Apriamo i cuori alla profezia

Papa Francesco fin dall’inizio del suo pontificato si è presentato come anticlericale.
Per gli storici l’anticlericalismo è “una componente importante della nostra storia” e “non vi è ricerca sulla vita politica o religiosa dell’Italia unita che possa prescinderne” (Pietro Scoppola). A parte piccole differenze, la scoperta recente della chiave di lettura del DNA conferma l’unità dei viventi anche se il lavoro continua perché le nostre conoscenze sulla sua struttura sono aumentate, ma non sono ancora complete. Ciò significa che tutte le forme di organizzazione della nostra convivenza sono fondate sulla prevalenza degli organismi più adattabili ai cambiamenti dell’evoluzione.
Ma la meta a cui tende la spinta evolutiva a cui non possiamo sottrarci è per ora sconosciuta: è l’interrogativo a cui gli esseri pensanti, per rispondervi, hanno elaborato i miti, le religioni, le filosofie. I sistemi sociali sono più o meno flessibili secondo la rigidità delle strutture
di connessione gerarchica che le regolano: la prevalenza del “funzionariato” che garantisce la stabilità dell’edificio determina l’arretramento della “profezia” che deve esplorare il terreno per proseguire il cammino evolutivo della specie.
Il cammino è una questione di equilibrio: se una gamba prevale sull’altra o si cade o si zoppica.
Il 1° ottobre 2013 papa Francesco, in un colloquio sul quotidiano la Repubblica con Eugenio Scalfari, ha detto che bisogna “Ripartire dal Concilio e aprire alla cultura moderna”.
“Il proselitismo – afferma il Pontefice – è una solenne sciocchezza”. E, puntando poi l’attenzione sul Vaticano dice: “La Santa Sede è troppo Vaticano-centrica”. Ai seminaristi di Ancona ha raccomandato recentemente di leggere Dostoevskij e gli umanisti. “Diffidate delle esperienze che portano a sterili intimismi, degli spiritualismi appaganti, che sembrano dare consolazione e invece portano a chiusure e rigidità. I rigidi finiscono al ritualismo, sempre”.
“I capi della Chiesa sono spesso stati narcisisti, lusingati e malamente eccitati dai loro cortigiani. La corte è la lebbra del Papato” – dice Francesco. “In Curia ci sono talvolta dei cortigiani – spiega – ma la Curia nel suo complesso è un’altra cosa. È quella che negli eserciti si chiama l’intendenza, gestisce i servizi che servono alla Santa Sede. Però ha un difetto: vede e cura gli interessi del Vaticano, che sono ancora in gran parte, interessi temporali.
Questa visione Vaticano-centrica trascura il mondo che ci circonda”.

PUBBLICITA’

Francesco parlava per la Chiesa del 2013 – che nel 2018 era ancora così – e dovette imporre un “cammino sinodale” ai vescovi recalcitranti o timorosi, ma tocca ai laici fare l’esame della parabola del fariseo e del pubblicano, un testo altamente laico, “politico” ed ecumenico: Disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri: “Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Io vi dico: que dell’altro, perché i grandi saranno abbassati fino a terra e chi sa di essere a terra sarà sollevato ai primi posti (Luca 18, 9-14). Il “funzionariato” è il peccato originale in ogni aspetto della vita sociale, sotto forma di “carrierismo”. Si trova in dosi massicce nel burocratismo, del “si fa così perché si è sempre fatto così” nella scuola, nella sanità, nelle amministrazioni pubbliche… anche nella scienza, quando le baronie prevalgono sul merito della ricerca; e nella stessa magistratura e in tutti gli eserciti. Persino nella politica, nel sindacato, nel volontariato e nel welfare la nevrosi della competizione si impadronisce della società “meritocratica”, come se ci fosse un concorso a premi per il grembiule più alla moda o per la tuta più elegante (… Preso un grembiule, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con il grembiule di cui si era cinto Giovanni 13, 3-5).
Il male assoluto non è la violenza, quella istintiva e individuale per fame e sopravvivenza, ma quella organizzata, istituzionalizzata e anonima, la guerra, sempre più sporca comunque la si voglia battezzare. La guerra endemica (la terza guerra mondiale “a pezzi”) è il peccato del mondo, ma la radice è nella rigidità della politica e dell’informazione che vede e cura gli interessi del Palazzo, che sono in gran parte, interessi temporali e finanziari. Questa visione piramidale e gerarchica trascura il mondo che ci circonda e smaschera il “patriottismo”, come dice l’eterno Trilussa:
Chè quer covo d’assassini
che c’insanguina la terra
sa benone che la guerra
è un gran giro de quatrini
che prepara le risorse
pe li ladri de le Borse…

