APOCATASTASI
Versi della fine e del principio
APOCATASTASI
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Versi della fine e del principio
APOCATASTASI
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Non vivo la vita che vorrei vivere. Che cosa significa? Potrei forse vivere una vita diversa da quella che vivo? Certo è che il volere senza il potere somiglia molto a un sogno da svegli o, peggio, a folle presunzione! E perché non dovrei vivere una vita qualunque, bella o brutta a seconda dei giorni e degli umori, con le sue ansie e le sue gioie, i suoi silenzi e le sue cadute, il suo peso specifico e le sue vanità, particella infinitesima dell’universo? Perché mai non dovrei vivere una vita come tante tra la terra e il cielo, in un tempo dato, tra un battesimo e un funerale? Una vita qualunque è pur sempre una vita e rifiutarla sarebbe il più grave dei peccati: la negazione radicale, la scelta del nulla, l’offesa più crudele che un amato possa infliggere all’amante: il rifiuto di esistere. Così mi sono tenuto stretto a questa creatura del caso, alla forma informe che il destino mi ha dato. Il destino? Mi sono ubriacato d’aria un mattino alla prima luce felice dopo una lunga notte di spasimi e invocazioni e versi di animale senza un’anima né persa né redenta dal dolore e nemmeno ritrovata in fondo a un vino divino ahi salutare acqua miracolosa a me negata per un attimo di distrazione colpevole perché cercata malgrado le chiare parole dell’angelo in un angolo dimenticato dell’infanzia nella casa paterna in una sera d’inverno al fioco lume di una lampadina elettrica. Il destino? O non piuttosto il mio cieco arbitrio? Come decidere a chi rendere grazie in caso di salvezza o chi incolpare in caso di dannazione? Se poi si aggiunge la dottrina secondo cui tutto è già presente nella mente del Padre, che cosa rimane della nostra libera volontà? Come possono stare assieme predestinazione e libero arbitrio? Come scegliere liberamente una cosa necessaria, preordinata, decisa addirittura prima che venissimo a questo mondo? Se così è, se tutto è già scritto, segnato ab aeterno nel libro divino, più che scegliere saremmo scelti, più che volere saremmo voluti, e voluti così come siamo da una infinita Intelligenza che tutto vede, tutto comprende, tutto abbraccia e al di là della quale non si intravede che il nulla. Nulla di nulla? Ma se tutto è in Lei come può esserci qualcosa di diverso? Come può esserci anche un’ombra di male in un Bene infinito e assoluto? Questioni antiche e sempre aperte, me ne rendo conto, – non sono proprio digiuno di teologia – (e questo aggrava la mia posizione): per Agostino non può esserci alcun male nell’Essere perfetto, mentre molto di male c’è nelle creature imperfette che noi siamo; tanto imperfette da non distinguere, senza l’aiuto della grazia, tra beni illusori e beni eterni. Siamo dunque creature imperfette e infette e l’ infezione si chiama libero arbitrio? A che cosa dobbiamo la cacciata dal Giardino se non alla nostra libertà di scegliere tra l’obbedienza e il rifiuto, tra un piacere immediato e la beatitudine eterna? Ma, si dirà, senza questa possibilità di corrispondere o di non corrispondere all’ infinita bellezza e carità e attesa e passione dell’ amor che move il sole e l’altre stelle, che cosa mai sarebbe l’uomo? Sarebbe quell’essere perfetto che vuol essere e non è. La perfezione consisterebbe dunque nel non voler essere altro da quello che si è? In tal caso (di nuovo il caso!) più che divenire qualcosa saremmo divenuti quello che eravamo fin dall’inizio? L’inizio di cosa? Di quello che saremmo divenuti alla fine del nostro breve (o lungo) viaggio? E tuttavia un conto è giudicare di noi stessi e del mondo quando non sappiamo che cosa accadrà non dico domani ma neanche tra un’ora, tra un minuto (da un istante all’altro potremmo perdere il ben dell’intelletto, e addio libertà, addio speranze, addio opere future!). Un altro conto è il sì o il no, la preziosa lagrimetta dell’anima contrita o l’ultima blasfema negazione in faccia all’Eterno di chi non ha più niente da perdere, fuorché il paradiso. Un altro conto ancora è il giorno del Giudizio, quando tutto il divenire sarà divenuto e nessun arbitrio sarà più possibile e nessuna volontà potrà essere difforme dall’unico vero Potere e tutto sarà esattamente quello che deve essere, né più né meno, e ciascuno riceverà, in quel giorno senza tramonto, quello che gli spetta, soltanto quello che gli spetta secondo Giustizia (così almeno attestano i profeti). E finalmente ciascuno vivrà di una vita necessaria e perfetta, senza più alternanza di primavera e autunno, estate e inverno, speranza e disinganno, sonno e veglia, tempesta e quiete, colpa ed espiazione, e sarà proprio la vita a noi destinata e da noi oscuramente cercata dall’ora della nostra nascita a quella della nostra morte, così come era scritto prima che il mondo fosse, nei secoli dei secoli. Amen. Fulvio Sguerso
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