ligure), ad esempio, che preferisce stuprare l’area verde di una scuola per costruire 175 box privati e lascia l’asilo nido in un seminterrato ad altezza di strada veicolare.

Si tratta di una nazione come quella dove viviamo noi, che ha partorito una legge misogina, ipocrita e violentatrice come quella sulla fecondazione assistita.

Che, mentre gioca alla guerra col texano strabico,  partorisce tagli alla spesa sociale, ovvero rinuncia alla presa in carico dei più deboli: persone, famiglie, bambini, anziani.

E’ un mondo dove si innescano, dicevo, catene del disagio, che non sono solo di genere ma coinvolgono tutti, anche perché da sempre la cura, la formazione, l’educazione sono in mano femminile.

Molti ritengono la “quota” un segno negativo, una sorta di riserva che, sottraendo le donne alla gara meritocratica in realtà fa pesare su esse un pregiudizio.

Insomma, il vantaggio che si concede ai non capaci.

Ma per favore! Da quando nella feudale Italia la rappresentanza è data dal merito?

O non è data piuttosto dal potere che genera potere, acclientamento con la conseguente gerontocrazia e fallocrazia che ci incombe addosso e dalla quale riteniamo di poter essere guidati verso futuri sviluppi?

E’ proprio perché l’uguaglianza tra disuguali (di fatto) è disuguaglianza che oggi si parla di “pari opportunità” e si prospetta l’esigenza di trovare compensazioni di legge laddove le opportunità si rivelino impari.  

Un po’ di sano realismo e senso delle conseguenze non guasta.

Non si tratta di dare di più alle donne ma di evitare di dare loro troppo di meno, come sta accadendo ora. E, lo voglio ripetere: con le donne all’intera comunità.

O forse qualcuno ritiene che le chances date ai due sessi siano le stesse?

Allora mi si dovrebbe dimostrare perché, ovunque si guardi, dagli ospedali alle università ai partiti ai sindacati, le donne pullulano alla base e difettano clamorosamente ai vertici.

Ed è ai vertici che si decide, a nome delle donne, un mondo privo del pensiero delle donne.

Insomma, il fatidico tetto di cristallo.

Ci sono poi molti modi per fare la guerra a “lei”, e gli schiamazzi a cui allude Dalla Chiesa rappresentano solo un episodio più visibile di un atteggiamento serpeggiante, pronto a bollare l’emergenza sociale femminile come peccato verso la dovuta umiltà.

Una donna in vista è una che “fa la primadonna”, tra centinaia di uomini sgomitanti a cui nessuno dirà mai “primouomo”.

E spesso sono le donne stesse a farsi agenti di misoginia, assoggettandosi al principio “divide et impera”, che chi dirige conosce bene.

E c’è di peggio: spesso le donne premiate, le “prescelte”, le “elette” dalle dirigenze fallocratiche hanno dovuto rinunciare a molto della loro femminilità, imparato a giocare col mazzo di carte maschili, fino a diventare quelle che Parsi definisce “travestiti culturali”.

Come canta in altro contesto Guccini: “ed è una morte anche peggiore”.

A ben pensarci, pochi organismi sono deteriormente “omosessuali” come i nostri organismi politici. Dico “deteriormente” a scanso di equivoci con gli amici “gay”: non si tratta dell’omosessualità che nasce dalla condivisa ricerca del piacere e del sentimento ma dell’omosessualità della prepotenza. Non dell’omosessualità come apripista di una cultura rispettosa della differenza ma dell’omosessualità come azzeramento di quella stessa cultura.

Non dell’omosessualità che gratifica ma di quella che mortifica: quella cioè socialmente incompatibile perché  fa vittime.

La stessa, si badi, omosessualità deteriore della chiesa.

Questa sì mi disturba, è contro natura, nel momento in cui la natura si esprime nella differenza, ed è contro l’idea stessa di democrazia. Di quella attuale e più ancora di quella ventura, chiamata a governare la multiculturalità.

Ma voglio chiudere tornando all’asino che casca (non me ne voglia il simpatico quadrupede):

cari “lapidatori” a pernacchie che fate indecentemente “branco” in Senato a spese nostre, è solo perché voglio essere, a nome del mio genere, “una signora” che non vi rinvio l’insulto che voi, proprio voi, riservate spesso ai gay, dimostrando soltanto la bassezza del vostro, proprio il vostro, orizzonte visivo.   

Ma fate come se riusciste a leggerlo.

E quanto a noi, donne e uomini di buon senso, siccome presto si accenderanno i riflettori elettorali e diventeremo per una manciata di giorni tutti importantissimi, cerchiamo di non gettare più le perle ai porci.

Almeno nell’ultima frase, come vedete, ho cambiato il bestiario.

Leggi anche...

...LE DONNE, IL CORPO, LA DISOBBEDIENZA dal mio blog

...QUOTE ROSA E FASCE TRICOLORI dal sito www.altraFinale.it

 Gloria Bardi

   www.gloriabardi.blogspot.com