E riuniti fra de loro
senza l’ombra d’un rimorso,
ce faranno un ber discorso
su la Pace e sul Lavoro
pe quer popolo cojone
risparmiato dar cannone!
Il consiglio di Francesco ai seminaristi (“Leggete gli umanisti”) pare adatto a tutti noi. Erasmo da Rotterdam scriveva (nel 1518) a proposito di proselitismo e di rigore fondamentalista e bellicista: “Io, devo dire, non condivido mai la guerra: neppure quella contro i Turchi. La religione cristiana sarebbe messa davvero male, se la sua sopravvivenza dipendesse unicamente da questi puntelli! Non ha senso attendersi che, a partire da premesse ostili, le genti sottomesse diventino buoni cristiani: ciò che si conquista con la violenza, lo si perde nello stesso modo” […].
“Ma perché – sento dire – non dovremmo poter sgozzare quelli che vengono a sgozzarci?”. A costoro rispondo: “Vi sembra davvero così inaccettabile che altri siano più crudeli di noi? Allora perché non derubiamo chi ci deruba? E perché non prendiamo a male parole uno per uno tutti quelli che ci offendono? Perché non odiamo visceralmente tutti quelli che ci odiano?”.
“Si vis pacem para bellum” è il mantra ripetuto fino alla noia dall’insensato “patriota” della guerra a oltranza e della distruzione totale giustificata come missione di pace e di civiltà.
Erasmo è il compilatore di un’opera che, a mio parere, è ancora straordinaria come gli Adagia. […]
In un’Europa sconvolta dalle guerre e che si andava sempre più profondamente dividendo sul piano religioso, Erasmo ha combattuto per la pace tra i popoli.
Pace politica e, ancor prima, pace religiosa. Eugenio Garin (1909 – 2004)
Come scrive Davide Canfora, “Il lavoro di Erasmo è forse il più efficace anello di congiunzione tra tradizione e modernità. Una sintesi non ovvia e non facile, che appare assolutamente speculare allo spirito dei tempi in cui Erasmo visse e dei tempi che seguirono alla sua lezione: tempi di divisioni profonde e di spargimenti di sangue; tempi di proibizioni e censure, di guerra mossa dall’ortodossia ai libri cosiddetti nocivi e alla libera circolazione delle idee”.
Gli Adagia (proverbi e detti provenienti dalla cultura classica, raccolti, commentati e interpretati da Erasmo) trattano della pace in Europa nei suoi aspetti religiosi e politici. Erasmo ha scritto sulla pace soprattutto dopo aver visto, durante il suo viaggio in Italia, il Papa promuovere la guerra. Nel frammento intitolato “Giulio escluso dal cielo” c’è l’opposizione alla tendenza della Chiesa a risolvere i conflitti con la guerra. Anche in un altro degli Adagia, “I sileni di Alcibiade”, c’è un duro attacco alla guerra. E nel “Dulce bellum inexpertis” si mettono in evidenza le presunte bellezze della guerra da parte di chi non l’ha mai conosciuta.
Erasmo ha contrapposto al “bellum” (la guerra) il “verbum” (la parola), anzi il “sermo” (il discorso colloquiale) cioè la trattativa, il dialogo.
Ma il “verbo” deve essere “incarnato”, altrimenti, come dice papa Francesco: “Diffidate delle esperienze che portano a sterili intimismi, degli spiritualismi appaganti, che sembrano dare consolazione e invece portano a chiusure e rigidità. I rigidi finiscono al ritualismo, sempre”.
La radice è sempre quella: dipende dal senso che diamo alle parole.

Gianfranco MONACA (da Tempi di Fraternità)

Donne e uomini in ricerca e confronto comunitario

Autorizzazione del Tribunale di Torino n. 2448 dell’11/11/1974

Direttore responsabile Angela LANO

Sito web: www.tempidifraternita.it

posta: tempidifraternita@tempidifraternita.it

 

 Abbonamento

–  normale  € 30 (estero € 50)

–  sostenitore   € 50 con un abbonamento omaggio alla persona segnalata (solo Italia)

–  via e-mail   € 20 – formato pdf – fornire codice fiscale per emettere fattura ad uso interno

 Abbonamenticumulativi – solo Italia

–  ADISTAe TdF                    € 92 (risparmio € 13)

–  CONFRONTI e TdF           € 69 (risparmio € 11)

–  ESODOe TdF                    € 52 (risparmio € 6)

–  MOSAICO DI PACEe TdF  € 54 (risparmio € 6)

 MEZZI DI PAGAMENTO

–  Conto corrente postale 29466109 intestato a TEMPI DI FRATERNITÀ via Garibaldi 13, 10122 TORINO

–  Bonifico bancario POSTE ITALIANE iban: IT60D 07601 1000 0000 29466109

–  Bonifico dall’estero POSTE ITALIANE iban: IT60D 07601 1000 0000 29466109, bic BPPIITRRXXX

–  Carte di credito e Satispay accettate sul nostro sito http://www.tempidifraternita.it/segreteria/abbonamenti.htm confermando il versamento con una mail all’indirizzo di TdF

 PER RICHIEDERE NUMERI SAGGIO SENZA IMPEGNO

tempidifraternita@tempidifraternita.it – tel. 347-4341767 – fax 02-700519846

 Tutti gli abbonamenti scadono a dicembre.

Chi sottoscrive un nuovo abbonamento durante l’anno può versare la quota in proporzione alla rimanente durata dell’anno.

Chi si abbonerà a prezzo pieno verso la fine dell’anno gli sarà assegnata la scadenza a dicembre dell’anno successivo.

 

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.